domenica 30 giugno 2019

Strahlhorn (m 4190)

Nelle valli di Saas Fee e di Zermatt, ovvero rispettivamente Saastal e Mattertal, assai prolifica è l'industria dei 4000. E con industria non mi riferisco alla generosa opera di Madre Natura che ha ben dotato l'area di cime che superano la fatidica quota, quanto alla vera e propria industria turistica che è sorta dietro all'ambizione di ogni sedicente alpinista di raggiungere le più alte vette d'Europa. Per estendere il commercio di tali trofei anche a persone fisicamente impreparate sono state predisposte svariate agevolazioni, tra cui funivie prossime a rifugi a oltre 3000 metri che azzerano gli avvicinamenti e limitano le ascensioni agli ultimi metri. Ricordo qualche anno fa di aver osservato questa bizzarra pratica anche da noi in Valtellina. Protagonista era stato un politico italiano, Alemanno - sindaco di Roma -, che aveva conquistato il Bernina salendo in elicottero alla Marco e Rosa per riservare al suo nobile piede solo gli ultimi e più blasonati metri di dislivello. 
Qualora poi la vetta si opponesse all'esser salita da ogni peone, la si è addomesticata con corde fisse, spit e scalette. Così, come a sparare al leone dalla jeep, l'avventuriero alpestre gode nell'aver catturato quella che prima dell'industria dei 4000 era una preda difficile.
Oggi andremo su uno di questi 4000, ma lo saliremo "da òm", ovvero avvalendoci delle nostre sole gambe. So già che saremo assolutamente soli sulla montagna fino ad incrociare la traccia proveniente dal rifugio a cui si arriva in funivia... poi sarà un puttanaio.
Ah, che cima vogliamo fare? Lo Strahlhorn, il picco più meridionale della teoria di  8 quattromila che separa la valle di Zermatt da quella di Saas Fee. Dista poche centinaia di metri dal confine con l'Italia e si affaccia al gruppo del Rosa e al Cervino, nonché alla Weissmies dalla quale l'avevo notato un paio di giorni fa.

Lo Strahlhorn e il tracciato di salita visto dalle pendici della Weissmies.


Partenza: piede della diga Stausee Mattmark (m 2050 ca.).

Itinerario automobilistico: da Sondrio la strada più scorrevole misura 330 km. Si prende la SS38 fino a Piantedo, quindi la SS36 fino ad Arosio, dove si esce a sx e si va a intercettare presso Lomazzo la Pedemontana Lombarda (A36) che poco prima di Gallarate (140 km da Sondrio) s'innesta sulla A26. Da qui seguiamo le indicazioni per il Sempione. A Ornavasso termina l'autostrada e ci immettiamo sulla SS 33 del Sempione che, buche a parte, è piuttosto veloce. Entrati in Svizzera a Gondo, oltre le omonime inquietanti gole, saliamo al passo del Sempione, per discendere dall'opposto versante verso Brig. Senza raggiungere Brig, in fondo alla discesa puntiamo a O (direzione Sion) e a Visp usciamo dall'autostrada svizzera e seguiamo per Zermatt e Sass Fee. Risaliamo la valle fino a Stalden, quindi prendiamo il ramo più orientale (l'altro va a Zermatt). A Sass Grund andiamo verso Saas Almagell, oltre cui  insistiamo fino al termine della strada asfaltata (23 km dall'inizio della valle), che è poco prima del coronamento della diga dello Stausee Mattmark. Qui il parcheggio è a pagamento, ma più sotto la si può lasciare gratuitamente.
Attenzione: se a Brig si prende l'autostrada occorre acquistare il bollino.

Itinerario sintetico: piede della diga Stausee Mattmark (m 2050 ca.) -  Allalingletscher - Strahlhorn (m 4190).

Tempo di salita: 6 ore.

Attrezzatura richiesta: scarponi, ramponi e piccozza, uno spezzone di corda per il ghiacciaio.


Difficoltà:  3+ su 6.


Dislivello in salita: 2240 metri.


Dettagli: Alpinistica F+. È una lunga passeggiata prima su cordolo morenico, poi su ghiacciaio. Non c'è alcuna difficoltà tecnica, ma bisogna stare attenti a non finire nei crepacci. Il ghiacciaio è molto molto lungo!


© swisstopo.ch

Degli itinerari automobilistici scelgo sempre quello dove c'è meno da guidare, così anziché aggirare dal basso il lago Maggiore, lo attraversiamo nel mezzo con l'imbarcadero che il 20 minuti porta me, Gioia e l'auto da Laveno, sulla sponda lombarda, a Intra, su quella piemontese.

Fa un caldo maiale. Dopo una pizza a Domodossola, ci intrufoliamo nelle gole di Gondo e, tra la dogana italiana e quella svizzera, ci buttiamo nel torrente per rinfrescarci.

+20°C ai m 2000 del Sempione. Par fresco, anche se vista la quota e visto che sono le 20:30, non lo è affatto.
Giù a Brig il termometro torna a +30°C, poi salendo sopra Stalden i gradi calano pian pianino.
La valle è angusta e inospitale, ma alcuni terrazzamenti vitati ne ornano i fianchi fino a m 900. Poca roba rispetto a ciò che si vede nella vicina val d'Herens, a S di Sion, ma comunque impressionante. In alto baite e prati sfalciati in luoghi dove in Italia non ci si fanno più pascolare nemmeno le capre. Un rigore e una cura del paesaggio, quello svizzero, certo non privo di contraddizioni. Non mancano infatti ecomostri in cemento che si affiancano a case tipiche coi tetti in beola, ma il bilancio è comunque positivo. Una montagna dove sopravvivono le attività tradizionali, purtroppo accanto a un turismo spesso spregiudicato, che parrebbe l'inevitabile prezzo da pagare per una certa prosperità economica.
Ai lati della strada fanno capolino alte cascate, ai piedi delle quali giacciono ancora depositi valanghivi. Oltre Saas Almagell, ultimo paese della valle, il biscione asfaltato corre indisturbato verso le alte quote. La vegetazione si dirada. Qua e là gente accampata in auto o in furgoni si appresta a passare la notte come noi, in punta di piedi, immersi in un grandioso ambiente naturale.
È l'ora blu quando stiamo camminando sull'argine dello Stausee Mattmark. S'accende venere sopra le vette gemelle dello Stellihorn. 5 caprioli corrono sullo sbarramento, tutto realizzato in pietra e senza cemento, il più grande di questo tipo in Europa. 
La costruzione della diga, avvenuta tra il 1960 e il 1965, fu flagellata da una grave tragedia. Il 30 agosto del 1965 si staccò infatti dal ghiacciaio dell'Allalin una valanga con fronte di 1 km e con un volume di 2 milioni di metri cubi. Una frana di ghiaccio e detriti che seppellì il campo degli operai causando 88 vittime, tra cui molti italiani.
Proprio in questo luogo, a N della diga, parcheggiamo l'auto, l'assettiamo per la notte, e ci godiamo 5 ore di sonno al fresco. Finalmente! Mettiamo anche la coperta!
Sveglia alle 3:30, colazione e via alla luce dei frontalini salendo la pista sterrata che s'alza a dx  (N) delle placconate lasciate dal ritiro del ghiacciaio e ora rigate da cascate e rivoli d'acqua di scioglimento. È impressionante pensare che nella prima metà del '900 il ghiacciaio giungesse  nel fondovalle, proprio dove abbiamo parcheggiato ed ora è tutto fiorito. L'Allaningletscher è scappato quasi 800 metri più in alto!
Passiamo sotto alla morena laterale sx del ghiacciaio dell'Allalin, quindi scavalchiamo la meno pronunciata morena laterale dx del Holaubgletscher.
La strada, già non più transitabile da un pezzo a causa di frane, termina presso una briglia in cemento. Qui, spenti i frontalini, iniziamo a salire accanto al torrente senza un vero e proprio sentiero. A m 2450, prima di alcune rocce lisciate, deviamo a sx e ci issiamo sulla morena laterale dx del Holaubgletscher, che a questa quota ha una scarpata comoda da rimontare. Raggiunto il cordolo siamo sorpresi dalla valletta erbosa triangolare con tanto di capre che che è cinta dalle due morene dei ghiacciai. I cordoli della morena dell'Allalin e quella del Hohlaub convergono a m 2681, dove un ometto di pietra ci rincuora sul fatto che, ogni tanto, qualcuno passi di qui. Insistiamo a OSO, ammirando sulla dx impetuosi salti d'acqua, per rimontare da dx la barra rocciosa a m 2900 (ore 2:30).
In alto a N, su una selletta, c'è il Britanniahutte, rifugio a cui i cacciatori di 4000 si appoggiano.
Più su, a ONO, si vede l'imponente struttura del Mittelalanin, altra facilitazione per domare i 4000 della zona.
Fin qui siamo stati soli, né una persona, né un'impronta, ma sappiamo che l'andazzo cambierà.
Pochi metri su pietraie in piano e indossiamo i ramponi. Siamo sul ghiacciaio dell'Allalin e lo percorriamo dal suo lato sx orografico, cioè tenendoci a dx, ma a debita distanza dalle pareti generose nello scaricare blocchi.
La vedretta prende quota moderatamente, ma essendo molto lunga alla fine di dislivello se ne guadagna.
A m 3300 c'è un tratto pianeggiante, dove il ghiacciaio di Mellich scende lungo il corridoio compreso tra l'Allalinhorn e il Rimpfischerhorn e confluisce in quello dell'Allalin. Qui si sta formando un grande lago epiglaciale che chissà quali disastri potrà combinare. Ci riposiamo sedendoci su quattro sassi galleggianti, poi riprendiamo la marcia verso S salendo nel mezzo tra due aree crepacciate e infilandoci nella valle a dx (O) della cresta settentrionale dello Strahlhorn. Iniziano a spuntare omini da ogni dove.
A piedi, con gli sci. Tutti già ben più avanti di noi o sulla via del ritorno. Gli spazi sono talmente ampi che tra il vedere un puntino e quando ci si incontra passa molto tempo.
Italiani, tedeschi, francesi, svizzeri. A un certo punto ce ne passa accanto uno talmente grosso che subito spiego a Gioia: «In salita erano una cordata da 9. Sono rimasti in 4. Gli altri 4 se li mangerà come aperitivo in attesa del pranzo alla Britanniahutte. Brutta cosa la fame!»
Nel novero degli umani sul ghiacciaio un gran quantitativo è sorprendentemente sfuggito alla selezione naturale o ha fatto un fioretto alla Madonna che non avrebbe fatto alcuna attività fisica nel corso della propria vita. Per loro la funivia è stata ovviamente indispensabile nell'indispensabile necessità di annoverare dei 4000 nel proprio curriculum sportivo.
Un ultimo  tratto un po' più ripido ci porta all'ampia cresta ONO dello Strahlhorn, poco a monte dell'Adlerpass. Il valico, posto a m 3785 e marcato da un rettangolo di vernice bianca, s'affaccia al massiccio del Rosa, coi suoi ghiacciai ingialliti dalla sabbia del deserto giunta pochi giorni fa.
Sulla dorsale, oltre al già citato Rosa, fa capolino pure sua maestà il Cervino, ma presto pure Weisshorn, Dent Blanche, Obergabelhorn, Dom.... solo per citarne  alcuni in ordine sparso.
Un ultimo sforzo su neve marcia e siamo sull'affollata vetta dello Strahlhorn (m 4190, ore 3:30). O meglio, siamo accanto alla croce di vetta dove si accalcano bipedi sprezzanti del caldo e vestiti di nero, ma questa è la moda! Sono agghindati con cordini, caschi e viti da ghiaccio che osservano con disappunto la mia camicia a fiori e il cappellino di paglia. Ci basta fare 4 metri su cresta per toccare la vera vetta, desertificata dall'esposizione su modesti precipizi, e insistere a E per altri 15 metri, dove si devono addirittura usare le mani, per ritrovarci completamente soli a godere degli immensi spazi e dei panorami dell'alta montagna, raggiunta senza farle violenza.
Pisolino bello lungo e ci svegliamo finalmente soli sullo Strahlhorn, mentre i puntini si dirigono al Britanniahutte, dissolvendosi in lontananza. Nessuna voce, solo il frastuono intermittente di scariche di massi e neve dalle poderose pareti rocciose del Rimpfischerhorn e dell'Allalinhorn.
Il rientro è su neve così marcia da sembrare granita, ma è comunque molto svelto.
La giornata si chiude con bagno nel torrente, merenda e nuovo pisolino ai piedi dello Stausee Mattmark. Aspettiamo la sera per il rientro, ond'evitare le ore più calde del solleone. Anche qui: calca di gente nel parcheggio a pagamento presso il coronamento del lago e nessuno sotto in questa bucolica piana ai piedi delle cascate formate dalle acque di scioglimento dell'Allalin. Uno spettacolo. Alla fine non ho da lamentarmi, anzi devo ringraziare il Padreterno che ha fatto sì che la maggior parte delle persone si comporti come le pecore, lasciando così un sacco di spazio libero in un mondo sovraffollato.

Lo Stausee Mattmark all'ora blu.

Alba sullo Stelihorn.
Campi di neve verso quota m 2900.

La Britanniahutte vista da m 2900.

L'Allalingletscher e, sulla sx, lo Strahlhorn.

Ci si assetta da gletscher.

A sx lo Strahlhorn, a dx il Rimpfischhorn.

Verso la cresta occidentale dello Strahlhorn al cospetto del Rimpfischhorn.

Il monte Rosa.
In vetta. In lontananza la Dent Blanche.


In vetta.
Fase REM o RIP?

Il Cervino.

Discesa sull'Allalingletscher. In secondo piano l'Allalinhorn.

Attimo di sconforto da stanchezza ai piedi del Rimpfischhorn.

Al lago epiglaciale in formazione a m 3300.

Britanniahutte e Weissmies.
Strani depositi di sabbia verde e nera sul ghiacciaio.


Di nuovo ai piedi della diga.

La piana ai piedi dello Staubsee Mattmark e, a dx, il ruscello che scende dal ghiacciaio dell'Allalin, di cui si scorge la fronte sulla soglia a m 2800, cioè 800 metri più in alto. Fa specie pensare che meno di 100 anni fa il ghiacciaio occupasse questa piana dove oggi facciamo il bagno per sfuggire al caldo!

giovedì 27 giugno 2019

Weissmies (m 4017)

La Weissmies è uno dei 4000 più facili delle Alpi. L'avevo adocchiato l'anno scorso dal pizzo d'Andolla. È una bella piramide di roccia e ghiaccio che si trova in Vallese poco a N del confine italo-svizzero, sulla dorsale che divide la valle del passo del Sempione (la prosecuzione dell'italiana val Divedro) dalla valle di Sass Fee (Saastal).
Il 90% delle cordate sale in vetta dai m 3100 dell'Hohsaas, dove giunge in funivia.
Per arrivare in vetta da "òm", decido invece di avviarmi in bici da poco sopra Gondo e percorrere interamente la lunghissima Zwischbergental prima su due ruote, poi su due gambe.

La Weissmies dal ghiacciaio di Allalin.
Il versante Se della Weissmies con la via di salita.

Partenza: Sera Staubsee (m 1278).

Itinerario automobilistico: da Sondrio la strada più scorrevole misura oltre 250 km. Si prende la SS38 fino a Piantedo, quindi la SS36 fino ad Arosio, dove si esce a sx e si va a intercettare presso Lomazzo la Pedemontana Lombarda (A36) che poco prima di Gallarate (140 km da Sondrio) s'innesta sulla A26. Da qui seguiamo le indicazioni per il Sempione. A Ornavasso termina l'autostrada e ci immettiamo sulla SS 33 del Sempione che, buche a parte, è piuttosto veloce. Entrati in Svizzera a Gondo, subito dopo la dogana si abbandona la strada per il Sempionee si cala a sx nella valle. Al di là del torrente una stretta strada asfaltata guadagna con tornanti la soglia sospesa della Zwischbergental. A m 1278, al temine della diga di Sera (Sera Stausee), la strada si biforca. Si prende a sx la pista sterrata che s'addentra nella valle non lontana dal Grosses Wasser (il torrente). Circa 1 km dopo ho parcheggiato perchè la pista era interrotta per lavori.

Itinerario sintetico: Sera Staubsee (m 1278) - Fa (m 1758) - Cheller (m 1773) - Gmainalp (m 1854) - Zwischbergenpass (m 3270) - Weissmies (m 4017).

Tempo di salita: 8 ore.

Attrezzatura richiesta: scarponi, ramponi e piccozza, uno spezzone di corda.

Difficoltà:  4+ su 6.


Dislivello in salita: 2800 metri.


Dettagli: Alpinistica F+ È una gita lunghissima. Le uniche difficoltà tecniche sono nella parte finale (dai m 3400 in su). Si trovano passi di II+. La cresta finale è un po' aerea, ma niente di terrificante.



© swisstopo.ch



© swisstopo.ch


Sul lago Maggiore fa un caldo assurdo e non tira un filo d'aria. Ci sono  30°C e sono le 22:30. Le previsioni sostengono però che il peggio debba ancora arrivare. Anche sul traghetto non c'è il solito benessere dato dalla brezza del lago. Salgo svelto la val d'Ossola a bordo del mio potente Porter. Ho sul cassone la bici e una tela cerata. Parcheggerò il mezzo sopra Gondo, dormirò nel cassone, per ripartire nottetempo in bici.
A livello teorico è tutto pianificato. Mi sono studiato la gita da alcune foto aeree e come al solito mi sono ben guardato di leggere qualsiasi relazione onde non rovinarmi quel minimo di avventura che potrebbe riservare.
Oltre la dogana piego a sx, scendo verso il torrente che attraverso, per risalire la stretta e tortuosa stradina che, dopo aver toccato quella croce luminosa che si nota dalla strada del Sempione, accede alla soglia sospesa della valle.
Al bivio dopo il Sera Staubsee (m 1278) mi incasino seguendo a dx il cartello per Zwischbergen. È solo l'indicazione per il ristorante. Questa strada seguita su per il monte e non s'addentra nella valle.
Torno al bivio e prendo la pista parallela al torrente, ma dopo poco più di un chilometro un cartello di divieto per lavori in corso pone la parola fine alla mia ambizione di limitare il dislivello.
Parcheggio e mi infilo sul cassone a dormire. Qui vicino al torrente c'è un po' di fresco e il sacco a pelo torna utile.
Non sento la sveglia, così mi alzo solo alle 3:45 e parto in sella alla bici alle 4 lungo la pista preclusa al traffico veicolare.
I cantieri sono sparsi lungo la polverosa pista, ma si procede bene fino a m 1420 dove un ulteriore cartello vieta anche il transito a piedi e invita a portarsi in dx idrografica. Da buon italiano lo ignoro, ma presto mi accorgo che la pista è realmente interrotta da voragini entro cui si stanno posando delle tubature.
Torno indietro, lego la bici al cartello di divieto, e inizio a camminare.
Vampate di aria bollente mi investono di tanto in tanto. Ho la sensazione di star svenendo perchè mi manca il respiro: non si tratta però di malessere, ma di foehn estivo, accompagnato da inversione termica e dovuto a correnti torride di origine africana che stanno demolendo tutti i record di caldo del mese di giugno. Oltre una stretta della valle, a m 1686 il sentiero a tratti selciato che ho percorso, si immette sulla pista in sx idrografica, tocca il bacino di Fa (m 1758, ore 2) e approda alle baite Cheller, poste nella piana chiamata Bidemji.
Un cane abbaia come un forsennato e a breve mi si para dinnanzi un uomo in mutande che par reduce da una sbornia. Ci facciamo un cenno di saluto col campo e mi allontano. Al termine della piana passo accanto alle dirute baite di Gmainalp. La via si impetta e raggiunge il successivo ripiano a m 2000 (alpe Mürlini). Alla mia dx un'alta barra di rocce sostiene il terrazzo su cui c'è la baita Galki, dov'ero passato l'anno scorso con Giacomo.
Oggi però decido di stare nel fondovalle e seguo i bolli, o meglio le strisce bianche o rosse che individuano un tracciato poco inciso appena in dx orografica. A m 2180 tutti i vari rigagnoli della valle si uniscono nel Gletscherwasser. Qui perdo qualche metro di quota e scendo nel centro della valle.
C'è ancora molta neve, così, messi i ramponi per far meno fatica, salgo nel mezzo della valle in direzione NO. Nonostante il caldo (ci sono 25°C alle 7 di mattina), la neve porta ed è dura. Alle mie spalle sta sorgendo il sole e sta pure arrivando una nube giallognola: è la sabbia del Sahara
A m 2800 accedo al ripiano superiore della valle. Sulla sx i vari corpi in cui si è smembrato lo Zwischbergengletscher coprono le pendici del pizzo d'Andolla.
Insisto nel centro della valle fino a m 3070, cioè al cospetto del muro di rocce che cala dalla cresta tra il pizzo d'Andolla e la Weissmies. Qui vado a dx e rimonto i pendii SE della Weissmies transitando non lontano dallo Zwischbergenpass (m 3280, 3:30 ore).
Per neve salgo fino a m 3650, quindi guadagno e seguo la cresta SSE. Questa, di roccia molto buona e stabile, mi accompagna, con passi su roccia che arrivano al II+ e senza percorso obbligato, fino all'anticima di m 3972. La cresta piega quindi a sx e diventa nevosa. Circa 400 metri sulla dorsale, che è un po' aerea ma priva di difficoltà, mi conducono in vetta (Weissmies, m 4017,  2:30 ore), dove si trovano altri alpinisti, tra cui 3 italiani a cui chiedo conferma che questa sia la cima: l'altimetro infatti mi segna solo m 3700. Loro mi rincuorano e mi dicono che anche i loro altimetri danno una misura ampiamente per difetto.

Non c'è calca. Per fortuna. Il panorama è molto ampio, ma la sabbia del deserto rende l'aria fosca.
Il rientro, un po' col culo, un po' scivolando, è velocissimo. Ritrovo l'uomo di stamattina. È in mutande e collassato sopra un tavolo di legno. Non si accorge nemmeno del mio passaggio, cosa che fanno invece gli operai addetti alla posa dei tubi. Dopo un primo bagno nel torrente, già alle 17 sono a Domodossola, dove il termometro segna 40°C!
Mi accordo con Gioia per cenare in spiaggia sul lago Maggiore e stare in ammollo fino ad accumulare sufficiente freddo per una notte che si dice sarà torridissima.


Le prime luci da Gmeinalp.


L'alba e la sabbia del deserto in arrivo.


Metto i ramponi.


L'arrivo dell'aria del Sahara.


Verso il Zwischbergenpass.


Fioritura di Saxifragra oppositifoglia a m 3200.


Il pizzo d'Andolla.


Alpinisti sulla cresta fotografati dalla vetta della Weissmies.


Dalla vetta della Weissmies.


Dall'anticima a m 3972.


La cresta SE vista in discesa.


Fioritura di ranuncolo dei ghiacci.


Gmainalp.


Il termometro, lasciato per 15 minuti nella neve, segna ancora + 35!


Gondo.

lunedì 24 giugno 2019

Ti chiudi in casa per sfuggire al caldo?

Lunedì 24 giugno 2019  - estratto dalle previsioni della Società Meteorologica Italiana

"LA SITUAZIONE METEOROLOGICA LUNGA ONDATA DI CALDO, PUNTE FINO A 40 °C TRA GIOVEDI' E VENERDI' SULLE PIANURE DELLA LOMBARDIA OCCIDENTALE"

Ma non solo il caldo preoccupa, bensì anche l'aumento costante della concentrazione dei gas serra:

CO2 media settimanale  http://www.nimbus.it/concentrazioneCO2.htm
La scorsa settimana: 414.03 ppm
1 anno fa: 410.38 ppm
10 anni fa: 389.20 ppm
valore preindustriale (1750) = 280 ppm




Detto ciò, dovremo forse tapparci in casa per non diventare bastoncini di carne secca, aspettando di scappare in alta quota, dove si è rifugiato pure lo zero termico, risalito fino a m 4800, cioè in vetta al monte Bianco!
Probabilmente, finché rimarremo nel fondovalle, sarà una settimana noiosa.
Che noia, che barba, che barba, che noia!
Abbiamo perciò chiesto consiglio a un saggio animale, che per sfuggire all'estinzione triassica ha sviluppato la sua particolare tecnica evolutiva:





domenica 23 giugno 2019

Pizzo Barone (m 2864)

Dopo mesi che me la consigliavano, in quanto selvaggia e con splendide escursioni, finalmente mi decido ad andare a visitare la ticinese val Verzasca, patria dell'omonima razza di capre. 
Parallela della val Maggia, la val Verzasca s'alza a N di Gordola, paesino immediatamente a E di Locarno. In linea d'aria la val Verzasca è lunga 26 km e al suo apice, al culmine della tributaria val Vegorness, si trova il pizzo Barone, che ne è la massima elevazione e il nostro obbiettivo di giornata.


La testata della val Vegorness da Corte di Fondo.

Partenza: Sonogno (m 918).
Itinerario automobilistico: da Sondrio per la SS38, quindi la Regina, credo sappiate tutti raggiungere Lugano. Sono un centinaio di chilometri. Da qui avete due opzioni: o prendere l'autostrada verso Bellinzona e da lì seguire per Locarno, oppure, se non volete acquistare il bollino annuale dell'autostrada svizzera, da Lugano potete dirigervi a Ponte Tresa, quindi a Luino e dalla cittadina puntare a N lungo la sponda del lago Maggiore.
In entrambi i casi, prima di Locarno trovate le indicazioni per la val Verzasca. Da Gordola si alza la strada che con un po' di curve guadagna l'accesso sospeso della valle, dove si trova la diga di Vogorno. Si costeggia il lungo lago sulla dx idrografica, quindi si prosegue verso N toccando Brione, Frasco e infine Sonogno, limite del transito consentito (26 km da Gordola). Prima del paese, sulla dx, vi è un ampio parcheggio a pagamento. Costa 10 franchi al giorno. Portatevi sufficiente moneta svizzera.
Itinerario sinteticoSonogno (m 918) - Cabiói (m 1078) - Corte di Fondo (m 1487) - Corte della Piana (m 1552) - Piodoo (m 1950) - capanna Barone (m 2172) - lago Barone (m 2391) - pizzo Barone (m 2864) - ritorno per la stessa via.
Tempo previsto: 6:30 ore per la salita.
Attrezzatura richiesta: scarponcini da trekking. Ramponi e piccozza solo con neve residua.
Difficoltà/dislivello in salita: 3 su 6 / oltre 1950 metri.
Dettagli: T3+. Sentieri segnalati e comodi fino in vetta, ma che con neve nell'ultimo tratto possono risultare insidiosi. Sopra il lago infatti c'è una ripida rampa (35°) che porta a rimontare un terrazzo esposto, del tutto innocuo se pulito.


© swisstopo.ch
Da Gambarogno, pesino svizzero quasi in cima al lago Maggiore, l'imbocco val Verzasca si mostra dall'altra parte del lago, sospeso tra due versanti puntinati di case e ben individuabile per il grande argine della diga di Vogorno.
Attraversato il verde piano di Magadino, accarezzato dalla luce radente dell'alba, siamo a Gordola, dove ha inizio la strada cantonale della val Verzasca.
Una manciata di tornanti e una singolare galleria con curva ci portano sopra il lago di Vogorno, un lungo fiordo alpino che, via via assottigliandosi, penetra nella valle per oltre 5 km. Lo costeggiamo dalla sponda sx orografica, osservando il prospiciente paese di Mergoscia, non più raggiungibile una volta entrati in val Verzasca. Le due sponde della valle, infatti, non hanno comunicazione stradale. Un po' come Bema e la val Gerola.
Oltre il lago, tocchiamo i paesi di Lavertezzo, dove vi è una bel ponte romano in pietra con due gobbe.
Più su è Brione Verzasca, piccolo abitato che fa comune in corrispondenza del quale verso NO si diparte la val d'Osura. Gioia viene colpita dalle forme aggraziate della chiesa  di Santa Maria Assunta, con il suo abside semicircolare e i muri in pietra. L'edificio è il più antico della val Verzasca e la sua prima struttura risale al XIII secolo, ma così come appare è frutto di successivi rimaneggiamenti ed ampliamenti. Al suo interno si trovano affreschi sempre del XIII secolo, purtroppo in parte rovinate dall'opera di martellatura per intonacarla nel 1800, triste destino toccato a molti edifici religiosi di cui solo recentemente sono stati riportati alla luce i pregevoli affreschi sulle pareti.
Ancor più su vi è Frasco, anch'esso comune. Dal paese si parte a piedi, dopo aver ammirato la spumeggiante cascata d'Efra, per il lago omonimo situato a m 1836 nella val d'Efra.
Meno di due chilometri ed eccoci, finalmente, a Sonogno. Prima del paese, sulla dx, c'è un ampio parcheggio a pagamento. Per fortuna ho un po' di moneta in macchina, perchè la sosta giornaliera costa ben 10 Franchi.
A Sonogno (m 918) la val Verzasca si biforca: a O la val Redorta, a NE la val Vegorness, entrambe precluse al traffico veicolare non autorizzato. Il paesino è cinto da montagne piuttosto imponenti a discapito di un'altezza modesta (nessuna arriva a 3000 metri). In particolare, intrufolandosi con lo sguardo in val Redorta siamo colpiti dalla cime omonima che s'alza in fondo alla valle, ma specialmente dal monte Zucchero, dall'aspetto tutt'altro che dolce, con un grande terrazzo nevoso sospeso a picco tra la la rocciosa cuspide sommitale e la parete meridionale.
Sulla perpendicolare della vetta,  già da tempo illuminata dal sole, sopra i boschi si staglia una bizzarra ombra fallica . Ma guardando le vette prospicienti non si vede nessun picco che ha quella forma e la cosa desta la nostra curiosità.
Ci incamminiamo in val Vegorness per una stradella asfaltata, la quale al primo mattino è tutta in ombra. Di tanto in tanto ci voltiamo, ma del campanile di roccia sulle creste non c'è traccia.
Oltre il ponticello sul torrente finisce l'asfaltata e lascia spazio a una pavimentazione con masselli autobloccanti forati in cemento, quelli che noi a Montagna chiamiamo "matuchìn".
Dopo un gruppo di vacche al pascolo, incontriamo due anziani pastori che mungono pazientemente a mano le loro capre. Di verzasche ne contiamo poche, quando ci saremmo aspettati di trovarle tutte nere. Seppur poco fertile, la vallata è grande e il quantitativo di bestiame parre un po' sottodimensionato per mantenere puliti i pascoli.
$ km di cammino e siamo a Cabiói, raccolto nucleo di baite coi tetti in ardesia. Qui termina la strada e le macchine degli abitanti sono confinate in recinti in legno.
Il sentiero si sposta subito in dx idrografica e tra faggi e rododentri prende quota senza troppa fretta. Alcuni tornantini affiancano una cascata e una bella S del torrente tra le rocce lisciate. I fianchi della vallata sono dirupati e non scorgiamo sentieri che li calcano.
Alle porte dell'alpe Corte di Fondo, sbuca dalla vegetazione un pescatore. Prendiamo uno spavento perchè lo vediamo solo all'ultimo e prima, vedendo muoversi i cespugli e spuntare dritte le sue canne quasi fossero corna, avevamo pensato di doverci trovare a tu per tu con un cervo!
Il pescatore, fiero del suo bottino di 4 trote, indossa le ghette, ci dice per evitare di esser morso dai marassi, che qui sono neri e piuttosto grossi. «Se siete fortunati riuscirete a fotografarne qualcuno anche se a quest'ora il sole è già troppo forte e si nascondono sotto i sassi.»
Purtroppo non siamo fortunati, anzi io non lo sono perché avrei voluto vedere il marasso nero, mentre Gioia è colta dal terrore di serpenti che sbucano da ogni dove per morderla e mi segue come un'ombra.
A m 1487 c'è l'alpe , dove si trovano i pastori con una trentina di capi. Qui le mucche hanno ancora tutte le corna. Dopo che se n'è andato il Cesare, mi capita sempre più raramente di vedere animali non mutilati.
Attraversiamo il torrente su un ponte di legno con fune metallica di sicurezza, poi ci scostiamo da esso e saliamo a sx verso lo stallone con tetto in beole di Corte della Piana (m 1552).
Il sentiero insiste ripido verso N giungendo al cospetto di un'alta cascata il cui getto d'acqua si proietta parecchio in avanti rispetto al gradino roccioso. Traversando a sx e contorcendosi la via bollata prede quota per superare un salto. Rinfrescante è il passaggio accanto a una cascatella che ci obbliga a una doccia per non sporgerci sul bordo del sentiero.
Ancora a ONO su un ripiano, poi uno strappetto e giungiamo al terrazzo di Piodoo, che ospita due baite con bel barech in pietra. Da qui si apprezza la vallata e specialmente le belle forme della Corona di Redorta, la più bella delle cime che ne ornano il perimetro. Ma pure la vertiginosa guglia che sovrasta la bocchetta della Campala non passa inosservata.
Dirigendoci a N, dopo un ultimo strappo tra pietraie siamo alla capanna Barone (m 2172, ore 4:30): due edifici allineati con tetto a capanna in beola circondati da staccionata in legno contenente panche e un ergonomico quanto sinuoso sdraio in doghe di legno.
Un cartello dà il pizzo Barone a 1:45 ore. È una previsione un po' ottimistica, specialmente per oggi, dati i 700 metri di dislivello di cui 600 a mollo nella neve.
Mezz'ora di cammino tra pietraie e magri pascoli ci porta sulle rive del grande lago Barone, a cui qualcuno attribuisce una forma a cuore che non riesco sinceramente a riconoscere. Lo specchio d'acqua, oggi solamente all'inizio del disgelo, è posto in una conca tutta nevosa ed è sovrastato dal turrito pizzo di Piancoi, mentre a NO la vetta del pizzo Barone si cela dietro i suoi contrafforti meridionali.
Ci incamminiamo proprio a NO  superando alcuni dossi, quindi una ripida rampa nevosa. Non abbiamo i ramponi, così man mano saliamo dobbiamo prestare sempre più attenzione perchè una scivolata potrebbe costarci cara. Saliamo fin quasi contro la barra di rocce, per piegare a sx e rimontare il grande terrazzo roccioso a ma 2650. Ne percorriamo il bordo inferiore dove la neve s'è già sciolta fino alla sua estremità e , dopo 250 metri circa, c'inerpichiamo (dx) su per il pendio e veniamo così a capo di un successivo gradino roccioso, quello il cui bordo è a m 2800.
Finalmente ora si capisce qual è la vetta. Si trova più a dx (NE) e la croce ci rincuora sull'esattezza della nostra intuizione. Dobbiamo però superare un ulteriore gradino di roccia e lo facciamo aggirandolo da dx e conquistando così l'ampio e pianeggiante testone sommitale del pizzo Barone (m 2864, ore 2).
Il panorama è stupendo e amplissimo, la temperatura confortevole, il cibo buono, ma il sonno ci attira di più e ci addormentiamo nello spiazzo sgombro da neve e affacciato alla val Maggia dove sono la croce di ferro e il libro di vetta.
«Beno!!!!»
Chi è? Non c'era nessuno in giro oggi!
Alziamo gli occhi: c'è un uomo su un parapendio che ci passa sopra a pochi metri, poi ripassa e saluta, poi ripassa di nuovo e si dilegua in lontananza verso il monte Zucchero.
«Ma chi è che ti ha chiamato per nome?» mi chiede Gioia.
«Che ne so!». Riguardo le foto che gli ho fatto, ma non riesco a riconoscerlo.
Sono le 17:30 e mai mi sarei aspettato nel cuore del Ticino che un omino volante mi svegliasse sul cocuzzolo di una montagna gridando il mio nome!

Sono le 17:30: meglio scendere o prendiam notte. Così giù svelti ma, quando mancano 2 ore all'auto abbiamo un'altra visione: dal bosco, contromano rispetto a noi, sbuca una donna alta, con fluenti e brizzolati capelli ricci che s'appoggiano a aguzze spalle e un corpo longilineo. Veste una gonna lunga e dei sandali minimalisti del tutto inadatti alle pietre e alle ortiche. Ci sorride. La segue a pochi metri da un uomo con lunghi capelli ordinati e abito elegante. Lui è più musone e ci osserva apatico. Alla faccia della notte che incombe, stanno passeggiando nelle faggete lontano da tutto e si stanno ancora dirigendo verso l'alto. Il contrasto tra il loro vestire, la loro calma e la valle selvaggia all'imbrunire ci lascia senza parole.
Ci sentiamo in colpa perchè noi anzichè goderci la pace della val Vegorness, stiamo correndo verso l'auto. Forse dovremo fermarci e con calma gustarci l'arrivo della notte.
Ma la fame aiuta la forza di gravità a trascinarci verso il basso... sarà per la prossima volta. Promesso.


L'imbocco della val Verzasca visto da Gambarogno.

Al centro il monte Zucchero, a sx la Corona di Redorta, mentre in basso la bizzarra ombra fallica di cui non capiamo l'origine.

La cascata sopra Corte della Piana.

Panorama da Piodoo.

La capanna Barone. Il pizzo Barone è in alto a dx, anche se il cocuzzolo è nascosto e da questa prospettiva parrebbe più basso del pizzo di Scinghign, la torre rocciosa sulla sx.

Il lago Barone al disgelo.
La vetta del pizzo Barone.

L'uomo in parapendio che ci ha svegliate in vetta chiamandomi per nome.

I primi metri in discesa dalla vetta.

Verso il lago Barone. Sullo sfondo iil pizzo di Piancoi.

Il lago Barone.

Cabioi.