mercoledì 21 agosto 2013

Pizzo Badile (m 3305) - parete NE - via Cassin





Via Cassin al pizzo Badile. Dopo la cengia mediana nel diedro muscolare (VI).




Partenza: Laret (m 1350)
Itinerario automobilistico: Chiavenna - Bondo - val Bondasca (permesso da distributore automatico - 10 €).
Tempo previsto: 6-12 ore per la via Cassin. 2:30 ore per raggiungere la base dello spigolo dove accamparsi. 1-1:30 ore dall'accampamento all'attacco.
Attrezzatura richiesta: 2 corde da 60 metri, cordini , casco, moschettoni, discensore, imbraco, serie di nut e friend fino al 3, scarpe da roccia. Scarponi, ramponi  e picca indispensabili se c'è neve sulla cengia iniziale e utili per il rientro dal passo Porcellizzo.
Difficoltà/dislivello: 5.5 su 6 / oltre 2000 metri di cui 800 di parete.
Dettagli: TD passi di VI grado su roccia sempre bellissima. Arrampicata estremamente varia. 22 lunghezze in parete + 4 sullo spigolo. Sempre ben proteggibile, difficoltà piuttosto continue, muscolare la seconda metà. Soste tutte attrezzate a fix.
Discesa: dalla via normale fino in Gianetti. Poi si rientra attraverso il passo Porcellizzo e il passo Trubinasca (tenendo conto che bisogna risalire all'accampamento a recuperare i sacchi a pelo dalla vetta del Badile all'auto ci vogliono ancora 8-10 ore e oltre 1200 metri di dislivello positivo - attenzione al ghiacciaio dietro al passo Porcellizzo se non si hanno i ramponi).

Mappe:
- Kompass n. 92 -  Val Chiavenna - Val Bregaglia, 1:50000
- Valmasino. Carta Escursionistica, 1:30000
- CNS. foglio 1276 - Val Bregaglia, 1:25000

Guide: Mario Sertori e Guido Lisignoli, Solo granito, ed. Versante Sud, Milano 2007- 2009 (è in preparazione la nuova edizione aggiornata).

Pizzo Badile - parete NE e via Cassin - foto Roberto Moiola.


La via Cassin sulla parete NE del pizzo Badile è una delle più note e ripetute delle Alpi Centrali. 
Ciò è dovuto sicuramente all'odissea vissuta da Cassin, Esposito, Ratti, Molteni e Valsecchi tra 14 e il 16 luglio 1937 durante l'apertura di questo difficile itinerario, ma i ripetitori sono tanti anche perchè con i mezzi moderni e le soste attrezzate, l'ingaggio per la via non è molto alto, anzi questa è alla portata di tutti i buoni rocciatori con esperienza d'alta montagna.
Non vi scriverò alcuna relazione, tanto in rete è pieno di scritti ottimi. Tuttavia l'esperienza più bella che si può ancora avere è quella di salire allo sbaraglio, informandosi bene solo di come s'arriva all'attacco, quindi godersi e cercare l'itinerario, che è il più logico com'era nello stile di Cassin.

E così abbiam fatto io, Andrea e Lele, dormendo sotto un grande masso della pietraia lunare che si trova alla base dello spigolo N del Badile, circa 45' sopra la capanna Sass Furà.
Notte stupenda con la val Bregaglia illuminata da una luna fortissima.
In piedi alle 5:30, quindi su verso lo spigolo nel traffico intenso del mattino bregaglino. Per fortuna il grosso dei pendolari lavora sullo spigolo.
Oltre la prima torretta (m 2500 ca.) abbiamo trovato la cengia sulla sx che in discesa porta nel centro della parete NE dove ha inizio la via (1 calata).
Il traffico era sostenuto, una decina di cordate. Non è una cosa che apprezzo molto, ma devo esser sincero: con il riferimento di quelli davanti la via si semplifica ulteriormente.
La parete è molto ombrosa. Abbiamo goduto solo di due orette di sole (separate da un'ora di ombra mentre il sole girava attorno al Cengalo), ma l'isolamento e l'ambiente sono molto meno opprimenti di vie come la SO del Roseg o la Bumiller al Palù.
Inoltre qui la salita è monodisciplinare, per cui scarpette e scarpe da ginnastica per il rientro sono tutto ciò che ci è servito.
Qualcuno poi parla di tiri di 6a che assolutamente non si incontrano. 
Riassumendo, la salita può essere divisa in tre parti:
- quella bassa che inizia col diedro Rebuffat (IV+) offre un'arrampicata coi passaggi chiave su placca (VI- il tiro più duro). Il settore termina sulla cengia mediana (ho tirato io).
- alla larga cengia mediana si imbocca il diedro più a sx (faccia a monte), per poi spostarsi in quello alla sua dx dopo 20 metri. È forse il tiro meno intuitivo (VI). Una volta capito, seguono altri due splendidi tiri su diedri con roccia eccezionale (V+, VI). Si esce in una zona di placche e senza grosse difficoltà arriviamo alla base del grande camino che porta allo spigolo (ha tirato Lele);
- il camino si rivela più impegnativo del previsto, anche perchè con gli zainoni si deve vincere il primo tiro alti ed in spaccata rispetto al fondo del colatoio (V+). La via poi si incassa e c'è qualche pietra mobile. 3 sono in totale i tiri dal V al V+, poi tutto si fa facile fino allo spigolo, e pure da questo alla vetta (calcolare circa 45').

Alcuni tratti li abbiamo fatti in conserva e questo permette di risparmiare molto tempo. Bisogna inoltre cercare di superare le cordate troppo lente o si esce dalla via che è notte.
La Cassin mi è molto piaciuta, anche se sinceramente me l'aspettavo più impegnativa e meno trafficata. Incengiate comprese, ci abbiamo messo 8 ore. Credo che a ripeterla col senno di poi e conoscendo i passaggi, in 5-6 la si possa salire tranquillamente.
Abbiamo anche incontrato un forte rocciatore che ha fatto la Cassin solo e slegato in meno di due ore.
A lui vanno i nostri complimenti! 

Questo nastro da pacchi potrebbe servirci per una doppia d'emergenza!
Le Sciore.
Rifugio Sass Furà, punto di partenza per le gite sui versanti N di Badile e Cengalo.
Ma noi poveri squattrinati cerchiamo un ricovero gratuito alla base dello spigolo N.
Circa a m 2400 troviamo alloggio sotto un masso e ci mummifichiamo.
La notte di luna piena in val Bregaglia è stupenda.
La discesa dallo spigolo alla cengia d'ingresso  vista dalla cengia stessa.
Al termine della cengia ci si incolonna per fare il primo tiro, quello che porta al diedro Rebuffat.
Al termine della cengia di ingresso.
Dalla cengia mediana.
Primo tiro dopo la cengia mediana (VI). Se non si esce dal diedro (dx) dopo 20 m, ci si va a incengiare come abbiamo fatto noi. Lele ha seguito i chiodi dei pionieri dello sbaglio e ha dovuto ricalarsi dal tetto sommitale per tornare in via.

Secondo tiro dopo la cengia mediana - un diedro a lame (V+).
Il terzo tiro dopo la cengia mediana (VI), un bel diedro atletico.

Il terzo tiro dopo la cengia mediana (VI).
Il primo atletico tiro nel camino sommitale.
In vetta al Badile.





giovedì 15 agosto 2013

Pizzo Rondenino (m 2747) - cresta N


Pizzo rondenino - il tracciato della via Longo - Martina

Si tratta di una via super selvaggia che vince il possente sperone N del pizzo Rondenino, al centro della testata della val d'Ambria. Sono oltre 600 metri di dislivello, ma non si incontrano problemi seri.
Passi su roccia fino al IV obbligatori e difficoltà concentrate nei primi 200 metri, poi se si vuole arrampicare un po' si deve andare a cercare i passaggi o si è costretti a passeggiare.
Isolamento garantito.

Partenza: bivio sopra Vedello (m 1050 ca.). 
Itinerario automobilistico: alla fine della tangenziale di Sondrio (direzione Tirano), prima del passaggio a livello si svolta a dx e si segue la strada provinciale fino a Busteggia. 100 metri oltre l'ex canile (semaforo) si prende la stradina sulla dx che sale a Pam per poi ricongiungersi all'arteria principale per Piateda Alta. Dopo circa 7 km da Sondrio si è al bivio in località Mon. Si segue sulla dx la carrozzabile che si inoltra in val Vedello fino alla centrale di Vedello (m 1000, 6 km).  Si continua sulla strada sterrata e, meno di un km oltre la centrale, si giunge al tornante dove c'è il bivio Ambria-Agneda. Si parcheggia nei pressi del tornante.
Itinerario sintetico: bivio sopra Vedello (m 1050 ca.) - Ambria (m 1325) - lago Zappello - baite Dossello (m 1593) -  pizzo Rondenino (m 2747) - pizzo Poris (m 2712) per cresta N -traversata al monte Aga (m 2720) passo di Cigola (m 2486) - passo Brandà - lago Venina - Ambria (m 1325) - bivio sopra Vedello (m 1050 ca.). 
Tempo previsto: 3 ore per l'avvicinamento - 4 ore la via - 4 ore per il rientro dalla val Venina. 
Attrezzatura richiesta: corda (almeno 30 metri), casco, fettucce, friend fino al 3, cordini.
Difficoltà/dislivello: 4+ su 6 / circa 2600 m.
Dettagli: Alpinistica AD Passi di IV grado. Roccia generalmente buona, anche se con tratti friabili.
MappeKompass n.104 - Foppolo - Valle Seriana, 1:50000






Quattro pellegrini raggiungono Ambria al mattino. È ferragosto e nel paesino brulica di vita. Tanti anziani sono sugli usci delle case che chiacchierano, le donne fanno i mestieri o curano i fiori che abbelliscono i davanzali.
Prendiamo a sx la val d'Ambria, constatando che i frutti dei sorbi degli uccellatori sono già maturi. Rossi fiammanti.
Una volta ho bevuto la grappa fatta col sorbo ed era davvero squisita. Si potrebbe provare a farla.
Vanno messi in una damigiana a macerare con un sifone per l'uscita dei gas che, immerso in un secchio, impedisce all'aria di rientrare. Almeno, a Castello dell'Acqua, un signore stava adottando quel metodo per la grappa di pere.
Incontriamo un po' di manzetti alla centrale di Zapello, poi le mucche si fanno sempre più fitte e segnalano il lago di Zapello, oggi ridotto ad una misera pozza infestata di zanzare.
Percorriamo tutta la piana della valle, salutiamo i pastori alle baite Zapello. Son lì a fare il burro.
La scena è simile ad una vecchia foto di Alfredo Corti di 80 anni fa http://www.archiviocorti.it/Sites/171/WebExplorer/Archivio%20Corti/1024/AC-SV-0626.jpg che riprendeva la lavorazione nella vicina alpe Cigola. Oggi di pastori se ne contan solo 2, mentre allora erano 5.
Gioia e Mario ci salutano: vanno proprio su all'alpe Cigola a raccogliere mirtilli. Io e Lele facciamo la via: ci ritroveremo entro le 17 in cima al monte Aga.
Il pizzo Rondenino è quello in centro alla testata della valle, quasi anonimo se confrontano coi vicini pizzo del Diavolo e monte Aga. Ha un possente sperone che scende a N e individua il vallone glaciale compreso tra Rondenino e Aga, mentre  sul versante orientale sono le vaste e scure placconate a disegnare la montagna.
Puntiamo per faticose gande al punto più basso dello sperone N e da lì saliamo quasi cento metri sulla dx finchè vi è un grosso sasso (molto grosso) e un settore di roccia chiara.
Attacchiamo qui per placche poco ripide di roccia inaspettatamente solida, dato che siamo nelle Orobie.
Dopo esserci spostati un poco a dx dello spigolo nel primo tratto, lo riguadagniamo e lo seguiamo con buona verticalità per un centinaio di metri.
Qui si trovano i passaggi più ostici (IV), poi la via non è più obbligata e , se si vuole arrampicare, si devono cercare i passi più belli.
Una relazione diceva che i chiodi da roccia sono indispensabili. In realtà il martello a me è servito solo per farmi dei lividi sulle gambe. Se si accetta qualche protezione un po' distanziata, friend e cordini sono più che sufficienti. Poi c'è qualche chiodo in loco.
In cima al primo sperone della cresta, seguono un paio di intagli. La via è aerea, ma nessuna difficoltà. Andiamo in conserva solo a scopo esercitativo.
Le scarpette riposano nello zaino e saliamo con le scarpe da trekking e in conserva. A 50 metri dall'innesto sulla cresta Aga-Rondenino (che si trova ben lontano dalla vetta del Rondenino), traversiamo a sx in parete e per cenge e placche fessurate (III+ max). Risaliamo in cresta solo a un centinaio di metri dalla vetta, che vinciamo appoggiandoci al versante bergamasco dove necessario.
Alle 15 sono per la terza volta in 11 mesi in vetta al Rondenino. Troppe!!
Mi aspettavo una via ben più impegnativa, anche alla luce del nome degli apritori. A guardarla dal basso o dall'Aga, non si direbbe tanto semplice. Le nebbie oscurano il paesaggio.
Stretta di mano e,  per cenge e roccette bergamasche ben sotto lo spartiacque, ci dirigiamo (O) al monte Aga, dove gli altri ci aspettano col pranzo.
Pennichella, passo Cigola, salita al passo Brandà, pennichella due distesi sui prati fioriti e baciati dal sole. Arriva un bel tramonto accompagnato dai nostri fantasmi di Broken, poi giù verso il forno del ferro. La notte ci coglie al lago Venina, dove una splendida luna si specchia nell'acqua.
Quando alle 21 siamo ad Ambria, il cielo è rischiarato dal grande falò di ferragosto e l'atmosfera resa gioiosa dalla festa.
Quant'è bello vedere rivivere questi luoghi. Oggi più di ogni cima, mi è piaciuto sentire le voci entusiaste dei bambini che gettavan legna nel fuoco. Pareva di essere in uno degli splendidi racconti di Bruno Galli Valerio, ma tutto è svanito quando ho visto il parcheggio tristemente pieno di auto pronte a fuggire da questo sogno.

Inquietante visione dei roccioni basali della cresta occidentale del pizzo dell'Omo.

Dettagli della parte bassa della via ripresi dall'alpe Cigola. I due puntini siamo io e il Lele. 
Un po' sopra.

La via ripresa dal lago Zapello, 
Lele alla ricerca di una fessura divertente su cui arrampicare in un tratto altrimenti scevro di ogni difficoltà.

Scendendo dalla prima torre. 
Una camino porta sulla terza torre.
Bello esteticamente, ma senza problemi.
Inquietante visione della cresta appena percorsa dall'anticima E del monte Aga.
Lo spettro di Brocken al passo Brandà.

Il forno fusorio della val Venina. Qui venivano squagliate le rocce ferrose estratte dalle cave ancora ben visibili sulla dx orografica. Pur con periodi di inattività, i giacimenti furono sfruttati dal 1300 al 1874, quando vennero abbandonati definitivamente perchè divenuti sconvenienti anche a causa del clima inospitale (Piccola Età Glaciale). In quegli anni la valle si presentava inoltre priva di alberi, perché questi vennero indiscriminatamente impiegati nelle carbonaie.


martedì 13 agosto 2013

Lago Campaccio e traversata in cresta al monte Coppetto

Nel comune di Valdisotto, poco più a nord della frana della val Pola, si trova la val Campaccio. Qui, a m 2301, adagiato nell'anfiteatro cinto dalla cima Piazzi a N, dal pizzo Campaccio a O e dal pizzo Coppetto a SO riposa il lago Campaccio. Le sue acque vanno dal rosso, al blu, dal verde, all'azzurro, corrugandosi al vento e increspando l'immagine riflessa dei colossi dell'Ortles e del Gran Zebrù. Nelle praterie alpine che lo circondano asini, cavalli, capre, mucche e pecore sono i protagonisti di un quadro bucolico d'altri tempi. La gita che vi proponiamo - adatta ad ogni gamba ed età - ha come obbiettivo la visita al lago, offrendo anche indicazioni per gli alpinisti che volessero raggiungere il passo de li Tòrti, quindi per cresta arrivare al vasto edificio sommitale del pizzo Coppetto, ricoperto da pietraie dall'aspetto lunare.


Il variopinto lago Campaccio.


Partenza: Monte (m 1620).
Itinerario automobilistico: da Bormio prendere la SS38 in direzione Tirano e, prima di entrare in galleria, girare a dx sulla SP28 (2 km). Attraversare Cepina. Usciti dalla frazione girare a dx (ponte, 6.5 km da Bormio) e andare a sx su via Torraccia. Proseguire paralleli al corso dell'Adda fino a località Fontane, dove la strada inizia a salire tortuosa sul fianco della montagna. Si attraversano Santa Maria Maddalena, Vendrello e, dopo 13 km dalla partenza, si giunge a Monte. Possibilità di parcheggio a inizio paese o sul tornante sinistrorso che lo precede.
Itinerario sintetico: Monte (m 1620) -  Campello (m 1813) - alpe Campacciolo (m 2104) - lago Campaccio (m 2301) - [variante alpinistica per passo della Tòrta (m 3022) - pizzo Campaccio (m 3143) - cima di Campello (m 3046) - cima Riacci (m 3009) - pizzo Coppetto (m 3066) - lago Campaccio (m 2103)] - Monte (m 1620). 
Tempo previsto: 4 ore per la gita + 6 ore  e 30' per la variante alpinistica.
Attrezzatura richiesta: da escursionismo.
[Se si decidesse di fare la variante alpinistica è bene avere con sé uno spezzone di corda].
Difficoltà/dislivello: 1.5 su 6 / circa 700 m [3+ su 6 e altri 900 m per la variante alpinistica].
Dettagli: E. Percorso su strada e sentieri segnalati. PD la variante alpinistica: tratti esposti, passi su roccia anche friabile fino al II+.

Mappe:
Cartografia escursionistica della Comunità Montana Valtellina di Tirano - Val Grosina, 1:25000
Kompass n. 72 – Parco Nazionale dello Stelvio, 1:50.000



La nostra passeggiata ha inizio a Monte, caratteristico nucleo rurale abbarbicato a m 1620 nel comune di Valdisotto. Le case sono raccolte su un poggio solivo e panoramico, per il resto occupato da prati sfalciati. I tetti sono principalmente in lamiera, divenuta gradevolmente rossiccia per via dell'ossidazione, mentre gli edifici alternano porzioni in muratura a sezioni in legno scuro ... (continua sul n. 26 de Le Montagne Divertenti, in uscita il 21 settembre 2013).

Monte.

Campello.
Amore a prima vista. 
Chiediamo informazioni a uno del posto...
Il passo de li Tòrti è in fondo a dx.
Lago Campaccio.
Panorama sulla val Verva, lago Nero e lago Maurigno dal passo de li Torti.
Lago Maurigno.
Rocce lavorate sulla cresta del pizzo Campaccio.
La val Campaccio dalla vetta del pizzo Campaccio.
Esultanza dopo aver conquistato, primi alpinisti con braghe dai colori improponibili, la vetta del monte Coppetto.
Il ghiacciaio di Campaccio, o meglio, quello che ne rimane.
Le pietraie lunari del monte Coppetto.
Campacciolo.

venerdì 2 agosto 2013

Mont Blanc du Tacul (m 4248) per le aiguilles du Diable

Nel gruppo del Bianco l'alpinismo ha conosciuto uno sviluppo molto avanzato già negli anni '30, quando i migliori al mondo si sfidavano su queste cattedrali di granito immerse nei ghiacci. In questo fervore, il 4 agosto 1928 furono attraversate da Armand Charlet, Giorges Cachat con Miriam O'Brien e R.M.L. Underhill le aiguilles du Diable, cinque ardite torri di roccia poste sulla cresta SE del mont Blanc du Tacul.
La salita divenne subito famosa e di moda e viene tuttora considerata una delle più belle ed estetiche del gruppo.
Si tratta di un percorso piuttosto complesso, aereo e spettacolare, con passaggi non sempre facili da individuare e calate in corda doppia in un paio di casi impegnative: non va sottovalutato.
Queste 5 torri servono a Giovanni Rovedatti per ultimare i 4000 "difficili" delle Alpi e portarsi ad un passo dalla conquista di tutte e 82 le cime che da anni sta collezionando, a me per vedere qualche montagna fuori provincia, così andiamo assieme a fare una gita in valle d'Aosta.


Giovanni appena sopra la breche Carmen. Alle sue spalle la pointe Mediane, da cui si discende con delicata calata con pendolo.

Partenza: colle E della aiguille des Toules (m 3411).
Itinerario automobilistico: da Sondrio prendere per Milano, quindi l'autostrada A4 Torino - Venezia in direzione Torino. Dopo Novara immettersi sulla A5 seguendo le indicazioni per il traforo del monte Bianco, poco prima del quale si prende l'uscita per Courmayeur (sono 340 km e 28 euro di pedaggio autostradale). Da qui si prende la cabinovia che porta al rifugio Torino (35 euro andata e ritorno). A causa dei lavori in corso per la nuova funivia è sconsigliabile e pericoloso salire a piedi. Dal rifugio abbiamo aggirato (NO) a dx la pointe Helbronner e il Grand Flambeaux, per piegare a sx (SO) ed entrare nella conca tra l'aiguille des Toules e il grand Flambeaux - dove abbiamo posizionato la tenda.
Itinerario sintetico:  colle E della aiguille des Toules (m 3411) - cirque Maudit - col du Diable (m 3955) - corn du Diable (m 4064) - pointe Chaubert (m 4074)- pointe Mediane (m 4097) - pointe Carmen (m 4109) -  pointe isolée (m 4114) - mont Blanc du Tacul (m 4248) - col du Midi - colle E della aiguille des Toules (m 3411) . 
Tempo previsto: dalle 15 alle 20 ore a seconda delle condizioni.
Attrezzatura richiesta: corda almeno da 60 m, casco, imbraco, piccozza, ramponi, moschettoni, cordini, serie di friend e (opzionali ma molto comode) scarpe da roccia.
Difficoltà/dislivello in salita: 5.5 su 6 / oltre 1000 metri.
Dettagli: D+. Scalata su guglie di ottimo granito poste sopra i 4000 metri (max. V, ma seguendo un tracciato non ottimale abbiamo incontrato due passi di V+). Ambiente severo e dalle condizioni mutevoli. Occorre buona pratica con le corde doppie perchè ci sono due calate che non ammettono errori di manovra. Avvicinamento e rientro sono su pendii glaciali crepacciati.

Dopo una lunga trasferta in Panda e la salita in funivia al rifugio Torino, piazziamo la tenda sul colle a E della aiguille des Toules (m 3411). Il posto è appartato e ciò limita la quantità di escrementi che ci sono attorno al nostro accampamento. 
Bell'incipit direte voi, ma ad esser sincero la prima cosa che mi colpisce arrivato al Torino, non è il paesaggio, ma l'enorme quantitativo di persone di ogni astrazione sociale, sportiva e nazionalità che brulicano dappertutto. Quante tende poi sul ghiacciaio. È una situazione quasi disagevole, abituato come sono alle nostre montagne che ti permettono un contatto più intimo con l'ambiente.
Dopo un pomeriggio speso a guadagnar sonno e scongiurare l'oftalmia rifugiati nei sacchi a pelo, la sera saliamo sull'aiguille des Toules (m 3538, ore 0:30) per il versante SE (rottami) ad ammirare il gruppo del Bianco e a capire  dove diamine dovremo andare l'indomani.
"Là!", mi dice Giovanni indicando una serie di torri grigio-rossicce sulla cresta SE del mont Blanc du Tacul. Proprio lì c'è un elicottero che rumoreggia.
"Ma quello è il soccorso, bella premessa! Facciamogli le foto così se tocca anche a noi domani le abbiamo già!"
Ci sediamo ed assistiamo al recupero di 3 alpinisti che vengono portati via appesi al verricello. Sono le 18:30 e il fatto alimenta in me un po' di tensione.
Torniamo alla tenda. Siamo saliti con uno zaino pesantissimo da 90 litri con tutto il necessario per scalata + accampamento. Ma ne abbiamo con noi anche uno da 50 in cui mettere l'occorrente per la sola scalata.
Fatto il sacco, ripassate le fotografie della cresta, ci mummifichiamo e attendiamo le 2:30.

Il nostro accampamento. Sullo sfondo l'aiguille Verte.
L'elicottero in azione sulle aiguilles du Diable.
Quello che sarà il nostro tracciato. Un ambiente grandioso, dove la verticalità e la quota ti schiacciano e rendono tutto più difficile.
Primo alpinista recuperato. Pare dalla breche Carmen.
Eccolo lì appeso come un salame a stagionare.
Beh, rilassiamoci comunque alla vista del Dente del Gigante e delle Grandes Jorasses.
Alpinisti sul glacier du Geant lambiscono l'ombra delle aiguilles du Diable.
La nostra tenda al tramonto.
Ultimo sguardo alla mappa e buonanotte!

Al risveglio c'è una fitta nebbia, che per fortuna si scioglie non appena ci incamminiamo alla luce delle pile frontali.
Entriamo nel cirque de Maudit, vallone glaciale che si distende a SO del mont Blanc du Tacul. A circa m 3600 pieghiamo a dx e risaliamo un conoide glaciale con larga crepaccia mediana, attraversiamo (dx) una fascia rocciosa (II+) ed entriamo nel ripido (40°) canale che sale al col du Diable (m 3955, ore 3:30). Vi arriviamo che sta sorgendo il sole regalandoci uno spettacolo infuocato in grado di infrangere ogni velleità alpinistica nella sola speranza questo istante si possa congelare.
Poi la luce torna bianca e sveglia dall'incanto.
Abbiamo altre 3-4 cordate davanti a noi. Alla sella nevosa, prendiamo a sx per rocce e neve, quindi aggiriamo da sx il corn du Diable, primo delle aiguilles du Diable, raggiungendo la breche Chaubert (m 4047).
A dx saliamo la faccia NO della corn du Diable (m 4064) per fessure verticali. Mi chiedo: "Se questo è solo terzo grado sulla relazione, come caspita farò quando ci saranno i passaggi di V?" Confido nell'aver sbagliato linea. Giovanni che qui era già stato in un precedente tentativo, questa guglia l'aveva salita, ma non ricorda casini del genere. Va beh, siam su.
Veloce doppia (ci sono nuovi anelli con spit su tutte le guglie che rendono più veloci e sicure le calate) e siamo nuovamente alla breccia. 
Aggiriamo la costola rocciosa che la divide e ci portiamo sotto il muro di rocce verticali solcate da due fessure della Chaubert.
Un chiodo su quella di sx mi attira e mi obbliga (maledetto) a bruciarmi le braccia su un passo di arrampicata duro (V). Se avessimo tenuto il filo di cresta!
Ripreso lo spartiacque aereo e di granito rossiccio e solido  (IV), in 35 metri di corda dalla breccia tocco la pointe Chaubert (m 4074).
Due doppie da quasi 30 m e una più corta su terreno innevato e sono alla sella aerea e inquietante della breche Mediane (m 4017). Da qui non torniamo più indietro. Un tiro di corda (35 m) tra pianerottoli pieni di escrementi e fessure (III+) e sostiamo alla base del grande diedro che solca la faccia orientale della pointe Mediane. Lo percorro per quasi 45 metri (IV e V, movimenti e incastri interessanti), ed esco sulla sx con molta delicatezza perchè vi sono blocchi mobili che, se scalzati, ucciderebbero chi sta sotto. C'è uno spit, ma meglio tirarsi via di lì e sostare sul pianerottolo.
Una guida francese col cliente, dopo 25 metri di diedro è andato a dx e si è portato sulla cresta di fronte a me, forse quella era la strada giusta. È lì annoiato che recupera il cliente, gli fa la classica foto dall'alto al basso dove sembrerà su una parete altissima, poi prende il cellulare e scrive messaggi. Il diedro, come conferma Giovanni, è stato davvero divertente. Non sento il bisogno di inviare sms.
Al pianerottolo successivo, con un camino di 3 m (sx) usciamo su una terrazza con lastre ai piedi dei tre grandi blocchi che costituiscono la cima. Quello di NO è il più alto (sx). Per salirvi passiamo nella finestra di sx, quindi rimontiamo (dx) brevemente sopra alla calata attrezzata su un ripiano da cui si tocca la pointe Mediane (m 4097).
Poco sotto la cima c'è una calata su clessidra con maglia rapida. La rinforziamo e ci buttiamo nel baratro.
È davvero un salto nel vuoto che porta su un colletto sospeso tra la Mediane e la Carmen, la breche Carmen (m 4057).
Come un cretino non faccio l'autobloccante e man mano vedo il baratro sotto i miei piedi mi pento della mia arroganza.
Le quote di cima e breccia sono sbagliate, perchè con una calata da 30 metri si arriva esattamente sulla sella, o meglio, faccia alla pointe Mediane, si tocca la sella dopo un pendolo verso sx. E se provate a fare la sottrazione risultano 40 metri tondi.
Il discensore friziona troppo poco, così arrotolo la corda attorno all'avambraccio mentre cerco dei trampolini per i piedi.
Vedo delle corde abbandonate e capisco che gli alpinisti vericellati ieri probabilmente hanno sbagliato questa calata rimanendo appesi nel vuoto. Del resto l'ultimo tratto strapiomba, per cui la spinta per il pendolo ce la si deve dare sopra o si deve indirizzare subito la calata a perpendicolo sulla breccia (che da su non si vede).
Per Giovanni l'avventura è più tranquilla: gli tengo io l'altro estremo della corda evitandogli l'esercizio circense. Prossimo giro facciam cambio!!
Rimontiamo per fessure ghiacciate a dx della parete della pointe Carmen arrivando ad un bel pianerottolo con fettuccia (IV, 35 m). È impressionante il colpo d'occhio sulla Mediane e vedere 2 alpinisti tedeschi che si stanno cimentando nella calata.
Il primo viene aiutato da Giovanni ad arrivare coi piedi a terra e non nel vuoto.
Giovanni mi raggiunge. Davanti a noi svetta il pinnacolo dell'anticima SE della Carmen (m 4109). Lo aggiriamo per fessure (IV) da dx e siamo alla breccia tra le due punte. La maggiore, l'occidentale, la vinciamo per 10 metri di lama improteggibile (IV-), che va disarrampicata pure al ritorno fino alla breccia.
Due calate da 30 metri su spit, quindi una da 10 su cordino con maglia rapida, ci depositano sulla crestina di rocce, neve e ghiaccio che veste la breche du Diable. 
I tedeschi, che hanno saltato il cocuzzolo della Carmen, ci hanno superati facendo subito le doppie con 2 corde gemellari di cui una ha un evidente taglio sulla maglia!
Dinnanzi a noi l'Isolée, che aggiriamo da dx per un canalino sfasciumato. Siamo alla forcella alla sua dx (breche de Isolée, m 4078).
Depositati gli zaini e messe le pedule scendiamo a ritroso per 15 metri. Traverso sulla placca appigliata verso sx (faccia a monte) fino a una fessura/diedro appena a dx dello spigolo E. La risalgo tutta con difficoltà crescenti (IV, IV+). Al suo termine a sx c'è un chiodo con cordino a proteggere uno strapiombino duro, che rimonto con incastri di pugno nella fessura di sx (V+). Forse quel cordino è più "a mungere" che "a proteggere", ma sono 10 punti di penalità se lo si usa, quindi mi guardo bene dal farlo!
Eccomi su un pianerottolo dove un masso è fasciato con dei cordini. Arriva anche Giovanni e da lì senza percorso obbligato e con passi semplici (II/III), arriviamo in vetta all'Isolée (m 4114, ore 4-7 dal col du Diable). Sono le 16:30.
Giovanni festeggia perchè vede il suo traguardo dei 4000 delle Alpi molto vicino, io invece sono un po' in ansia perchè è tardi e non so quanto manca.
Giovanni sale in piedi sulla vetta, io no perchè c'è troppa puzza: qualcuno ha cagato proprio in cima.
Ho un po' di nostalgia di scalare montagne meno ambite. Come dico al mio compagno, non mi è mai capitato di arrampicare e avere le mani che puzzano di piscia.  Inoltre mi manca un orizzonte che si perda in vallate silenziose e senza funivie, senza trasmettere l'idea che l'uomo debba conquistare tutto a tutti i costi. Possiamo vedere tante cose nella nostra vita senza aver bisogno di rovinarle, di spettacolarizzare ciò che facciamo, di muoverci seguendo le mode e non l'istinto.
È più emozionante ammirare una farfalla che si posa su un fiore, un temporale al riparo di una roccia, stare sdraiati su un prato a chiacchierare con un amico, che essere in fila su una scalata alla moda. Credo che le persone che fanno le sole scalate alla moda sono lì per trovar motivo di vanto, per apparire qualcosa che sanno di non essere, e non per assistere in silenzio allo spettacolo della natura. Sul Bianco ad agosto ce ne sono proprio troppe così. Mi sento come ad un concerto circondato da importunatori distratti che col loro brusio mi fanno venire il mal di testa mentre cerco di ascoltare la musica.
Lontano sul 4800 più ambito ancora tante cordate stanno scendendo verso casa.
L'elicottero è ora a recuperar gente tra l'aiguille Noire e l'aiguille Blanche, sulla leggendaria e difficilissima cresta di Peuterey. Quelli di certo non han trovato traffico!
Ripartiamo.
Fin'ora le relazioni consultate si sono rivelate imprecise e ci hanno fatto buttare un sacco di tempo.
Per una gita del genere si deve avere  margine o si rischia di dover chiamare l'elicottero con disonore.
Per fortuna ho visto le cordate prima di noi e ho capito che di qui si smamma con una calata da 30 metri precisi sul versante NE dell'Isolée. Il punto di calata è un pianerottolo 15 metri sotto la vetta dove si trovano numerosi cordini con maglia rapida.
Pure questa doppia è obliqua. Bisogna infatti spostarsi un po' a sx (faccia alla parete) altrimenti si finisce nel vuoto e non alla breche de l'Isolée.
Il vento freddo, la stanchezza, il non aver mangiato nulla e bevuto pochissimo iniziano a farsi sentire, ma non c'è tempo per le lagne.
Riprendiamo la cresta per il mont Blanc du Tacul. Tutto in conserva corta. Si torna a muoversi su terreno facile (II/II+) . Teniamo il filo, o al più la sua dx, fino a un canale nevoso. Lo traversiamo verso dx al limite di una fascia rocciosa ripida, quindi torniamo a sx (marcio) e riguadagniamo lo spartiacque. Finalmente si vede la vetta! Un arco a sx su cresta prima di roccia, poi, dopo l'anticima E, di neve verso sx, ci porta a calpestare un'enorme meringa a sbalzo, sipario della vetta del mont Blanc du Tacul (m 4248).
Sono le 18:30. Il paesaggio è grandioso. Ghiacciai a perdita d'occhio, e creste e... è tardi!!
Giù per un autostrada di calpestii fino (O) alla sella a m 4086, poi timone a N e, sempre nelle trincee delle gite classiche, zigzaghiamo tra i crepacci per il col du Midì. A sx si vede Chamonix e la tormentata lingua del glacier des Bosson che si spinge fin sotto i m 1300!
Con un lunghissimo arco verso dx scendiamo al col du Gros Rognon, poi ancora giù verso N fino ai piedi de la Pyramide e del Capucin. Gli spazi sono grandissimi, rispetto almeno a quelli che viviamo sulle nostre montagne. Ci muoviamo per inerzia finché è discesa, poi la traccia inizia a salire tra larghi crepacci ed escrementi fino a riportarci alla tenda alle ultimissime luci. Sono le 10 di sera. Siamo stanchi morti.
Bevo un po' di té che era rimasto in tenda, un sorso di birra sgasata, mangio un po' di salame e crollo dentro al sacco a pelo.
Quant'è comoda la nostra tenda e quanto sarà bello domattina lavarsi via la puzza del Diable con la fresca acqua torrente a Courmayeur!

L'alba al col du Diable (m 3955).
Salita dal col du Diable verso la breche Chaubert.
Ai piedi (E) del corn du Diable.
Arrampicata sul corn du Diable. Forse un po' più del III grado è, almeno da questa parte.
Vista dalla pointe du Diable (m 4064). 
Difficile fessura sulla Chaubert, evitabile facendo integralmente lo spigolo. Meglio mai fidarsi dei chiodi in via, non sempre indicano la rotta giusta!
Con un po' di imprecazioni e sostituendo gli scarponi con le pedule ne vengo a capo e arrivo in cresta.
Preparo le calate per la breche Mediane. Sono 2 da 30 metri e una da 10. Alle mie spalle il mont Maudit ("maledetto") e il monte Bianco.
Nel diedro della Mediane. 
In vetta alla Mediane. 
I tedeschi si calano dalla Mediane verso la breche Carmen.



Tracciati per Carmen e Isolée dalla Mediane.
Alpinista verso la vetta della Carmen.
Sulla Carmen si inizia con fessure e pianerottoli ghiacciati (IV).
Carmen: anticima E. 
In vetta alla Carmen.
Giovanni in vetta alla Carmen.
La nostra linea sulla Isolée. In basso mi devo esser complicato la vita seguendo alcuni chiodi che mi hanno portato a uno strapiombino. Indicata anche posizione della calata. 
Il primo difficile tiro sulla Isoleé. Per fortuna avevo le pedule ed ero senza zaino!

Giovanni in vetta all'Isolée. 
Tracciati per l'Isolée. La calata deve essere obliqua verso E. 
Mediane, Carmen e Isolée viste da NO. Indicate le calate e il tracciato per la Carmen. 
Per cresta più facile dalla Isolée si seguita verso il mont Blanc du Tacul.
270° dal mont Blanc du Tacul. A sx il monte Bianco, quindi il Maudit ... e poi non le conosco!
In vetta al mont Blanc du Tacul c'è una croce ribaltata. La nostra cresta è alla mia sx.
Giovanni sorride sul mont Blanc du Tacul. Con oggi ha finito tutti i 4000 difficili delle Alpi.

La meringa sul mont Blanc du Tacul.
La grande meringa sotto il mont Blanc du Tacul.