martedì 14 giugno 2022

Punta Rasiva (m 2684)

La passione per la montagna mi ha portato così spesso sulle Alpi che era questione di tempo prima che ruzzolassi dall'altra parte, e precisamente in Ticino. In realtà sono stati la ricerca di un lavoro dignitoso e tracce di sangue svizzero nelle mie vene a catapultarmi in una valle che sembra replicare la Valtellina, con l'uva, le concessionarie, il dialetto, la speculazione edilizia e la cultura montanara. Purtroppo non avevo previsto che in Svizzera avrei dovuto lavorare sul serio e che nella buca delle lettere avrei ricevuto più fatture che cartoline dall'Italia. Mi sono così rifugiato nelle palestre di arrampicata in attesa di tempi migliori, resistendo alle proposte di Beno di bigiare il lavoro per andare a scalare, fino a che il bisogno di toccare roccia vera ha prevalso su tutto il resto..




Partenza: Brione (Verzasca) (792 m).
Itinerario automobilistico: da Tenero-Contra (Locarno) salire in Val Verzasca fino a Brione. Con permesso oppure in bici è possibile proseguire lungo la mulattiera che percorre la Val d'Osola fin dove finisce la strada.
Itinerario sintetico: Aghei di Là (m 994) - Cortesell (m 1353) - Lancioo (m 2100 ca) -  Punta Rasiva (m 2684) - attacco Cresta Sud (m 2377) - Lancioo (m 2100 ca) - Cortesell (m 1353) - Aghei di Là (m 994)
Tempo  previstoca. 9 ore per l’intero giro (pennichella e spuntini compresi).
Attrezzatura richiesta: corda (20 metri), casco, imbraco, cordini, fettucce, una sosta attrezzata.
Difficoltà: 3 su 6.
Dislivello in salita: circa 1700 m.
Dettagli: PD+. 


Dopo una rovinosa scorribanda sul Monte Rosa, dove i crampi mi hanno fatto decollare gli sci e ho dovuto usare il gomito come freno, squarciandolo, ho trascorso qualche settimana a desquamarmi finché ho rimesso nuova pelle. Meta successiva, dal nome non molto rincuorante, la ticinese Punta (Ab)Rasiva. Per raggiungerne le pendici ci tuffiamo in Val Verzasca risalendola fino a Brione. Dopo una ricerca a tappeto dell'accesso alla Val d'Osola finalmente l'abitato smette di mutare la forma delle vecchie contrade coi nuovi caseggiati, rivelando una mulattiera. Immaginando di muoverci sulla cartina spiegazzata tra le mani, notiamo che ci affianca una serie di ponticelli, ma ne perdiamo il conto. Così, lanciando uno sguardo alla montagna, ci accorgiamo che da un po' ci invitava a salire. "Andiamo a prendere la traccia per Cortesell!". Il pendio è molto scosceso e il fogliame rotto da alberi e pietre ben radicate. Lo scarpone destro, risentito dalla lunga assenza del calcagno, mi azzoppa con una vescica fulminante. Mi ingegno su come appoggiare la pianta del piede per rendere comodo il dolore. Il bosco ci ammaestra finché sbuchiamo su un sentiero fresco di pulizia. E' dal fondovalle che le notizie mondane affollano i pensieri, ma sveltendo il passo siamo già in prossimità dell'alpeggio, ultimo segno antropico, dove è possibile seminarle. Qua e là baite implose mostrano timidi tentativi di rappezzarsi, i prati sono ben rasati. L'ultimo focolare dispone addirittura di una cabina telefonica riadattata a cesso panoramico, e anche se la carta è finita da un pezzo lo sciacquone è in perenne attività, con lo scroscio di un ruscello. Proseguendo ributtiamo gli occhi sopra di noi. La montagna rinnova il suo invito ad abbandonare il sentiero, e sulla mappa i greti dei torrenti prendono le sembianze di scalinate. Scegliamo la vena acquifera che all'incirca seicento metri di dislivello più tardi bagna la pista diretta alla Corte di Gemogna. Quando scolliniamo nel suo ripiano, scorgendola in lontananza, facciamo un picnic frugale tra alcuni massi rivestiti di alghe secche. A stomaco pieno l'arte fotografica e sadica di Beno rinsavisce. Mi chiede di appendermi su questo granito infido, incorniciato tra cielo, Sgemogna e ricoveri sottostanti. Un nòcciolo di roccia si disfa tra le dita e cado col culo sulla visega: il servizio fotografico è finito. Dapprima stuzzicati dalla cresta sud l'intuito di Beno ci guida invece a scoprire il punto debole della cresta est. Troviamo i primi ometti, e lungo questa scala a chiocciola schiacciata sulla parete si apre il paesaggio. Lontane catene innevate si avvolgono di una coltre bluastra, e sui pendii sottostanti si sdraiano macereti dove a strappi emergono mantelli di erba spenta. L'inverno è stato severo qui. Quando finalmente gli scarponi toccano cresta vediamo che anche sull'altro versante le nevi stanno diventando pozzanghere. La fiacca non duole più e dev'essere diventata un tutt'uno con la calza troppo spessa, perfetto. Un facile saliscendi che a volte richiede l'uso delle mani e un paio di capriole ci fa rotolare in vetta. "Due gallette e siesta?" Forse l'ho soltanto immaginato ma la proposta prende forma mentre cerchiamo giacigli asciutti al riparo dal vento e apriamo i nostri sacchi traboccanti di leccornie. Acqua, due croste di formaggio, briciole non meglio identificate ed ecco che Beno già si imbozzola appena sotto cima, lesto a ronfare. Io preferisco restare ai piedi della croce, ma non per pregare: cerco disperatamente un sasso incastonato di incredibili minerali lucenti da portare alla morosa. Invece, rugando qua e là, proprio sotto la croce estraggo da un cumulo di pietre una custodia metallica tutta graffiata. Apro il gancio e ne scivolano fuori due miseri fogli di carta. Recano varie gioie di escursionisti che sono arrivati fin qua. Scrivo una frase che dimentico subito e firmo per entrambi. Riponendo il diario nel suo antro noto un grumo di ghiaccio. Sembra una miniatura di ghiacciaio ritiratosi nell'ombra, quasi per sfuggire all'ennesima estate torrida. Gli zaini hanno sputato fuori anche le giacche di piuma d'oca. Presto, cullati a sufficienza da una brezza singhiozzante, siamo in piedi, scattiamo alcune foto ricordo e decidiamo al volo di scendere dalla cresta sud. Sinceramente non ho voglia di ripercorrere la via dell'andata, dandomi l'impressione di doverla fare camminando all'indietro. Mentre ci accingiamo a divallare un ronzio che già avevamo udito si palesa a poche centinaia di metri da noi. Un velivolo leggero della Federazione Elvetica è impegnato in una serie voltastomaco di giri della morte. Memore del recente schianto avvenuto sul Monte Legnone cerco di non rendermi un bersaglio facile e incalzo Beno a proseguire, mentre non è chiaro se voglia scattare una foto alla scena o abbattere il mezzo. Scendiamo ancora infagottati nei nostri pigiama, ignari di cosa riserba la prossima gobba, quando all'improvviso la terra finisce. Beno ricorda che dal basso si intravedevano un paio di intagli poco rassicuranti. Eccone uno. Impalati su un'ultima balconata rocciosa ci affacciamo sul punto in cui la cresta è sprofondata. Il pilota ci passa accanto. Lo guardo sfrecciare beffardo, e mi chiedo se non possa suggerirci la via. Oltre il baratro si erge un gendarme dalla punta spianata, e su di esso un mucchietto di pietre. "Quello è un ometto?" "Sì, ma come ci si arriva?" e in tutta risposta scintilla qualcosa in una nicchia sottostante, conficcato sul solido ciglio. "Un chiodo!" e di lì un invisibile disarrampicata scivola su scaglie nude fino a poggiare su di un masso volante. Questo sembra proprio far da ponte col gendarme. Annodato il buon vecchio mezzo barcaiolo assicuro il leggermente meno vecchio Beno mentre vive il suo momento d'aviatore. Ogni suono si assottiglia fino a scomparire. Ogni movimento è studiato a fondo. Il tempo si è giusto fermato quando esclama: "Dammi corda, sono atterrato!" Balza agilmente sul gendarme di fronte e lo setaccia in cerca di altra ferraglia o fettucce imbevute di maltempo che passati alpinisti potrebbero aver lasciato. Non c'è niente. Soltanto quell'ometto solitario che ha trovato la nostra compagnia e non vuole mollarci. Dall'alto il torcicollo mi costringe a guardare sempre nello stesso punto, a lato della cresta, dove filtra del vuoto fatto di luce e soffice erba. Sarebbe bello se fosse l'uscita, con tanto di cartello e freccia. Intanto Beno ha deciso di buttarsi nella trappola appena sorvolata. Infatti all'altra estremità dell'apertura spunta una piramide di detriti che fanno da tappo. Ho sempre partecipato a calate il più possibile dritte, a piombo, pena una ramanzina dello stesso Beno. Così questa discesa a spirale frulla in un secondo tutto quello che so della montagna ma non cambia di una virgola quello che penso del compagno di gita. E un dubbio sorge spontaneo: sono anch'io un delinquente? Tengo saldamente la corda, la cedo con parsimonia alla voce che riecheggia, e aspetto. "Ci sono due cunicoli qua sotto, provo a vedere se ci si passa!" Rimango stordito: "Cosa hai detto?" "Dammi corda che mi infilo!" Con la pazienza di un pescatore che manda a spasso la sua esca mi concentro sul robusto intreccio di fili e fibre, accompagnandolo in modo che non si laceri, liberandolo che non si riannodi, facendo lavorare il nodo affinché frizioni bene. Tornato a portata d'orecchio Beno mi comunica che posso raggiungerlo così facciamo il punto della situazione. Allestisco la discesa e comincio a camminare all'indietro, proprio quello che volevo evitare! Dopotutto non è male fare da esca. Con pinze e rovesci, spalmando le punte degli scarponi, mi diverto a raggiungere il macigno sospeso, e visto che nelle situazioni peggiori va sempre di moda, mi faccio immortalare mentre con le dita faccio una v dai molteplici significati. Quindi seguo la traiettoria di Beno, giù fino alla base della fenditura. Non si sa dove mettere i piedi in questo posto angusto dove sarebbe meglio non mettere piede. Il punto della situazione è che non siamo speleologi, e che Beno crede di potersi spremere in uno spiraglio largo quanto un'anguria. Mentre prova ad allargarlo a suon di pedate lo prego di imboccare l'altra strada prima che il pavimento crolli. E' una grotta stretta e gelida. Ci passa prima Beno, che di nuovo scompare chissà dove. Lo assicuro nell'unica maniera possibile, a mano. E la mano di chi mi depositerà a mia volta? Lo domando a Beno alle prese con una delicata disarrampicata. "Metto dentro qualcosa, dopo vedi!" Calmo i bollori da ammutinamento e ritorno a fare l'alpinista. Finalmente dopo un tempo incalcolabile sento la corda allentarsi, è arrivato. Ora tocca agli zaini. Affranco il primo con un otto e lo spingo tra le pareti finché sbuca, quindi faccio partire la teleferica. Subito viene bloccata da una cengia e a strattoni devo riavviarla fino a sentire di nuovo la tensione della corda. "Primo pacco arrivato!" Stessa operazione per il secondo. Resta ancora un carico, il sottoscritto. Restandovi legato butto giù la matassa di corda restante. Mi divincolo grattandomi la schiena nello stretto passaggio, grato di non essere claustrofobico, fino a sbucare col muso all'aria aperta. In pratica la montagna mi sta procreando ma il cordone ombelicale è uscito prima di me. Una manciata di metri da scalare. A gattoni, e spostando un arto alla volta, raggiungo il rinvio montato da Beno poco sotto e con un salto raggiungo la terra ferma. Dopo aver letto l'orologio ci guardiamo straniti essendo trascorsa un'ora da quando abbiamo tirato fuori il cordame: un parto per davvero! Una blanda merenda ci rimette in marcia giù per il vallone, intenzionati a calpestare la traccia di salita. Puntiamo ad alcune macchie di arbusti dove una linea impercettibile fa presagire un sentiero. Per qualche illusione ottica o semplicemente per pura coincidenza non si trova lì ma poco distante. La cartina stropicciata ci informa che è un tratto non battuto in mattinata. E allora torniamo a urbanizzarci lentamente, facendo tesoro dell'esperienza che lasciamo alle spalle. Personalmente in tasca mi tintinna una manciata di minuscole pietre tempestate di micca. Sono un delinquente anch'io.

Poncione Piancascia


Carlo incengiato, sullo sfondo l'alpe Gemogna e lo Sgemögna

Rampa ripida sulla normale al Rasiva

Salendo al Rasiva

Beno, insensibile alla fatica, sorride al Rasiva

Cresta Sgemögna

Verso Poncione della Marcia

Verso Rasiva

Verso Rasiva, cresta E

Monte Zucchero

In vetta

Arriva l'aviazione svizzera

Cresta E del Rasiva

Scendendo la cresta S

Disarrampicando nella crepa a m 2550

 Tut a post sopra la crepa

Sotto il passaggio chiave della cresta S

Di ritorno a Cortesell

La cabina telefonica riadattata a cesso panoramico




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