domenica 27 dicembre 2015

Corna Brutana (m 3059)

La Corna Brutana è una cima trifida che si sviluppa su una costiera perpendicolare alla catena montuosa Vetta di Ron – Corna Mara. Il suo nome deriva dalla cattiva consistenza degli gneiss di cui è fatta. La massima elevazione è di m 3059 e appartiene alla Punta Settentrionale, quella dove si trova anche l'ometto più vistoso e d il libro di vetta.


Partenza: Boirolo (1570)
Itinerario automobilistico : Sondrio - Tresivio – Pra Domaso (ex sanatori) - Boirolo
Itinerario sintetico: Boirolo – Santo Stefano- Rogneda – Bocch. N di Rogneda (m 2657) - Canale Orientale - Corna Brutana (m 3059) - discesa dalla parete S – Rogneda - Boirolo.
Tempo previsto: 4/5 ore per la vetta - 7/8 per tutto il giro
Dislivello/difficoltà: 1550 mt / 4+ su 6 (PD, passaggi di II°+)
Attrezzatura richiesta:  Corda, imbraco, fettucce, piccozza e ramponi.

Mappe: 
- Kompass n.93 - Bernina-Sondrio, 1:50000
- CNS n.278 - Monte Disgrazia, 1:50000







Da Boirolo (m 1570) appena sopra lo spiazzo per il parcheggio è possibile abbandonare la strada ( chiusa al traffico non autorizzato ) e prendere il sentiero che risale dapprima i prati e dopo aver incrociato nuovamente la strada si addentra nel bosco fino a ricongiungersi definitivamente alla strada. 
Da qui sempre su buona pendenza risaliamo fino a Rogneda con la strada che lascia spazio a un sentiero (quota 2200 metri circa, 1h 10'

 

che via via lascia a sua volta spazio alla ganda. 



Senza via obbligata attraversiamo questo tratto tra ganda, pendii erbosi e tratti di sfasciume fino a guadagnare la bocchetta N di Rogneda (m 2657, 2h 15'). 



Da qui seguiamo dapprima la traccia di sentiero per poi risalire il pendio sempre tra ganda e sfasciumi puntando la parete S-E della Corna Brutana. Giunti a un piccolo scollinamento (siamo a circa 2850 metri, 2h 45')  il nostro canale Est diventa visibile.




Calzati i ramponi ci apprestiamo a risalire i 100-150 metri di canale (40-45°). In cima al canale (siamo a poco più di 3000 metri, 3h 15') ci troviamo a S la cima meridionale, ma dopo una pausa e alcune foto panoramiche ci dirigiamo verso la Vetta Settentrionale (m 3059, 4h) che raggiungiamo seguendo intuitivamente la linea migliore con qualche passaggio alpinistico (PD, II°+) e qualche tratto esposto.





Dopo una buona pausa dalla vetta scendiamo dalla parete Sud spostandoci inizialmente in direzione SO e seguendo poi la via più agevole, infilandoci via via in un abbastanza evidente canale, prestando attenzione soprattutto alla caduta di sassi e ad alcun tratti alpinistici ( PD, I °/ II°). Il tratto più impegnativo è stato il conclusivo con alcuni passaggi nuovamente di II°+.




Giunti alla base della parete  ci troviamo nuovamente su sfasciumi e discendiamo la valle facendo attenzione all'erba scivolosissima (che mi ha permesso di testare con successo anche su questo terreno i ramponcini Nortec ) e a non sbagliare la via data la presenza di zone esposte e bastionate rocciose ( vedi foto iniziale ). 

www.facebook.com/G.Meneghello.Photographer

#mello's #garmin #fenix3 #nortec 

sabato 24 ottobre 2015

Sui monti di Villa di Tirano


Prendendo spunto da un itinerario inedito di Antonio Boscacci del 1998, ecco un’emozionante passeggiata che dai vigneti di Villa di Tirano sale alle case di Sasso. Si toccano alcuni tra i più caratteristici nuclei di baite del Versante Retico della media Valtellina, percorrendo sentieri dove anche d’inverno il sole impone una piacevole tregua al freddo.

Stavello.

Partenza: Villa di Tirano, piazza Luigi Torelli (m 404).
Itinerario automobilistico: dalla rotonda al termine (E) della tangenziale di Sondrio, proseguire sulla SS 38 in direzione Tirano. Dopo 20 km, all’altezza dell’antico ponte di sasso, che si trova a dx della carreggiata al di là della ferrovia, svoltare a sx in via Foppa e seguirla per 150 metri (da qui in avanti si devono seguire le indicazioni per la farmacia e per il municipio). Appena prima della filiale della Banca Popolare di Sondrio, prendere a dx via Europa per 75 metri, quindi imboccare sulla sx via Stretta e lasciare l’auto in uno dei numerosi parcheggi che gravitano attorno alle scuole medie. Piazza Torelli, dove si trovano la chiesa di San Lorenzo e il municipio, è vicinissima: basta continuare a piedi su via Stretta.
Itinerario sintetico: Villa di Tirano, piazza Luigi Torelli (m 404) - Maranta (m 440) - Bait (m 675) - Piazzo (m 838) - Canova (m 933) - Bertòla (m 1016) - Stavello (m 1216) - Sasso (m 1418) - Lughina (m 1468) - Ramaione (m 1106) - San Sebastiano (m 735) - Reula (m 700) - Ronco (m 590) - Maranta (m 440) - Villa di Tirano, piazza Luigi Torelli (m 404).
Tempo previsto: 6 ore.
Attrezzatura richiesta: da escursionismo.
Difficoltà/dislivello: 2 su 6, 1064 m in salita.
Dettagli: E. Escursione per lo più su sentieri segnalati (n. 396 - n. 301 - n. 398) da bandierine bianco-rosse, rade però quanto i cartelli indicatori. Portare con sé questo articolo per evitare di perdersi. Si percorrono anche piste forestali e strade cementate. Il sentiero di discesa, ove coperto da fogliame, è estremamente scivoloso: prestare attenzione.
Mappe:
Cartografia escursionistica della Comunità Montana Valtellina di Tirano, foglio 3 - Teglio e Tirano, 1:25000 (N.B. nella mappa mancano molti toponimi).







«Il sole non ha ancora raggiunto il fondo della Valtellina, mentre percorriamo con l’auto la strada statale 38 in direzione di Tirano. Anzi, una coperta di nebbia, che sembra partire dall’Adda, dove è più fitta, si stende sulla strada e intorno ad essa. Però, non lontano, sui fianchi delle montagne sulla sinistra della valle, vediamo scendere lentamente la linea che separa il sole dall’ombra.
Quando arriviamo a Villa di Tirano ed entriamo in paese, il sole è ancora sopra gli ultimi vigneti; sembra essersi fermato un momento prima di buttarsi a capofitto sul fondovalle... continua sul n.35 - Inverno 2015 de LMD.

Questo itinerario rientra anche in Percorsi di corsa

I vigneti sopra Villa.
Piazzo.

Canova.

Il fondovalle visto da Stavello.

La caserma di Lughina.
Al Paravis.
Ramaione.

San Sebastiano.

Discesa a Villa.
La chiesa di San Lorenzo.

sabato 10 ottobre 2015

Punta Milano (m 2610) e cima del Barbacan (m 2738)

In vetta alla punta Milano, la cuspide col volto di donna, all'ora blu.

È il 29 di settembre quando, solo, salgo svelto sul sentiero che dai Bagni di Masino porta alla Omio, e da lì proseguo in direzione della punta Milano, un'alta guglia di granito posta nei pressi del passo dell'Oro.

Non so perché, ma nell'osservarla tra le nebbie che si rincorrono, mi convinco che la via più logica per salirvi sia lo spigolo N. Non ho voluto leggere alcuna relazione, perché mi piace salire le montagne intuendo la via da solo.
La foschia gioca con un vento freddo e umido.
Per la cengia che taglia la parete E, mi porto sul versante N. Neve e ghiaccio segnano i ripiani, mentre dove la roccia è verticale tutto è pulito. Sono ai piedi della faccia che ambisco a scalare.
Che freddo e che impressione. Le nebbie si formano e si diradano in continuazione falsando ogni prospettiva.
Sono alla base di un muro di roccia alto una sessantina di metri e solcato al centro da una specie di canale-camino.
Mi ci intrufolo, ma dopo circa 20 metri vinti con grande dispendio di tempo e di energie mi rendo conto che solo e slegato è meglio non andare oltre: se poi non riesco più a tornare indietro divento scatoletta per i corvi.
Scornato torno alla base della punta Milano.
Si è fatto tardi, per cui, non volendo tornare a casa a mani vuote, mi dirigo a N e per canali, roccette e cresta conquisto la cima del Barbacan. Fin troppo facile, ma decisamente panoramica. Neanche a farlo apposta l'occhio torna sulla punta Milano. Vedendo la parete N nella sua interezza mi accorgo che vi è scolpito il volto di una donna.
Sono incredulo: quella cima è talmente famosa che mi pare impossibile non aver mai visto foto o panegirici di questo scorcio.
Mi vengono mille idee mentre torno ai suoi piedi cercando le migliori angolazioni per fotografarla.
Già che ci sono ritento di salirla, questa volta dal versante opposto.
Arrivare per cresta alla base della cuspide non è banale a causa della neve che rende la cresta insidiosa. Poi vedo lo spigolo S da vicino. È spitatto, quindi è da questo lato che vengono condotti quasi tutti gli assalti.
Ci provo, ma mi areno poco prima della fine del primo tiro: verticale e esposto, seppur tecnicamente facile (max IV+).
Scendere disarrampicando, dopo una stagione di lontananza dalla roccia a causa di una fastidiosa pubalgia, si rivela piuttosto scomodo: ho perso confidenza e allenamento.
Saltellando nell'erba alta, poi nel fitto del bosco, sono di nuovo ai Bagni che non è ancora notte, ma ho deciso di tornare all'attacco.
Nei prossimi giorni han messo neve: salirò con qualcuno autonomo nel calarsi in corda doppia e poi farò le foto alla signora di roccia tutta incipriata e con in testa un arrampicatore munito di frontalino.
Perchè il fotomodello con pila frontale sia visibile è necessario il calare delle tenebre. L'ora blu sarebbe perfetta.
È il 10 ottobre e dopo pranzo mi incammino con Nicola.
Stesso itinerario, ma questa volta il cielo è terso, nessuna nebbia, e i prati ingialliti dall'autunno s'illuminano accarezzati da una luce radente che fa brillare tutte le migliaia di goccioline d'acqua che penzolano dai ciuffi d'erba.
La neve inizia a m 2100. A m 2300 è fastidiosa e arrivare all'attacco si rivela faticoso.
Inizia la scalata in scarponi e coi guanti: fa freddo.
Il primo tiro (30 m, max IV+), questa volta che ho la sicurezza di una fettuccia ben messa e di una corda legata in vita, è piuttosto rapido. La seconda lunghezza è meno verticale, ma trovare i passaggi asciutti ci porta a seguire un atraittoria poco lineare.
Al terzo tiro ci spostiamo a dx alla base della faccia SE della cuspide sommitale. Qui un diedro parrebbe condurre senza particolari problemi in vetta, ma il ghiaccio mi butta indietro senza possibilità di replica. Così mi avventuro sullo spigolo S, a cavallo tra val Masino e val Codera. Gradino - pianerottolo, gradino duro (VI) e rampettina mi regalano l'apice. Ho la conferma che senza corda mai e poi mai ce l'avrei fatta per questa traiettoria.
Giunge anche Nicola che mi conferma che l'arrampicata non è affatto banale.
Gli lascio 1 corda da 60 m e mi calo, poi corro ai  piedi della cima del Barbacan per realizzare la fotografia.
Sta velocemente facendo buio, ma il cavalletto è già ben posizionato. È l'ora blu, Nicola accende il frontalino e io realizzo uno scatto davvero unico: l'ultima di copertina del prossimo numero de LMD!



Ligoncio e Sfinge dal sentiero per la Omio.











La val Porcellizzo dalla cima del Barbacan.
Tracciati per cima del Barbacan e punta Milano.
Il vecchio Giana e la punta Milano.

Uscita del primo tiro dello spigolo S della punta Milano.

Ultimo tiro.

giovedì 8 ottobre 2015

Valmalenco d'autunno

Non lontano dal passo Marinelli.
Il Lagazzuolo durante una nevicata autunnale.
La prima nevicata (e anche l'ultima) dell'autunno 2015 è questa di metà ottobre.
Ai piedi di Argento, Zupò e del ramo occidentale del ghiacciaio di Fellaria.
Ultima settimana di apertura per la Marinelli.

domenica 6 settembre 2015

Cima del Cavalcorto (m 2768)

Il Cavalcorto dai pressi del Sasso di Remenno.

Salire sul Cavalcorto è più un avventura che un trekking classico: dimenticatevi comodi sentieri ben segnati e rifugi in quota, non troverete niente di tutto questo. E’ un luogo per gli amanti della wilderness e di quella montagna ruvida che ti lascia addosso i graffi e l’odore della vegetazione contro cui bisogna scontrarsi per trovare un passaggio.
Esistono montagne famose e montagne che non lo sono affatto. I motivi di questa differenza sono un affare di noi esseri umani perché le montagne sono, di fatto, tutte uguali. Non  è chiaro il perché una montagna diventi più famosa di un'altra. In passato c'erano motivazioni legate, per esempio, alla storia della prima salita, come fu per il Cervino, o al valore simbolico della montagna stessa che potrebbe essere la più alta, la più ripida, la più a N. Ci possono essere  anche delle motivazioni estetiche, ma sta di fatto che, al giorno d’oggi, possiamo tranquillamente affermare che ci sono delle montagne che vanno di moda, montagne che stanno sulla bocca di tutti, o montagne selvagge  che pochi conoscono: il Cavalcorto va inserita tra quest’ultime.
Chi va in montagna sceglie le proprie salite anche in funzione di questa “notorietà” e per questo motivo il Cavalcorto è sempre rimasto nell’ombra, oscurato dalla fama dei suoi illustri vicini, dal Badile al  Disgrazia, dal Cengalo alla Cima di Castello.
Ben visibile appena si arriva a Cataeggio in Val Masino, il Cavalcorto è quella grossa montagna che chiude l’orizzonte sulla sx accanto alla Valle del Ferro e la cui cima è, sul lato sx, preceduta da un enorme missilone di granito…
Da un punto di vista orografico è assimilabile ad un balcone di 2700 metri posto in mezzo al cerchio che formano le montagne del Masino ben più alte, dunque una montagna di grandissimo valore poiché,  grazie a questa sua posizione, consente, dalla cima, di godere di un panorama a 360 gradi sull’intera Val Masino. (Francesco Avanti - LMD n.9).


E così oggi ci salgo per l'ennesima volta, con Gioia, zio e papà. Vetta dal panorama unico e facile seppur dalla val Masino paia addirittura inaccessibile. L'unica vera difficoltà, tra l'altro davvero grande, è salire i pendii della val Sione dove tra erba e infestanti si è costretti a una lotta dura.

Al centro la cima del Cavalcorto, versante S.



Alba ai Bagni.
In vetta al Cavalcorto.
La val Masino dalla vetta del Cavalcorto.
La vetta del Cavalcorto e il Siluro cisti dalla val Sione. La corda legata a mio papà era solo per esperimenti di foto stereoscopiche, non di certo perchè siamo andati legati in mezzo alle gande!

venerdì 7 agosto 2015

Monte Ortles (m 3906)

A inizio ‘800 l’assetto geopolitico delle Alpi era ben diverso da quello attuale. Il Tirolo, regione il cui territorio è ora diviso tra Trentino, Austria e Veneto, faceva parte del Sacro Romano Impero ed era governato dagli Asburgo. 
In una sua visita in val Venosta, l’arciduca Giovanni d’Austria, fratello dell’imperatore Francesco II e appassionato naturalista, rimase folgorato alla vista dell’enorme cupolone di ghiaccio inclinato verso nord-ovest (vedretta Alta dell’Ortles) che costituisce la vetta dell’Ortles. Era già noto da tempo che doveva trattarsi della montagna più alta dell’intero Tirolo, in quanto questa si eleva chiaramente al di sopra di tutte le altre. L’arciduca Giovanni sostenne che la quota dell’Ortles era solo di poco inferiore alle maggiori cime di Svizzera e Savoia, ma per verificare tale affermazione occorreva che qualcuno si recasse su quella vetta tanto repulsiva per appurarne in maniera scientifica l’altezza. La questione non si limitava all’interesse geografico e cartografico, ma aveva risvolti patriottici e di prestigio politico.
Fu così che l’ufficiale Gebhard, su volontà dell’arciduca, promise alle genti di val Venosta una lauta ricompensa ai primi che avessero scalato la montagna, un po’ come De Saussure fece diciotto anni prima per promuovere l’ascesa al monte Bianco. Il 1804 fu un succedersi di tentativi infruttuosi finché, a stagione quasi conclusa, si propose per l’impresa il quarantenne cacciatore di camosci Joseph Pichler. Il 27 settembre Pichler guidò due uomini di fiducia di Gebhard, Johann Klausner e Johann Leitner, per la parete sud-ovest, la più alta della montagna, lungo un itinerario pericolosissimo ed esposto alla caduta di pietre e blocchi di ghiaccio. I tre conquistarono la vetta con gran gioia dell’ufficiale che inviò immediatamente una lettera all’arciduca per comunicargli la conquista e raccontarne i dettagli. Le misurazioni barometriche decretarono, peccando in eccesso, che l’Ortles misurava 14 mila piedi d’altezza (m 4267), ponendolo al terzo posto tra le cime delle Alpi fino ad allora conquistate, subito alle spalle di monte Bianco e monte Rosa.
Su quella prima ascesa vennero sollevati molti dubbi, perché l’aura d’inacessibilità dell’Ortles andava ben oltre a qualsiasi racconto. Il 28 agosto 1805 Gebhard fece porre sulla vetta una grande bandiera di lino rossa e nera, ma ciò non bastò a convincere i più scettici, tant’è che il 3 settembre dopo il tramonto, per fugare ogni dubbio l’ufficiale fece accendere sul cocuzzolo una grossa fiaccola.
Gebhard stesso raggiunse nel 1805 la vetta per ben 2 volte, sempre accompagnato da Pichler, che per molti anni fu la guida più richiesta della montagna, l’unica in grado di garantire il successo alle spedizioni che gli si affidavano.
Passarono gli anni, le guide e i grandi nomi dell’alpinismo. L’inaugurazione nel 1825 della strada dello Stelvio, capolavoro ingegneristico di Carlo Donegani che si snoda per 50 km e si contorce su 90 tornanti, unendo Bormio a Spondigna, cioè la Lombardia e il Trentino, attraverso il passo dello Stelvio (m 2758), contribuì non poco ad accrescere la fama dell’Ortles, in quanto questo è una delle principali attrattive paesaggistiche che si hanno dal valico, una visione che lascia chiunque a bocca aperta.
La salita all’Ortles, specialmente per la cresta est-sud-est (Hinter-Grat) o, a partire dalla fine dell’800, per la via normale che sale da rifugio Payer (cresta e versante nord) - entrambe attrezzate con corde e pioli di ferro - divenne così velocemente, e lo è tutt’ora, tra le più ripetute delle Alpi.

Conquistate creste e versanti, fu il turno delle alte pareti ghiacciate, in particolar modo della nord, dove Hans Ertl e Franz Schmid tracciarono il 22 giugno 1931 quella che, col suo sviluppo di ben 1300 metri di dislivello e pendenze tra i 40° e i 60°, è tutt’oggi ritenuta la più grandiosa via di ghiaccio delle Alpi Orientali. L’ambiente inquietante rende speciale l’esperienza di ripercorrere questa linea, tant’è che è abbastanza frequentata nonostante gli elevati pericoli oggettivi dovuti alle frequenti cadute di pietre e di blocchi di ghiaccio che più volte hanno causato vittime. 

(questo e altri racconti delle cime delle Alpi su "Alpi Selvagge" )

Il Signalkopf, punto chiave della Hintergrat. È bene aggirarlo e non tentare di superarlo direttamente!



7.8.2015

Su questa montagna dove si sono inseguiti i primati, ultimo dell'elenco la salita e discesa in velocità di Marco De Gasperi in 2h36' (!),  decidiamo di inseguire il nostro: quello di vederla almeno per una volta da vicino.
Partiamo alle 2 di notte da Sondrio con la nausea per le poche ore di sonno che mi obbliga a stringere i denti perché non calino le palpebre.
La strada è lunga e noiosa. Quasi 3 ore di auto, curva su curva, su e giù per il passo dello Stelvio, fino a raggiungere Solda e il parcheggio a S dell'abitato dove parte la funivia che porta al rifugio città di Milano (m 1860).
Ci incamminiamo nelle tenebre mentre il cielo man mano si fa più azzurro. Per il sentiero 2A raggiungiamo il rifugio del Coston (m 2661, ore 2:45).
Chiuso, tutti dormono, niente colazione per noi.
Ci portiamo sulla morena settentrionale della vedretta di Solda, ai piedi della poderosa triade Gran Zebrù - monte Zebrù e Ortles. Albeggia.
Fa molto caldo e ciò che rimane dei grandi ghiacciai sospesi sulle N di monte Zebrù e Gran Zebrù si sta sgretolando e precipita a valle con grandi boati.
Vogliamo raggiungere la vetta dell'Ortles per la Hintergrat (cresta ESE). Parrebbe molto bella e a tratti impegnativa. 
La cresta si alza proprio davanti a noi. Aiutati dai numerosi ometti di pietra ci portiamo sul fianco meridionale della dorsale, che risaliamo per pietraie e roccette fino a toccare lo spartiacque nei pressi di una forcella a m 3400.
Di qui insistiamo lungo il filo mai difficile fino a un tratto davvero sottile. Il Caspoc' vorrebbe proseguire sulla cresta, ma per fortuna cambia idea prima di incengiarsi: siamo nei pressi del Signalkopf, una spettacolare lancia strapiombante di roccia marcia che va assolutamente aggirata da sx per cenge esposte. Fin qui nulla da segnalare, a parte la terrificante visione del Signalkopf quando, ripresa la cresta, ci voltiamo.
Segue immediatamente un breve passaggio di IV, giusto 3 metri ma unto ed esposto.
Poi le difficoltà si placano decisamente.
Un po' a dx e un po' a sx e, dopo un altro passaggino di IV-, siamo a una selletta nevosa. Verso N c'è un bel precipizio e scorgo una piccozza volata e mai recuperata, così ce ne impossessiamo raccogliendola con una calata sull'orlo del baratro.
Riprende la marcia e prima delle 11 siamo in vetta: una decina di persone e una grande croce circondata da nebbie che nascondono il paesaggio. L'edificio sommitale ha una vasta calotta nevosa su cui si svolge la via normale. Decidiamo di percorrerla in discesa (N) per completare un interessante periplo della montagna.
La vedretta Alta dell'Ortles  è molto crepacciata e le voragini più larghe sono state attrezzate con tremanti scale a pioli. Ci sono molti gitanti che procedono lenti ed insicuri.
Raggiungiamo il bivacco Lombardi, sotto il quale il ritiro del ghiacciaio obbliga a disarrampicare in una zona piuttosto inquietante a causa dei seracchi pericolanti, poi giù, quindi a dx su dei ghiaioni appoggiati al ghiaccio. Tornati sulla dorsale c'è un breve passaggio di II+ . Le cordate davanti a noi decidono di utilizzare le corde doppie e sono estremamente lente e impacciate. Si crea una lunga coda. Tutti si calano, anche se non vediamo particolari difficoltà.
Dopo un'ora tocca a noi, poi, per fortuna,  riusciamo a superare e, per rocce marce siamo presto al Payer. Birrettina e giù per rientare alla macchina e da lì a casa dove arriviamo verso le 18:30.
Bilancio: bella gita e montagna marcia quanto affascinante che a mio avviso molti sottovalutano e affrontano benché non preparati, creando code e rischiando un po' troppo. Se fosse sopraggiunto un temporale molti oggi si sarebbero trovati in guai seri.
La stagione dell'Ortles per la normale sta volgendo al termine a causa dei buchi sempre più larghi nel ghiacciaio.
Come difficoltà considerate che  l'Ortles supera Bernina e Disgrazia se saliti per la via normale. 
Se si vuol far svelto conviene salire e scendere dalla Hintergrat dove non vi sono code, almeno al pomeriggio. Tuttavia una passeggiata sulla Vedetta Alta dell'Ortles vale l'attesa!

Verso il rifugio del Coston. Sullo sfondo l'Ortles. Tracciata la Hintergrat.
Il rifugio Coston 
La triade Gran Zebrù, monte Zebrù, Ortles.
L'alba sulla morena del ghiacciaio di Solda. Questo ghiacciaio è ricoperto per la maggior parte da detrito che lo rende scuro.
Lungo la Hintergrat.
Il monte Zebrù dalla Hintergrat.
Il Signalkopf.
Hintergrat - parte alta.
Hintergrat - gli ultimi metri per la vetta.
Hintergrat - gli ultimi metri per la vetta.
Crepaccio sulla vedretta alta dell'Ortles. 
Discesa sulla via normale.
La nord dell'Ortles martoriata da un'estate troppo calda. In queste condizioni non è assolutamente percorribile.
Il tracciato della via normale all'Ortles. 
Il rifugio Payer e l'Ortles.