giovedì 28 giugno 2018

Pizzo Bernina (m 4049)

La vetta principale del Bernina si trova in Svizzera. Qui è vista dai pressi della cima italiana.

Il 4000 più a E delle Alpi e la vetta più alta della provincia di Sondrio: queste sono le credenziali del pizzo Bernina. Non so quante volte l'ho salito, partendo a piedi da Campo Moro, o addirittura da Sondrio, pernottando in Marinelli, o facendo su e giù in giornata. Il Bernina è una cima esteticamente molto bella; non eccessivamente impegnativa e - se il tempo è incerto - non troppo affollata.

Incerto era oggi il cielo, quando ci ho accompagnato il mio compagno di squadra Carlo. Partiti dalla Marinelli ci ha accolti un'alba stupenda sul ghiacciaio dello Scerscen Superiore. Una gigantesca luna piena gialla ha sfiorato la sagoma del Disgrazia prima di svanire dietro ai Gemelli di Chiareggio. Su per il Canalone di Cresta Güzza, seconda colazione in Marco e Rosa, arriviamo in vetta sferzati da un vento gelido che presto trascina con sé le nubi dal gruppo del Cevedale. Il cielo così si chiude e il nostro rientro, compiuto per la forcella e il ghiacciaio di Fellaria, avviene con visibilità di pochi metri e mette a dura prova le mie capacità di orientamento.
Peccato per Carlo che non ha goduto della stupenda vista che si ha dalle Belleviste, i terrazzi glaciali a N del monte omonimo; ma comunque esperienza affascinate.




Partenza: piede della diga di Campo Moro (m 1950).
Itinerario automobilistico: da Sondrio prendere la SP15 della Valmalenco in direzione Lanzada. Alla rotonda in località Vassalini scegliere la prima a dx, attraversare Lanzada (15 km) e seguire le indicazioni per Franscia (5 km), da cui altri 5 km di tortuosa strada asfaltata guidano fino a Campo Moro. Lasciare l’auto nel parcheggio ai piedi della diga.
Itinerario sinteticopiede della diga di Campo Moro (m 1950) - rifugio Carate (m 2636) - bocchetta delle Forbici (m 2664) - rifugio Marinelli-Bombardieri (m 2813) - passo Marinelli Occidentale (m 3012) - rifugio Marco e Rosa (m 3609) - pizzo Bernina (m 4049) - forcola di Bellavista (m 3694) - passo dei Sassi Rossi (m 3504) - vedretta  di Fellaria Occidentale - passo Marinelli Orientale (m 3012) -  rifugio Marinelli-Bombardieri (m 2813) - rifugio Carate (m 2636) - piede della diga di Campo Moro (m 1950).
Tempo previsto: itinerario ad anello da dividersi in 2 giorni, di cui il primo prevede la salita in Marinelli (3 ore). Il secondo giorno sono richieste oltre 12 ore di marcia per raggiungere la vetta del Bernina e rientrare.
Attrezzatura richiesta: corda (almeno 20 m), imbraco, casco, ramponi, piccozza, occhiali da ghiacciaio, fettucce e 2 viti da ghiaccio. Sacco lenzuolo per il pernottamento in rifugio. Kit da ferrata nel caso in cui si opti di salire in Marco e Rosa dalle roccette.
Difficoltà/dislivello: 4.5 su 6 / oltre 2100 m.
Dettagli: Alpinistica PD. Passi su roccia fino al III e creste esposte nella salita al Bernina. Attraversamento di ghiacciai molto insidiosi a causa dei crepacci. Occorre esperienza e conoscenza della zona, altrimenti servirsi di una guida alpina. Se si affronta il canalone di Cresta Güzza per salire in Marco e Rosa si incontrano pendenze fino a 50° con possibilità di ghiaccio vivo e di caduta massi. Pure l’altro accesso alla Marco e Rosa da S, quello per “le roccette” non è banale e privo di rischi, seppur attrezzato con pioli e catene.
Mappe: 
- Kompass n.93 - Bernina-Sondrio, 1:50000

- Valmalenco o Alta Via della Valmalenco, allegate rispettivamente al n. 29 - Estate 2013 de LMD o al volume Eliana e Nemo Canetta, Luciano Bruseghini e Beno, Alta via della Valmalenco, Beno editore, Sondrio 2017.


Sul ghiacciaio dello Scerscen Superiore. Sullo sfondo il Disgrazia affiancato dalla luna piena.

Nel canalone di Cresta Güzza.

All'uscita del canalone di Cresta Güzza.

Sulla spalla del Bernina. Sullo sfondo il pizzo Zupò.

La breve paretina rocciosa (20 m, III), già attrezzata con anelli, per la vetta italiana del pizzo Bernina.

A questa segue una breve ma aerea cresta di neve e roccia.

La cresta S del Bernina vista dalla vetta.

In vetta.

Tra le nebbie, saltando crepacci sul ghiacciaio di Fellaria.

domenica 24 giugno 2018

Gridone (o monte Limidario - m 2188)

Il Gridone, incorniciato da nebbie e rododendri.

Il lago Maggiore è diviso tra Svizzera, Piemonte e Lombardia. In particolare il confine tra Piemonte e Svizzera è costituito dal Gridone (o monte Limidario - cioè "di confine"), una vetta  rocciosa che morfologicamente ben si distingue dalle cime a carattere collinare che orlano il lago. Lo abbiamo raggiunto prendendo il traghetto da Luino, sulla sponda lombarda e, attraccati a Cannobio, vincendo i quasi 2000 metri di dislivello della sua dorsale SE (i cartelli lo danno a 6:45 ore e per stare nelle tempistiche bisogna essere ben allenati!). Al ritorno ci siamo tuffati su Brissago da cui l'ultimo pullman di giornata ci ha condotto a Cannobio. Qui l'ultimo traghetto - quello delle 19 - ci ha riportato a Luino.
Splendide le fioriture lungo il percorso. Dai rododendri sopra i m 1700, al bosco sacro di Mergugno, una foresta pura di maggiociondolo dove solo alcuni faggi secolari si intercalano all'essenza principale. Oggi tutti i maggiociondoli erano fioriti, così in discesa abbiamo corso tra migliaia di pendenti dorati che ci hanno fatto per un attimo scordare che, se avessimo perso il bus delle 18, avremmo dovuto passare la notte in Svizzera perché non ci sono più altri mezzi per rientrare in Italia!

©swisstopo.ch
Il tracciato di giornata. © swisstopo.ch

Partenza: Cannobio (m 200).
Itinerario automobilistico: raggiunta Luino (VA) in auto si prende il catamarano per Cannobio.
Itinerario sintetico: Cannobio (m 200) - Sant'Agata (m 464) - San Luca (m 600) - Marcalone (m 860) - monte Giove (m 1298) - Scierz (m 1235) - monte Faierone (m 1715) - Punta Fronzina (m 1699) - passo Percardugine (m 1646)Cruit (m 2095) - Gridone (m 2188) - bocchetta di Valle (m 1947) - rifugio Al Legn (1729) - Mergugno (m 1035) - Brissago (m 196).
Attrezzatura richiesta: -.
Difficoltà/dislivello: 2,5 su 6 / oltre 1600 m.
Tempo previsto: 11 ore.
Dettagli: T3. Gita molto lunga (oltre 20 km). Dal monte Faierone a Cruit si incontrano tratti su roccia attrezzati con catene. Il sentiero è piuttosto sporco. Il versante svizzero invece è ben tracciato (alcune catene in discesa dal Gridone) e meglio manutenuto.

Mappe: 
- Kompass Lago Maggiore, 1:50000.

Il catamarano da Luino è colmo di passeggeri e così stretto sull'imbarcazione rimpiango quasi di non essere tra gli atleti che sfilano accanto al castello di Maccagno, dove si sta svolgendo una gara podistica.
Sbarchiamo nel bel borgo lacustre di Cannobio, che ricorda i paesini del ramo di Como del Lario, presentandosi con una muraglia di vecchi edifici variopinti che s'affacciano al lago.
C'è il mercato e una ressa incredibile di gente. Cerchiamo di sfuggire velocemente a quella baraonda e, imboccata la SS 34, superiamo il torrente Cannobino, allo sbocco della valle omonima, e presto siamo all'inizio del sentiero selciato che sale a Sant'Agata e già reca indicazioni per il monte Limidario, qui dato a 6:45 ore. Curva dopo curva, gradino dopo gradino, prendiamo quota nel fitto del bosco. incontriamo anche alcune famiglie a passeggio. La via è larga e ben tenuta. Oltre le case di Campeglio, tagliamo ripetutamente il biscione asfaltato fino a raggiungere la frazione di Sant'Agata, la cui importanza è evidenziata dalla grande omonima chiesa secentesca.
Sfilando tra le case, riprendiamo la marcia nel bosco spostandoci a SO e raggiungendo l'isolata chiesa di San Luca.
A breve guadagniamo la lunga dorsale SE del monte Limidario. L'alpe Macalone (m 860), coi suoi prati sfalciati, sorge su un dosso panoramico che s'affaccia al lago Maggiore e ospita un agriturismo e il B&B da Attlio.
La strada da asfaltata si fa sterrata e prosegue verso il monte Giove. Il sentiero un po' la taglia, un po' la segue prendendo quota nel bosco di conifere che si dirada solo nei pressi della vetta: un pulpito da cui si domina il lago e addobbato addirittura con un altare e una croce.
Scesi sul versante opposto perveniamo a una sella, dalla quale seguiamo la strada fino al bel nucleo di Scienz. Baite tipiche col tetto in beola si alternano ad altre ristrutturate con meno gusto.
Poco più avanti abbandoniamo definitivamente la carrozzabile a favore del sentiero bollato che si getta in un fitto bosco di betulle.
La dorsale oltre i m 1500 si fa erbosa e ci porta sul monte Faierone, altro punto di vedetta.
Da qui in avanti lo spartiacque si fa più accidentato e presenta brevi tratti di roccia agevolati da catene. L'erba è alta e rende un po' difficoltoso individuare la traccia.
Scavalcata la punta rocciosa Fronzina, caliamo al passo Percardugine. Qui da dx giunge una bella traccia recentemente sfalciata proveniente dall'alpe Pianone. Siamo quasi tentati a prenderla, ma la nostra condanna è quella di insistere sulla dorsale immersi nell'erba alta.
A sx (O), oltre le selvagge valli Bianca e di Orasso, emerge la possente formazione rocciosa delle Rocce del Gridone.
Oltre il testone del Cruit (m 2085) - evidenziato da una torretta in pietra che contiene una stazione scientifica - la dorsale piega a sx e si fa più rocciosa.
La nebbia ammanta tutto e ci impedisce di capire quanto manca. una breccia piuttosto profonda al culmine della val Bianca, è l'ultimo diaframma che ci separa dal roccioso edificio sommitale.
Un croce addobbata con varie bandierine e affiancata da un campac' rovesciato, indica la vetta del Gridone (m 2188, ore 6:45).
È tardi: l'ultimo traghetto da Cannobio è alle 19 e fare a ritroso la via dell'andata significherebbe perderlo: il tracciato è troppo sporco per permetterci di correre. Così ci gettiamo nel versante svizzero, coperto da tappeti di rododendri.
Qualche catena anche qui agevola inizialmente la discesa che poi si fa più svelta fino al rifugio Al Legn.
Oltre il sentiero s'abbassa tortuoso in un incredibile bosco di maggiociondolo e radi faggi secolari che, tra festoni di fiori gialli, ci accompagna a Mergugno.
Non c'è tempo da perdere e lungo la strada asfaltata seguitiamo a perder quota correndo finché, sotto Rovere, il sentiero taglia i tornanti e svelto raggiunge Incella e Brissago.
Con le ginocchia in fiamme siamo sulla SS34 alle 18:10. Leggiamo con disperazione alla fermata del bus che l'ultimo verso l'Italia era alle 18. Non sappiamo che fare. Forse dovremmo provare a raggiungere Locarno, ma abbiamo con noi solo 30 € e in Svizzera quei soldi bastano a ben poco.
Per fortuna, ancor prima che Gioia inizi ad insultarmi, arriva una corriera. Chiediamo all'autista se va a Cannobio e lui conferma: è il bus delle 18:00 in ritardo! Che culo.
Sporchi, sudati e puzzolenti saliamo e con 4 euro raggiungiamo Cannobio con addirittura 40 minuti di agio sulla partenza del traghetto che ci riporterà a Luino. Il mercato è finito e il borgo deserto. Ai tavoli delle pizzerie i tedeschi cenano alle 18:30. La ragazza della biglietteria del porto ci conferma che abbiamo avuto culo: perso quel bus o questo traghetto non c'è più alcun modo di tornare in Lombardia!
Un gelato e ci imbarchiamo. 
Dietro la striscia di schiuma prodotta dalle turbine del catamarano le case di Cannobio si fan sempre più piccine, mentre il profilo del Gridone e la cresta percorsa si delineano con maggior precisione. Lì si infrangono gli ultimi raggi del sole che scompare dietro le nubi all'orizzonte e segna la fine di questa intensa giornata.

Sant'Agata.

Fico d'India.

La chiesetta di San Carlo.

Cannobio e il lago Maggiore del monte Giove.

Fioritura di Digitalis purpurea sopra Macalone.

Verso il monte Faierone.

Fioriture di rododendro presso la punta Fronzina.

Anche la rosa canina sfoggia i suoi colori.

Maledette nebbie che ci avvolgono in vetta al Gridone.

Sul versante svizzero del Gridone.

Scendiamo verso la bocchetta di Valle.

Presso la bocchetta di valle.

In picchiata verso il rifugio Al Legn.

Nel bosco sacro di maggiociondolo.

Tra festoni dorati

e faggi secolari.


Il lago Maggiore dal maggengo svizzero di Corte di Mezzo.

Cannobio.

Anche se di 4 taglie più grande, una k-way fa sempre comodo per ripararsi dal vento sul traghetto. Chissà però perchè alle gare di corsa ci premiano sempre con vestiti dalla XLin su, quando mediamente pesiamo 40 kg con le scarpe!

giovedì 21 giugno 2018

Breithorn (m 3438) e monte Leone (m 3553)

Le Alpi Lepontine sono il settore dell'arco alpino compreso tra il passo del Sempione e il passo dello Spluga. Le cime, equamente distribuite tra Italia e Svizzera, culminano nel monte Leone (m 3553), bella vetta piramidale a E del passo del Sempione. La montagna è caratterizzata da alte pareti dove corrono ardite vie alpinistiche  e una via normale di salita, quella per la cresta S, dal lungo accesso, ma poco impegnativa.
Oggi abbiamo scalato il monte Leone partendo dal passo del Sempione, dopo aver conquistato pure la semplice vetta del Breithorn che era poco discosta dal nostro tracciato.
La neve, molta e marcia, ha reso inutilmente pericolosi gli ultimi metri della cresta, dove il caldo innescava valanghe di neve bagnata.

Il monte Leone dal Breithornpass. Indicata la via normale per la cresta S.


Partenza: passo del Sempione (m 1987).
Itinerario automobilistico: da Domodossola si segue la scorrevole SS33 del Sempione fino al passo omonimo, che si trova interamente in territorio svizzero.
Itinerario sinteticopasso del Sempione (m 1987) - Breithornpass (m 3345) - Beithorn (m 3438) - monte Leone (m 3553) - Breithornpass (m 3345) -  passo del Sempione (m 1987) .
Tempo previsto: 10:30 ore.
Attrezzatura richiesta: corda (20 m), imbraco, ramponi, piccozza, occhiali da ghiacciaio.
Difficoltà/dislivello: 4 su 6 / oltre 1600 m.
Dettagli: Alpinistica F+. Attraversamento di vasti spazi glaciali. L'unico tratto di arrampicata è sulla cresta S del monte Leone, costituita da blocchi di roccia e lastroni. Se l'innevamento non complica la situazione, si incontrano solo passi fino al II. Itinerario piuttosto lungo e senza punti d'appoggio.
Mappe: 
- CNS 1309 -  Simplon, 1:25000.
Le alpi Lepontine e, con il segnaposto rosso, indicato il monte Leone. © swisstopo.ch
Il tracciato dal passo del Sempione al monte Leone. © swisstopo.ch
Mentre in auto saliamo la val d'Ossola scrutiamo l'orizzonte verso N. C'è una fitta dentatura di vette e cerchiamo di individuare il monte Leone. Sarà il primo toccato dai raggi del sole? O quello che sembra più alto? O quello là più aguzzo? O l'altro più severo? Le proviamo tutte, ma non lo individuiamo con certezza.
A quest'ora del mattino per strada non c'è nessuno. A Crevoladossola la valle si divide in val Antigorio (dx), lungo solco percorso dal torrente Toce e che culmina con la nota val Formazza, e val Divedro che, piegando presto in direzione O si trasforma nell' incassato corridoio che porta alla dogana di Iselle e alle successive e inquietanti gole di Gondo, un canyon serrato tra alte e lisce pareti di roccia scura. Siamo a S del monte Leone, ma è impossibile scorgere la vetta. Due tornanti, una galleria e il biscione asfaltato si stende verso N, verso il passo, raggiunto alle 6 di mattina.
Al parcheggio presso l'Ospizio del Sempione (m 2000) c'è solo la macchina rossa de LMD. Non c'è davvero anima viva, eppure la giornata è stupenda e i +20°C a 2000 metri di quota dovrebbero far scappar la gente sull'alta montagna.
Guardando a E sopra l'ospizio scorgiamo, oltre una gialla distesa di botton d'oro, la valle di Chaltwasser ancora ben innevata. Più in alto, a dx, fa capolino, dietro la possente mole dell'Hübschhorn, il Breithorn. Alla sua sx c'è la sella nevosa a cui culmina l'Homattugletscher: il Breithornpass, il nostro primo obbiettivo di giornata.
Mentre le nebbie si ricorrono sulle alte cime prendiamo quota per tracce di sentiero marcate da ometti puntando al piede della rocciosa cresta NO del Hübschhorn (è la difficile cresta Re Alberto I, percorsa per la prima volte nel 1913 dal Alberto I Re del Belgio con la guida Benedict Supersaxo). Aggirata la dorsale, entriamo nel canale nevoso che lambisce il versante NE della montagna.
Mettiamo i ramponi a m 2350 e svelti saliamo il pendio innevato che, più in là nella stagione, diverrà faticosa ganda.
Raggiunta la conca morenica a m 2600, ci alziamo sulla sx per superare una barra di rocce e raggiungere (ENE) la vallecola ammantata dall'Homattugletscher, trasformato dagli agenti atmosferici in un'immensa distesa di penitentes. Dietro di noi l'inquietante e severo versante E dell'Hübschhorn che, baciato dalle prime luci del mattino, si scrolla di dosso una grande quantità di pietre.
Il caldo ha inflaccidito la neve e i 550 metri di dislivello che ci separano dal Breithornpass (m 3345, ore 4) si rivelano molto faticosi.
Affondiamo ogni passo, ma per fortuna i crepacci sono chiusi. Così in ammollo anche il potere impermeabilizzante e isolante dei nostri scarponi presto cesserà.
Un vento spietato ci accoglie al valico, una larga sella nevosa compresa tra le cime Centrale e Nord del Breithorn.Alle nostre spalle a monopolizzare le attenzioni è il ghiacciato versante N del Fletschhorn (m 3985).
Un laghetto presidia il valico. È tondeggiante, semigelato e di un turchese intenso. L'immissario scende sinuoso da una valletta nevosa completando un quadro di rara bellezza.
La fame ci attanaglia gli stomaci così, trovati alcuni sassi liberi dalla neve, ci sediamo per pranzare e scrutare il Breithorn.
Tracce di sci ne rigano il versante NE, dal quale, senza alcuna difficoltà, raggiungiamo la vetta (Breithorn, m 3438, ore 0:20).
Tornati al Breithornpass e salita la vallecola a E del laghetto, studiamo con attenzione il monte Leone (finalmente visibile), la piramide che chiude l'orizzonte verso E. Da questa prospettiva appare poco slanciata e fprmata da due creste: la O, che raggiunge il Breithornpass e che è nota per essere molto esposta, e la S, da cui sale l via normale. Proprio lungo la cresta S a m 3373 e circa 600 metri a S della vetta, si trova un intaglio a cui culmina un pendio/canale nevoso. Lì dovremo attaccare la cresta e lì ci dirigiamo attraversando l'Alpjergletscher.
Perdiamo inizialmente un centinaio di metri di quota, per poi procedere grossomodo in piano compiendo un arco in senso orario ai piedi della vetta.. La marcia lunga e la neve marcia ci invitano a trovare un buon compromesso tra l'accorciare il cammino e l'evitare dislivelli inutili.
oltre 1 ora di cammino e siamo ai piedi della cresta S, che rimontiamo grazie a un ripido pendio. Giunti sulla dorsale S (m 3350 ca., ore 1:30) nei pressi di una specie di castello roccioso, ci affacciamo alla val Davino, da cui ci sospende una vertiginosa e friabile parete alta 800 metri.
N è la direzione che dovremo prendere. A N s'alza una cresta di blocchi e lastroni ancora abbondantemente innevata. Dai fianchi della cresta scendono copiose valanghe di neve bagnata frammista a sassi.
Ci facciamo coraggio e saliamo, cercando quanto più possibile le rocce scoperte o il filo di cresta. Questo per evitare di essere coinvolti in qualche slavina.
Negli ultimi metri la cresta si fa stretta, ripida e piuttosto esposta. Non c'è alcuna grave difficoltà tecnica (passi di I e II- ) , ma solo la paura di essere trascinati a valle da qualche scarica o di inciampare a causa dello zoccolo che si forma sotto i ramponi.
La tensione si smorza solo in vetta, dove il segnale trigonometrico sancisce che si è sul tetto delle Lepontine (monte Leone, m 3553, ore 0:40).
Il panorama è vastissimo, secondo solo alla mia sete e alla mia voglia di levarmi di lì prima che la situazione valanghe possa ulteriormente peggiorare. Ma non posso resistere e sfoglio incuriosito il libro di vetta.
Sono 15 giorni che non sale più nessuno. Prima di allora invece sono state numerose le comitive di sciatori che hanno condotto il pellegrinaggio di fine stagione sul monte Leone.
Inoltre trovo varie firme di alpinisti che hanno percorso la cresta E, uno spigolo aereo di oltre 1300 metri di dislivello che s'alza dal lago d'Avino. A guardarlo oggi mette un nodo in gola. Eppure dalla vetta se ne scorge solo il semplice tratto conclusivo! Credo tornerò presto per salirlo con qualche amico: le vie come questa, aperta da Aldo Bonacossa con Gigi Vitali nel 1945, mi entusiasmano sempre.
Vorrei calare sul versante S, per traversare verso il passo del Sempione. Ma chissà se da lì si passa.
Lo stralcio di carta svizzera che ho con me termina più in alto e non vorrei dover risalire centinaia di metri di dislivello dopo aver scoperto che la traversata che ho in mente è pura fantasia.
Fossi da solo la rischierei, ma preferisco evitare l'eventuale e incontestabile ira di Gioia!
Nuovamente flagellati dal vento, ripercorriamo i nostri passi, ma solo dopo aver innescato una valanga scendendo dalla cresta. Una bella valanga a pera di quelle da mettere sul manuale del CAI.
Scherzando, coi piedi fradici e infreddoliti, risaliamo al Breithornpass e, fuggendo dalle nostre ombre che si allungano alle ultime luci del sole, scivoliamo fino a m 2300, dove recuperiamo il sentiero per il passo del Sempione (m 2000, ore 4).

L'Ospizio del Sempione sovrastato dalla valle di Chaltwasser. Le nebbie nascondono il Breithorn, altrimenti visibile sulla dx.
Fioriture du botton d'Oro al passo del Sempione. Sullo sfondo il Fletschhorn.
 
Verso la valle di Chaltwasser.
Aggirata la cresta NO del Hübschhorn, iniziamo a salire con decisione verso il Breithornpass.

La frastagliata cresta OSO del monte Leone.
Dalla conca a m 2600 all'Homattugletscher.
Ai piedi dell'Homattugletscher.

Tra i penitentes sull'Homattugletscher.
Salendo Homattugletscher.
Salendo l'Humattogletscher. In alto fa capolino la quota 3372, detta cima Nord del Breithorn.

Il tracciato per la maggiore delle cime del Breithorn dal Breithornpass.

Sulla cresta S del monte Leone.

In vetta al monte Leone.
Panorama dalla vetta del monte Leone.

Lago epiglaciale al Breithornpass. Sullo sfondo in primo piano il Breithorn, in lontananza il Fletschhorn.
Il versante E dell'Hübschhorn.

Tornando al passo del Sempione.

 
Fioriture al passo del Sempione.

Ostello del Sempione. A sx la punta di Terrarossa e a dx il Breithornpass.