Dal Trivio di Fuentes spicca nel groviglio di montagne che fanno da spartiacque tra Valtellina e Valchiavenna: il Manduino pare una cima delle Dolomiti. Invece è uno scoglio di granito, di una bellezza così netta e immediata che una persona di via potrebbe indicarlo ed esclamare "il famoso Badile!" Ebbene no, coi suoi camaleontici 2888 metri il Sasso è una meta più modesta e cionondimeno un indubbio spasso.
Tramonto sullo spigolo SO del Sasso Manduino.
Partenza: Mezzolpiano (m 300).
Itinerario automobilistico: da
Novate Mezzola (circa 10 km dal trivio Fuentes) imboccare
sulla dx, poco dopo
la stazione ferroviaria, la strada per la frazione di Mezzolpiano (m 300), dove
si posteggia l’auto.
Itinerario sintetico: Mezzolpiano (m 300) – San
Giorgio (m 748) - Tracciolino - Cola (m 1018) - In Cima al Bosco - alpe
Ladrogno (m 1700) – Sasso Manduino (m 2888)
per lo spigolo O - discesa per la via normale - alpe Talamucca (m 2070) - Moledana (m 1025) - Verceia (m 200).
Tempo previsto: 15
ore per l’intero giro.
Attrezzatura richiesta: corda (60 metri), casco, imbraco,
cordini, fettucce, friend (una serie fino al 2), nut, eventualmente ramponi per
l’attacco. Soste attrezzate.
Difficoltà: 4.5 su 6.
Dislivello in
salita: oltre 2600 m.
Dettagli: AD+. Scalata molto interessante su roccia (IV+) di buona
qualità (tranne nell’avvicinamento allo spigolo). 9 tiri di corda dalla
bocchetta del Manduino. Se li si fa lunghi ne bastano 7.
5 calate da 15, 30,
30, 15, 30 sulla normale (versante E).
Accesso lunghissimo.
Mappa del percorso (in realtà noi non siamo saliti da Codera, ma questa
l'avevamo già in casa pronta!)
Ci troviamo nel tardo pomeriggio a Verceia, tutti a nostro modo cotti dalla giornata. In quanti siamo? Troppi, secondo gli standard alpinistici ufficiali, e non al completo. Così, ancora prima di prendere il pane, si comincia a bere. In realtà per Cavallo e Sara, in trasferta dal luinese, è la continuazione del brindisi iniziato a mezzodì in val Gerola. Beno chiama Gioia al telefono, dice che sta arrivando e di non esagerare con la birra, da che pulpito! Spostiamo gli occhi gli uni sugli altri, i bicchieri ormai seccati, e ordiniamo l'ultima spillata. Una volta riuniti decidiamo di darci refrigerio al lago. Quasi forziamo la portiera di una macchina che assomiglia alla nostra, chiedendoci perchè la chiave non funziona: abbiamo proprio bisogno di un tuffo. Presto detto. Al lido, davanti alla casa degli svizzeri, ci immergiamo nell'acqua tiepida. Questa raggela non appena la spiaggia sprofonda e viene raggiunta dalle correnti del Vallone, infido torrente che si immette nel lago di Mezzola. Notiamo dei ragazzini che si buttano da uno spiazzo a livello della strada vecchia, al di qua del guard rail. "Andiamo a buttarci", propone Beno. Lo facciamo solo noi uomini, sprezzanti dell'ignoto, e tra un banzai e l'altro le donne in ammollo venti metri più in basso ci guardano, sagge nel portare avanti la conservazione della specie.
Raccolti gli stracci, e lasciata una macchina a Verceia, andiamo con l'altra nei pressi della cava di Val de Munt. Qui ci incamminiamo per San Giorgio, carichi all'inverosimile. L'afa si fa presto beffe della freschezza trovata al lago e cominciamo a grondare come in una sauna. Dapprima chiacchierando poi condannando il caldo sorpassiamo una parte di sentiero franata di recente. Qualche alito di vento ci aiuta al crepuscolo, nei pressi di alte mura, che sembrano rovine di un castello. Si tratta invece di costruzioni legate a una cava in quota, nascosta sulla sponda della val Revelaso, e la cui conca biancastra è ben visibile dall'Avedee. Ecco San Giorgio col suo clima di festa, della musica nell'aria, bambini e ragazzine che giocano. Ci abbeveriamo, stringiamo i lacci delle scarpe e continuiamo fino ad intercettare il Tracciolino dove teniamo la salita, seguendo le indicazioni per la Cola. Devono essere circa le dieci quando raggiungiamo la quota 1000 metri del borgo. É deciso, dormiremo davanti al sagrato della chiesetta. A sud est la luna prende il colore arancio della sabbia del deserto, sempre a spasso sulle alpi. Ci laviamo a pezzi o entrando direttamente nel lavatoio. Un branco di hippies. E mentre asciughiamo all'aria mite del posto mangiamo riso e Storico ribelle. Condividiamo anche un po' della mia Petuccia dal Friuli, mentre della grande zucchina del mio orto nessuno si fida. Per dolce il croccante alle mandorle di Sara. Dopodiché voltiamo l'angolo e raggiungiamo i nostri sacchi a pelo. Qualche zanzara cerca di dormire con noi ma la respingiamo. In sottofondo l'unico abitante che si fa vivo tiene la tv accesa fino all'una di notte, alternando sbadigli animaleschi al suono impertinente delle pubblicità. Mi domando come sia possibile, e vorrei avere la forza di alzarmi e sabotargli l'antenna. Alle 3,30 la sveglia. Sara si mette a sedere come una molla, anche noialtri più che uscire dal sonno prendiamo a divincolarci nel sacco, cercando la posizione eretta. L'unico veramente addormentato è Beno, che dormirebbe anche sotto le campane a festa.
Una rapida colazione a caffè latte e siamo pronti per completare l'avvicinamento. Cavallo, in pantaloncini attillati da ciclista e camicia da messa, viene sorpreso dal signore della tv accesa. È ancora sveglio! Non si capisce da dove proviene la voce, nel buio pesto, ma chiede "'n du vet?". Appurata la nostra meta, approva con un ultimo mugugno. La risalita della val Ladrogno è lunga, non c'è storia. Al buio mi sembra di perdere piu volte l'orientamento anche se lo stretto sentiero è uno, non si può sbagliare. Il frontalino attira nugoli di insetti così lo tengo in mano. Le corde da 60 metri nello zaino e tutto l'ambaradam si fanno sentire. Per gli altri stesso discorso, tant'è che in una scena un po' surreale vedo i compagni disfarsi delle tolle di riso avanzato, rovesciandolo alla mercè dei molti ungulati che abbiamo sentito scuotere le fronde nell'oscurità. Nei pressi di in Cima al Bosco, dove si pensava di dormire inizialmente, scopriamo che non c'è acqua bensì un prato vorace pieno di insetti carnivori. Ci è andata bene. Procediamo a strappi o falsipiani, incuneandoci nella val Ladrogno e bagnandoci le suole nei suoi ruscelli. Via lattea e stelle cadenti ci sormontano. A sinistra cerco con insistenza la sagoma della punta di Bresciadega, ma vedo solo Mot Luvré e cima di Lavrina fondersi con la linea crestata delle pinete e dei lariceti. L'alba ci prende su alcune dorsaline in zona alpe Ladrogno. Quando sembriamo ormai fuori traccia, dopo una ravanata fra radici, erba alta e buascia di cavallo, rinveniamo il sentiero. Sopra di noi un concentrato di luci segnala che il Casorate Sempione ha ospiti svegli. Ci terremo sulla destra finché voltandoci avremo il bivacco alle spalle e un trio di persone alle nostre calcagna. Davanti a noi l'intaglio di partenza della via Schiavio e il Manduino, che sotto cima, sul versante nordest è caratterizzato da cenge e venature parallele di roccia chiara. Dobbiamo disegnare un itinerario non bollato, fra rododendri, mirtilli un po' appassiti, roccette, zolle erbose, anticipando eventuali inciampi in buchi nascosti alla vista. Dopo un canale instabile, circondati da genziane purpuree, e alcune comode placche, scovando qua e là dei fiori di arnica, una facile paretina fa guadagnare il dorso di una costola rocciosa abbastanza esposta. La seguiamo fino a un caminetto da disarrampicare. Dietro di noi il trio ha colmato molto rapidamente la distanza e scambiamo qualche parola amichevole. Durante l'ultima ora è stato un gran passamano delle tre paia di bastoncini che lungo la via abbiamo cercato di distribuirci per agevolarci. Mi ritrovo a stringerli nel palmo tutti quanti e dalla sommità del camino li passo a Beno e Sara cercando di non trafiggere nessuno. Per far sì che tutti si godano la giornata, decidiamo di appostarci appena sotto l'attacco, su terrazzate di roccia lievemente inclinate, e farci precedere dal trio milanese-comasco. Il piano prevede rifocillarsi e passare almeno un'ora a gozzovigliare. Notiamo però che il loro incedere è più tranquillo del previsto. Lo Storico ribelle ci ha rigenerato, e senza dire nulla tutti si stanno preparando. Mentre la cordata di vicini si sposta a sinistra del primo canale di rocce semimobili, noi lo risaliamo slegati tenendo il lato opposto finché possibile. Beno poi ci aspetta sopra un salto e mi chiede di evitarlo insieme agli altri aggirando una linguetta di neve sulla destra per poi ricongiungersi grazie a un traversino. Da lì ci portiamo a uno spiazzetto, alla base dello spigolo, dove un caratteristico foro fa da spioncino su un vallone laterale piuttosto dolce della altrimenti vertiginosa e immane parete ovest. È il momento di tirare fuori le corde. Beno sale da primo e dietro di lui la corda blu con Cavallo e Sara, mentre la rossa è mia e di Gioia. In quest'ordine inizia il divertimento. Siccome il sole sta battendo sul versante opposto, facendo bollire la roccia, lo spigolo si trova nel punto più riparato possibile e alla quota 2600 circa abbiamo infilato giacche o pile. Io e Beno saliamo con scarpe da trekking leggere, scegliendo la comodità ad ogni costo, mentre gli altri decidono di massaggiarsi i piedi con le scarpette da arrampicata: la roccia è abbastanza ispida da soddisfare tutti i palati. L'unica maniera di descrivere l'arrampicata è 'divertimento allo stato puro'. La vista è grandiosa, il luogo quasi confortevole. Essendo in coda con Gioia chi ci precede deve liberare soltanto la propria corda dai rinvii che poi smonterò. "Filo rosso o filo blu?" La spensieratezza si spreca e tuttavia ci mantiene concentrati, disinnescando qualsivoglia fremito. Poco dopo l'inizio dell'ascesa raggiungiamo il trio e ci salutiamo. Le voci di Beno e del loro capocordata ogni tanto piovono confuse dall'alto, sicché ci aiutiamo a distinguerle. Cavallo e Sara sono due caprette ma io e Gioia non siamo da meno. Ogni volta che ci ricompattiamo mi sposto avanti per dare corda a Beno, in due occasioni col secchiello. Siamo una bella squadra, sollazzati al punto che propongo di farci un autoscatto. Ormai prese le distanze dall'altra cordata ci portiamo all'altezza della loro guida, anche lui sorridente e molto felice della gita. Un ultimo camino acrobatico e uno dopo l'altro ci ritroviamo impoltronati sulla vetta. Si crepa di caldo, e in men che non si dica metto la sola camicia da matrimonio. Cavallo estrae prontamente delle scamorzine che avranno vita breve. Poi a turno, sciolte le briglie, ci spostiamo qualche metro più sopra, sul cocuzzolo della vera cima, ogni volta dimenticandoci di portare il Corti per la foto di rito.
Il Sasso Manduino è un sasso per davvero. E va cavalcato. Avendo messo in archivio la via mi fa un po' specie stare lassù, vicino a Beno che se la spassa come un assatanato. Una volta arrivati i vicini di scalata, Beno suggerisce loro quante calate fare, conoscendo la zona a menadito, e offre di usare la nostra corda già allestita. Dopo un po' di remore accettano. La discesa in doppia dalla normale avviene senza imprevisti, se non quando il nodo galleggiante di giunzione tra le corde trova quell'infinitesimale percentuale di incastro. La tecnica di recupero di un capo e poi dell'altro non funziona e Beno è costretto a risalire per districarla. In fondo un canale depositerebbe una volta per tutte nella val dei Ratti, ma un sentierino erboso a noi noto consente di evitarlo. Nel canale di marciumi sta per calarsi l'unica ragazza del trio che all'improvviso lamenta una sassaiola da parte nostra. Stupiti, dato che siamo su prato e al di fuori del canale, gli comunichiamo che non siamo artefici del disgaggio, risolvendo l'equivoco. Intanto lei urla il nome dei propri compagni a gran voce. Si avverte una nota di tensione, e come biasimarla: il rischio di una grandine di pietre non piacerebbe a nessuno. Giunti in fondo, decine di metri più in basso rispetto all'uscita del canale, stiamo per traversare la valle in direzione alpe Talamucca. Più sopra vediamo i due dell'altra cordatina armeggiare con le doppie che hanno preferito al sentiero, mentre la ragazza li sta raggiungendo. All'improvviso un macigno grande quanto un pallone da rugby saetta a pochi metri dalla testa di Sara che per fortuna non aveva ancora tolto il casco. Di buona lena siamo tutti invitati a levarci da lì sotto. La discesa procede su ginocchia stanche, ma all'insegna del buonumore. Di tanto in tanto guardiamo a che punto sono quelli dietro di noi, sempre più lontani, realizzando che il generoso passaggio in auto offertoci in cima - col loro veicolo dal Tracciolino fino a Verceia - non potrà avvenire.
In vista della località Camerate, un belvedere con una baita, si dipana una fila di trenta asini. Prima di raggiungerli, sperando di mangiare un boccone in loro compagnia, mi riempio le guance di Achillea da masticare, amara il giusto per non pensare temporaneamente al cibo. Finalmente incrociamo gli animali accarezzandone qualcuno, e ai piedi dello stallone abbiamo una brutta sorpresa: un asino morto stecchito, le gambe ritte, la lingua fuori. Sembra un giallo, in quanto non presenta segni di ferite o collusioni. Dall'altra parte una seconda carcassa, meno recente. Vipere? Boccone avvelenato? Non si sa. Nel frattempo ha preso a piovigginare e siamo costretti a rimandare la merenda. La facciamo sotto le frasche di un possente abete. Inzuppati aspettiamo di asciugarci e che il temporale in agguato scarichi da un'altra parte. Trangugiamo quasi tutto quello che capita a tiro fuori dagli zaini, al che propongo di nuovo la mia zucchina e stavolta solo Gioia, forse grata della nostra collaborazione lungo lo spigolo del Manduino, ne accetta un cantuccio. Non fa il bis. A questo punto riorganizziamo gli zaini. Mi libero dalla corda cedendola a malincuore a Sara, non augurando a nessuno di piagarsi la schiena come mi è capitato nelle ultime ore, così da poter allungare il passo con Beno e raggiungere Verceia un'ora prima, recuperare la seconda macchina a Mezzolpiano, e riportarci con entrambe alla fine del sentiero, in attesa degli altri. Così è stato, almeno fino a Moledana e alla diga sottostante, corricchiando nelle discesine e dissetandoci alle sorgenti. Ma una volta abbandonato il Tracciolino e sbucati nella strada sterrata, il passo è diventato una corsa a rotta di collo giù per i sentierini che fanno le mountainbike. Ancora sensibilmente zavorrati e dopo un paio di storte notiamo una gip grigia in discesa. La proposta indecente è quella di arrivare prima di quella al prossimo tornante. La manchiamo di poco e vedo che Beno vuole desistere allora lo sprono ad aumentare il passo. Dopo aver sfidato la natura per un giorno intero ci siamo messi a sfidare la tecnologia (e le nostre articolazioni). Sfrecciando nella polvere ci accorgiamo che da troppo tempo non compare un tornante. Non importa, si continua! Finalmente uno scorcio sul lago appiattito anticipa l'arrivo e dopo pochi minuti siamo sull'asfalto, davanti alle case. Ci passa davanti una gip grigia che Beno sostiene non essere la stessa dell'inizio.
Siamo in orario per recuperare la vettura a Novate, puciare i piedi nel torrente Codera e riportarci all'imbocco del sentiero. Qui Beno prosegue al volante sperando di intercettare i compagni, ma non ha il permesso per la strada e una telecamera lo rispedisce indietro. Aspettiamo seduti sull'asfalto. Finalmente arrivano: siamo tutti stralunati e c'è solo una cosa da fare. Dopo un rapido bagno al lago giriamo i bar di Nuova Olonio trovandone uno con dei posti liberi all'aperto. Prima di salutarci sorseggiamo le nostre bevande ripercorrendo l'avventura di oltre 24 ore. Ma per qualcuno non è ancora finita, bisogna ritornare integri, chi a Sondrio, chi a Luino, e scolato l'ultimo bicchiere si riparte, forse più sobri, decisamente più cotti della sera prima.
|
Tramonto sul lago di Mezzola |
|
Sul sentiero per San Giorgio di Cola |
|
Sonnambuli a Cola |
|
Al cospetto del Sasso Manduino |
|
Fiore di Raponzolo Orbiculare (Phyteuma Orbiculare) |
|
Cavallo e Sara verso l'attacco sotto la costola esposta |
|
Sulla costola esposta |
|
Dalla costola sullo sfondo: Mot Luvré, Cima Lavrina, Pizzo di Prata e Beleniga e sulla estrema sx il Pizzo Forcola |
|
Il foro alla base dell'attacco |
|
Quarto tiro dello spigolo |
|
Sosta al termine del quarto tiro
|
|
Sosta al termine del quarto tiro dello spigolo |
|
Via Schiavio, parte alta. |
|
Penultima sosta. |
|
Penultima sosta |
|
Si ride sugli ultimi tiri della via Schiavio |
|
Cavallo e Sara ruzzano sul IV+ del penultimo tiro |
|
Ultimo ritrovo prima della adunata in vetta |
|
Beno trova il sole e l'aquila sull'ultimo passaggio di V (aggirabile da dx, ma che val la pena forzare per un degna conclusione della salita), a un palmo dalla vetta |
|
Ultimo tiro |
|
Comodi in località Sasso Manduino, al completo anche la seconda cordata |
|
A cavallo del cocuzzolo di vetta |
|
Sara si ricorda di portare anche il Corti, amico di Schiavio, sul cocuzzolo |
|
Beno organizza la prima calata |
|
Calata dalla normale verso la Val di Rat |