lunedì 22 giugno 2020

Rimpfischhorn dalla cresta sud (m 4199)

Del Rimpfischhorn non avevo mai sentito parlare. Parrebbe da considerarsi come itinerario scialpinistico del Canton Vallese più che temuta montagna dall'estenuante avvicinamento. Due rifugi, il Britanniahutte e il ristorante Mittelallalin, sono appollaiati come castelli di fantasia rispettivamente su forcelle a Nord e a Ovest dell'Allalin, ghiacciaio che appena 55 anni fa lasciò cadere un frammento della bellezza di 2 milioni di metri cubi sul grande cantiere sottostante, seppellendo decine di operai al lavoro per costruire la diga a gravità Mattmark. Laddove si separò il seracco è ora una distesa di nevai e anche luogo del nostro accampamento. La nuda e cruda realtà circostante ci farà marciare per chilometri su neve via via più cedevole fino al Rimpfishsattel, un belvedere sul gruppo del Rosa, sul Cervino e sfuggente tra le nubi sulla cara Dent Blanche. La cima di giornata invece torreggia all'estremità meridionale di una cresta molto frastagliata, micro mondo alpinistico che condensa in duecento metri tutti gli elementi per rendere questo fantomatico quattromila facile mozzafiato.



Il Rimpfischhorn da NE.



Partenza: piede della diga Stausee Mattmark (m 2050 ca.).
Itinerario automobilistico: da Intra (VB), raggiungibile col traghetto da Laveno (VA) si prende la SS 33 del Sempione che, buche a parte, è piuttosto veloce. Entrati in Svizzera a Gondo, oltre le omonime inquietanti gole, saliamo al passo del Sempione, per discendere dall'opposto versante verso Brig. Senza raggiungere Brig, in fondo alla discesa puntiamo a O (direzione Sion) e a Visp usciamo dall'autostrada svizzera e seguiamo per Zermatt e Sass Fee. Risaliamo la valle fino a Stalden, quindi prendiamo il ramo più orientale (l'altro va a Zermatt). A Sass Grund andiamo verso Saas Almagell, oltre cui  insistiamo fino al termine della strada asfaltata (23 km dall'inizio della valle), che è poco prima del coronamento della diga dello Stausee Mattmark. Qui il parcheggio è a pagamento, ma più sotto la si può lasciare gratuitamente.
Attenzione: se a Brig si prende l'autostrada occorre acquistare il bollino.
Itinerario sintetico: piede della diga Stausee Mattmark (m 2050 ca.) -  Allalingletscher - Allalinpass - Rimpfischhorn (m 4199).
Tempo di salita: 7 ore.

Attrezzatura richiesta: scarponi, ramponi e piccozza, 30 m di corda, 4 cordini, 3 moschettoni.

Difficoltà:  4 su 6.

Dislivello in salita: 2350 metri.

Dettagli: Alpinistica PD. È una lunga passeggiata prima su cordolo morenico, poi su ghiacciaio e infine su per ripidi canali (40°), roccette (fino al III-) e cresta aerea.

base swisstopo.ch


Eravamo quattro amici a cena, e dopo una sostanziosa carbonara cucinata da Cavallo e Gioia, nonché un tour di vino, birra e liquori, abbiamo effettuato una rapida spunta materiali dandoci appuntamento all'indomani. Ogni volta che prendo il traghetto per Intra so che mi aspetta un lungo viaggio in macchina e una tremenda quanto appagante fatica. Stavolta circolano voci che sarà una scampagnata. Certo non da viaggiare come merce su funivia, però comodi e spensierati.

Fatta la spesa a Domodossola e barattato dei saluti con del formaggio d'alpe dalla mamma e dalla nonna di Ale ci avviamo per il passo Sempione. Una volta in territorio elvetico compaiono cime imbiancate e appuntite da ogni lato. Cavallo, al suo primo quattromila, ha molte domande da rivolgere a Beno, ma una volta giunti a Saas Fee nota i torrenti impetuosi e subito si pente di non aver portato la canna da pesca. In effetti siamo tutti dotati degli urinari ufficiali delle Montagne Divertenti, cioé cappellini alla pescatora biancorossi, che ci fanno sembrare una compagnia di appassionati dell'amo quando non la squadra nazionale di tiro con l'arco. Parcheggiamo ai piedi della diga Mattmark (m 2050 ca.), in un ambiente pietroso ma costellato di radure fiorite, arbusti e qualche pozza stagnante. Alle nostre spalle la Weismeiss, che oggi indossa un cappello di nubi, copre alla vista le dorsali del Fletschhorn e del Lagginhorn. Alzando lo sguardo a sera, cercando la meta odierna, scorgiamo quella che dev'essere la spessa lingua del ghiacciaio, sospesa quasi a tremila metri. Senza indugio ci incamminiamo seguendo una pista sterrata poco ripida che dopo un pugno di tornanti scema in un sentiero. Traversiamo in piano a N e presso una briglia, pieghiamo a sx e saliamo prima in un vallone, poi sul cordolo della morena. Saliamo tranquillamente, carichi di tende e fornelletti da campeggio, sicché abbiamo il tempo per meravigliarci. Da questo sito angusto prende a correre una pernice che poi spicca il volo, col piumaggio stagionale marroncino ingrigito, brava a distrarci dal suo nido che infatti non troviamo.  Appare anche un rapace, forse un avvoltoio, sì! E' proprio un gipeto pettoruto, la testa di un giallo fulgente, a malapena immortalato da Beno. Infine rivolgendoci alla sponda opposta sulla dx ci scopriamo noi stessi avvistati da alcuni stambecchi curiosi che presto si dileguano.

Un ultimo sforzo, due nevai che cedono sensibilmente alle nostre orme inumidendo scarponi e calze, e siamo sulla prominenza scelta per la notte a m 2950 (ore 2:30). Disponiamo subito zaini e fornelletto acceso per sciogliere la neve sulla pietraia a fianco, una piccola tribuna affacciata allo Strahlhorn, dopodiché allestiamo le due tende sulla neve. A me e Cavallo tocca creare un piano facendo da bolla umana, così dopo aver fissato gli ultimi picchetti entriamo nelle rispettive brande e rotoliamo, tirando ginocchiate e pugni, fino a che c'è una parvenza di materasso. Fuori comincia a imbrunire e si accendono le luci della Britanniahutte e della Mittelallalin, bucherellando l'oscurità di questa scenografia teatrale. Non ci lasciamo corrompere nell'animo da tanto sfarzo, e non appena le pepite di neve si sciolgono in pentola stappiamo le tolle di trippa. Per antipasto salame, speck e assortimento di formaggi. Estrema fiducia viene riposta nel nostro chef alpinista Ale. La neve però ha i suoi tempi e non tardano i brividi mentre aspettiamo di squagliarne dell'altra per riempire tutte le thermos di thé ed essere svelti al mattino.
Anche i rifugi hanno già spento le candele. Ultimati i nostri compiti, sotto un cielo stellato sbiadito, e di fronte al bagliore arancio artificiale della pianura piemontese, brindiamo con un liquore al lauro sopravvissuto alla sera precedente, giusto per non lesinare sulle calorie e per riscaldare le membra prima di entrare negli igloo. O almeno le leggende sull'alcol così raccontano.
 Il mio materassino è assottigliato da dieci anni di utilizzo e insieme alla base cerata della tenda frena a stento il gelo, così come sfiorarne le pareti equivale a spalancare la porta del frigo. Di là russano in men che non si dica. "Ma li senti quelli là? Ci hanno fregato" scherza Ale. Sembra facciano a gara, nonostante Cavallo disponga di un sacco a pelo leggerissimo che non gli avrebbe dovuto permettere nemmeno di chiudere occhio. Non possiamo che riderci sopra e rincorrere il sonno, a queste altezze non scontato. D'un tratto la tenda comincia a scuotersi e sentiamo crepitare contro i teli. Dopo qualche minuto Ale chiede cosa sia. Nel dormiveglia abbandono l'idea di un animale che si aggiri nel nostro campo base e rispondo: piove. L'altro, ben più lucido di me, decide di affacciarsi di fuori così mi torco per guardare a mia volta. Una buferina frizzante sta stuzzicando la tenuta delle nostre suites. Niente di allarmante. Avvertiamo i vicini e Beno chiede di controllare che la corda già approntata coi nodi a palla e le asole per gli imbraghi non venga sepolta. Ale ci pensa per un istante drammatico poi esclama "Magari fra un attimo". Scoppiamo a ridere perché è evidente che nessuno ha voglia di uscire sotto l'intemperia. Comunque la corda si vede e le briciole di nevischio ghiacciato sono innocue.
Ci svegliamo, per così dire, alle 4 e mezza e ci mettiamo subito in marcia per scaldarci. La neve ha una scorza dura e vogliamo sfruttarla finché porta. Cerchiamo di tenere la sx per anticipare la virata lungo il vallone dell'Allalingletscher.  Una depressione sotto di noi rivela alcuni crepacci. Sulla dx distinguiamo una serie di lucine di natale che scivolano giù dai rifugi come tante formiche. In parte invidio gli sciatori saliti con gli impianti.

Procediamo tenendoci alla sx di bastionate rocciose che hanno scaricato piccole slavine dai propri colatoi. Non è ancora definito il piano di giornata, se saliremo sull'Allalinhorn o sullo Strahlhorn dopo aver chiuso il Rimpfishhorn. Lo capiamo con lo scorrere delle ore, a batter traccia in cordata, che dovremo accontentarci di un solo quattromila. Sistemo l'urinari e avanziamo, la pazienza da pescatori non ci manca. Finalmente scolliniamo alla quota di 3556 metri del passo Allalin, sul versante orientale del ghiacciaio Mellich, decisi a fare colazione mentre folate di vento artico ci prendono a sberle. E togli i guanti, scatta una foto, spilucca questo e bevi quello, la mani sono subito intorpidite. Ripartiamo col doppio dei vestiti addosso e ci manteniamo all'altezza della sella. Dopo un traverso che nasconde definitivamente la mite sagoma dello Strahlhorn, ci abbassiamo di cinquanta metri pestando uno smottamento. Di lì a poco mi torna prepotente il sangue alle dita: non mi ero neanche accorto di quanto fossero compromesse. Faccio un bel respiro e mi preparo alla fastidiosa ripresa di sensibilità, ma quando raggiungo il picco di dolore le mani continuano a bollire. I compagni restano un pò attoniti ed Ale mi offre le sue moffole mentre mi inginocchio e impreco per non pensare. Mi libero degli inefficienti guanti a cinque dita e provo a darmi sollievo stringendo i pugni o intrecciandoli. Ale, impressionato dal colore bordò, insiste per cedermi le moffole così ci infilo le mani, ma il gran tepore al loro interno rende insopportabile la ricapillarizzazione e le denudo ancora dai polsi alle unghie. Intanto Beno suggerisce di sopprimermi con la picca, così non proverò più dolore. Poco a poco smettono di bruciare e scusandomi per l'attesa possiamo riprendere la marcia. Per precauzione infilo doppi guanti. Gli sbalzi di temperatura, tra ultravioletti rispecchiati e aria gelida ci stanno devastando a nostra insaputa. L'ambiente è tanto incantato quanto ostile, un infinito e candido altopiano desertico: benvenuti nel Mellichgletscher.

Facendo affidamento ai solchi di sci che ci hanno preceduto seguiamo una traiettoria ondulata assecondando i pendii. Aggirando l'ansa successiva contempliamo un angolo di ghiacciaio rimasto svestito dalla neve data la sua verticalità: stalattiti e colonne creano un reticolato di decine di metri. Sembra un pezzo mancante della Sagrada Familia, tessuto vivo. "Un Alien!" Dice qualcuno. Da qui in poi le pendenze si fanno più importanti e intuiamo che il canale di accesso alla vetta, unica difficoltà dichiarata, è prossimo. Incrociamo una coppia di sciatori che scende beata. Prima di affrontare quella che sembra l'ultima rampa attraversiamo un crepaccio in parte sommerso, sfruttando un ponte di neve che si inerpica per quasi due metri guadagnando un ripiano. Per lo stesso scendono altri due sciatori francesi con grande cautela, poi un terzo baldanzoso che compie un salto atletico e disfa parte del tappo di neve. Ci penseremo al ritorno.

Cavallo fa fede al suo nome e tiene duro nonostante lamenta crampi e un ritmo troppo elevato. Gli basta fiatare una ventina di secondi per ripartire di buon passo, e non sospetta che in realtà siamo tutti conciati per le feste e che le pause sono un toccasana anche per noialtri. Contiamo alla rovescia le centinaia di metri, poi le decine che ci separano dal Rimpfishsattel, il plateau alla base del canale conclusivo. Ed eccoci in vista dell'imbocco, marcato dalla presenza di alcune racchette e sci conficcati nella neve. Sembra fatta. Beno ci precede slegato, esausto del tira e molla battendo traccia come un ossesso, perciò mi ritrovo primo di cordata. Occorre concentrarsi per salire all'unisono, sostare e tenere la corda bella tesa nei passaggi più impegnativi. Se da una parte la neve fresca e compatta rende impossibile scivolare, dall'altra rivela roccette irte da arrampicare con le punte dei ramponi mentre mani e picozza ravanano o trovano appigli migliori. Arriviamo a una svolta inaspettata, un sottilissimo traverso (sx) nella neve che richiede di mettere un piede davanti all'altro con estrema cautela, ossia senza ramponarsi le ghette. Diamo la precedenza a un energumeno russo che sta guidando un giovane. Ca va? Bien et vous? Tres bien. Poi tocca a noi. A monte inserisco la picca e nel segmento finale affondo anche la mano libera nella neve, poi usandola per arpionare alcune prese di un gibbone roccioso d'ostacolo al cammino. Raggiunto Beno dall'altra parte mi attacco alla fettuccia disposta attorno a uno spuntone e recupero con un mezzo barcaiolo Ale e Cavallo. Da qui un'altra cengia scavata al cui termine si diparte, dopo una breve dorsale rocciosa, un canale immerso nella neve, esposto se lo si risale dalla groppa spostata a nord, e che proietta sul filo di cresta. A metà Beno colloca una fettuccia ma prima di salire triboliamo con la sosta precedente. Libero, districo, moschettono e siamo pronti. Cerchiamo di essere agili perché la nostra guida ha mal di testa e non vogliamo giocarcela. Saliamo tutti e quattro in conserva. Non appeno vedo strati affilati di pietra nera li saggio per salire con più sicurezza ed evitare di nuotare. In cima un chiodo a t è saldamente cementato alla roccia e il primo di cordata decide di attrezzare una sosta, sembra provato. Una cordatina francese giunge allo stesso punto. Si litiga a chi è più cortese, alla fine la spuntiamo e diamo la precedenza. Via libera. Quindi Beno gira intorno alla svolta abbandonando il nostro versante e lo udiamo quasi sconfortato: «Placche bagnate!». Mi consolo di essermi divertito abbastanza, disposto a tornare, eppure là dietro viene timbrato il passaggio infido e siamo tutti invitati a salire. Parto. Aggirare il masso soprastante richiede un movimento di equilibrio ancorandosi ad esso, così ne afferro i lati come se tentasse di svignarsela e sposto i piedi di là. Sono sulle placchette. Dietro di me con la coda dell'occhio avverto il grande vuoto di quanto scalato finora, mentre al mattino la cresta si arrotonda pochi metri per poi inabissarsi come una scogliera dei fiordi del nord. Non mi resta che apprezzare la roccia piatta e impercettibilmente fessurata. Con gesti delicati la supero sfruttando ogni misera cavità che il sole mette in chiaroscuro. Seguono gli altri compagni, e comunico con decisione a Cavallo, incerto sul da farsi, che per aggirare il masso deve prenderlo per le maniglie dell'amore. Lo lascio poi nelle mani esperte di Ale. Con pazienza e a suon di corda tesa ci ricompattiamo. Ma dopo avermi recuperato Beno è già oltre, impegnato in tratti di facile arrampicata lungo la cresta tortuosa. Ora lamenta anche nausea. Non faccio in tempo a raggiungerlo che scompare dietro alcune roccette. Vede la croce di vetta a cinque metri così faccio passaparola per galvanizzare gli altri. Una volta in piedi sul dosso scopro che per i cinque metri di ravanata finale bisogna in realtà camminare lungo una suggestiva linea di impronte sul ciglio della montagna. Ale indomito chiede se siamo ancora in conserva mentre Cavallo, come rivelerà poi, si sta chiedendo se è previsto anche il ritorno da questa avventura. Lancio un'occhiata a Beno e vedo che fa passare la corda direttamente intorno alla croce di vetta. Mi volto e annuncio la buona novella, "Gesù in persona ci sta assicurando!"

Una volta radunati sotto croce ci scambiamo i complimenti e guardando Cavallo non possiamo esimerci dal riconoscere che per lui è stato un battesimo di fuoco. Scoprirò in seguito che lo è stato anche per me, dovendo riparare le croste e la pelle desquamata della fronte con creme varie. La vetta intanto costringe a disporsi in fila come al cinema. Ma non ci godiamo il panorama. Leggo la targhetta col nome della cima per imparare a pronunciarla, mentre Beno estrae una mela e ne divora una parte offrendola come una preda fresca ai compagni. Nella fretta di tornare al plateau Rimpfishsattel scattiamo al volo la foto con Alfredo Corti, rammaricandoci di non aver scattato nulla in cresta, e cominciamo la discesa senza ulteriori cerimonie. Ale attrezza di volta in volta le soste mentre Beno, devastato da mal di montagna o da virus passeggero che sia, ci cala dall'alto col mezzo barcaiolo. Con lo stesso nodo lo recuperiamo mentre scende: non è la maniera più sicura o civile - di certo la più adrenalinica e celere - ma raggiungere la base del canale e dare tregua alla nostra guida acciaccata è l'imperativo. In men che non si dica siamo ai traversini, in seguito ai quali Beno toglie le briglie, lasciandomi la corda da legare a tracolla, e si fionda giù per i 45 gradi del pendio fino al comodo plateau. Ci ritroviamo dopo alcuni minuti:è accucciato a riprendersi.
All'improvviso un alito di vento si prende il mio urinari dalla testa e lo spedisce ad oriente, così accenno un passo per inseguirlo. Inutile, ormai è scomparso nel baratro pur di farsi il terzo ghiacciaio di giornata, l'Adler. Ultimi a scendere dalla montagna, commentiamo straniti, dato che un paio di sci sta ancora conficcato lassù, in attesa di essere recuperato dal proprietario. Io ne ricordo addirittura uno solo.

Inizia la parte più faticosa della giornata. Chi va davanti? Ale prende le redini, Beno in fondo. Scendiamo concedendoci molte pause. La neve s'è ammollata al punto da rendere preferibile l'ascesa mattutina. In principio l'allontanamento è sopportabile, però, quando non abbiamo né la voglia né la forza di estrarre la macchina foto dallo zaino per riprendere le copiose slavine sul versante ovest del Rimpfishhorn, capiamo di essere allo stremo. Anche sull'energia di un clic si risparmia. Continuiamo per mezz'ore interminabili, beviamo e ogni tanto ci leviamo uno strato. Su indicazioni di Beno, Ale ed io leggiamo attentamente la via del ritorno per evitare i dislivelli inutili dell'andata. Di nuovo ai 3556 metri del passo Allalin soffia una bora familiare. Ale suggerisce di mettere la giacca antivento ma ci illudiamo di poterci riparare appena sotto la sella. Duecento metri più in basso l'aria non dà tregua. Seguiamo il consiglio del nostro chef e belli imbardati riprendiamo una lenta processione.  Si affonda e quando la neve si fa solida, all'ombra della parete dell'Allalinhorn, la parvenza di sollievo e il ricordo di come si cammina svanisce nella pozzanghera successiva. "E' una campagna di Russia!" commenta Beno. Cavallo prenota alcune preziose pause da mezzo minuto e in una di queste vedo Ale appoggiarsi ai manici delle bacchette. Mi rendo conto che è stravolto e abbiamo già superato metà della strada per il nostro bivacco. Gli dò il cambio. Trovare un ritmo costante è arduo e dopo un'altra infinità di tempo scorgiamo le tende, anzi la tenda. Ale con occhi di falco si accorge che una è sparita dal nostro promontorio innevato e la individua nella scarpata di sfasciumi sottostante, dove abbiamo cenato la sera prima. Saranno saltati via i picchetti allo sciogliersi della neve in puciacca, e a questo ritmo distiamo oltre un'ora. Il sole sulla via del tramonto batte le nuche e mostra le nostre ombre claudicanti. Più tardi ci abbassiamo a sx in una depressione crepacciata, nascondendo allo sguardo lo stato dell'accampamento che Eolo sta usando come aquilone. Risaliamo una manciata di metri e ci spostiamo definitivamente sull'asse est ovest, in prossimità del campo base di cui sappiamo essere volata via la metà. Ci sleghiamo, saltellando su due macereti emersi dalla neve insieme agli ometti che segnalano per la Britanniahutte. Sorpresa! Anche l'altra tenda è volata via. Troviamo orme e una catasta di vari oggetti e sacchetti. Qualcuno ha avuto la gentilezza di raccogliere il possibile? Ci dividiamo in due squadre per recuperare le tende. Per fortuna gli involucri interni hanno retto e in venti minuti riusciamo ad impacchettare la roba. Nulla è rotto né perduto. Solo noi stolti rischiamo di esserlo, e come muli divalliamo appesantiti sugli argini morenici. Mille metri ancora. A valle la ferrea memoria di Beno ci conduce nell'alveo del torrente glaciale dove riassaporiamo vera acqua, buonissima, e riposiamo scherzando sull'avventura ormai giunta al suo termine. Ripresa la via Beno ha anche recuperato un pò di salute e dignità, così allunga il passo e scompare più in là, in direzione della macchina. Cavallo è sicuro che voglia allestire un rinfresco e non viene smentito. Al nostro arrivo il baule è aperto, la scala-tavolino brevettata da Beno imbandita, e i nostri occhi brillano alla vista di patatine, salumi e formaggio, dimentichi per un istante della lunga strada da percorrere al volante, e del traghetto di mezzanotte che ci aspetta a Intra. Dovendo assolutamente recuperare i sali e l'alcolismo di questa due giorni stappiamo due birre e in un brindisi l'aperitivo è servito.



I pizzoni di Laveno dal traghetto Laveno-Intra.

Gipeto sopra la diga Mattmark.

Salendo sul cordolo della vecchia morena dell'Allalingletscher.

Il nostra accampamento.

La cena.

Il cielo stellato sopra lo Strahlhorn.

Verso l'Allalinpass.

Nebbia avviluppano lo Strahlhorn.

Una regolatina ai ramponi all'Allalinpass.

Sul ghiacciaio di Mellich.

A m 4000, verso l'edificio sommitale del Rimpfischhorn.

Lungo il canale.

A metà del primo canale.

Quanti 4000!

Dal canale si esce su una stretta cengia.

Alla quale, dopo una selletta, ne segue una seconda, poi si arrampica per qualche metro su roccette e si esce su un nuovo canale.

Ai m 4199 della vetta.