Dopo mesi che me la consigliavano, in quanto selvaggia e con splendide escursioni, finalmente mi decido ad andare a visitare la ticinese val Verzasca, patria dell'omonima razza di capre.
Parallela della val Maggia, la val Verzasca s'alza a N di Gordola, paesino immediatamente a E di Locarno. In linea d'aria la val Verzasca è lunga 26 km e al suo apice, al culmine della tributaria val Vegorness, si trova il pizzo Barone, che ne è la massima elevazione e il nostro obbiettivo di giornata.
La testata della val Vegorness da Corte di Fondo. |
Partenza: Sonogno (m 918).
Itinerario automobilistico: da Sondrio per la SS38, quindi la Regina, credo sappiate tutti raggiungere Lugano. Sono un centinaio di chilometri. Da qui avete due opzioni: o prendere l'autostrada verso Bellinzona e da lì seguire per Locarno, oppure, se non volete acquistare il bollino annuale dell'autostrada svizzera, da Lugano potete dirigervi a Ponte Tresa, quindi a Luino e dalla cittadina puntare a N lungo la sponda del lago Maggiore.
In entrambi i casi, prima di Locarno trovate le indicazioni per la val Verzasca. Da Gordola si alza la strada che con un po' di curve guadagna l'accesso sospeso della valle, dove si trova la diga di Vogorno. Si costeggia il lungo lago sulla dx idrografica, quindi si prosegue verso N toccando Brione, Frasco e infine Sonogno, limite del transito consentito (26 km da Gordola). Prima del paese, sulla dx, vi è un ampio parcheggio a pagamento. Costa 10 franchi al giorno. Portatevi sufficiente moneta svizzera.
Itinerario sintetico: Sonogno (m 918) - Cabiói (m 1078) - Corte di Fondo (m 1487) - Corte della Piana (m 1552) - Piodoo (m 1950) - capanna Barone (m 2172) - lago Barone (m 2391) - pizzo Barone (m 2864) - ritorno per la stessa via.
Tempo previsto: 6:30 ore per la salita.
Attrezzatura richiesta: scarponcini da trekking. Ramponi e piccozza solo con neve residua.
Difficoltà/dislivello in salita: 3 su 6 / oltre 1950 metri.
Dettagli: T3+. Sentieri segnalati e comodi fino in vetta, ma che con neve nell'ultimo tratto possono risultare insidiosi. Sopra il lago infatti c'è una ripida rampa (35°) che porta a rimontare un terrazzo esposto, del tutto innocuo se pulito.
© swisstopo.ch |
Attraversato il verde piano di Magadino, accarezzato dalla luce radente dell'alba, siamo a Gordola, dove ha inizio la strada cantonale della val Verzasca.
Una manciata di tornanti e una singolare galleria con curva ci portano sopra il lago di Vogorno, un lungo fiordo alpino che, via via assottigliandosi, penetra nella valle per oltre 5 km. Lo costeggiamo dalla sponda sx orografica, osservando il prospiciente paese di Mergoscia, non più raggiungibile una volta entrati in val Verzasca. Le due sponde della valle, infatti, non hanno comunicazione stradale. Un po' come Bema e la val Gerola.
Oltre il lago, tocchiamo i paesi di Lavertezzo, dove vi è una bel ponte romano in pietra con due gobbe.
Più su è Brione Verzasca, piccolo abitato che fa comune in corrispondenza del quale verso NO si diparte la val d'Osura. Gioia viene colpita dalle forme aggraziate della chiesa di Santa Maria Assunta, con il suo abside semicircolare e i muri in pietra. L'edificio è il più antico della val Verzasca e la sua prima struttura risale al XIII secolo, ma così come appare è frutto di successivi rimaneggiamenti ed ampliamenti. Al suo interno si trovano affreschi sempre del XIII secolo, purtroppo in parte rovinate dall'opera di martellatura per intonacarla nel 1800, triste destino toccato a molti edifici religiosi di cui solo recentemente sono stati riportati alla luce i pregevoli affreschi sulle pareti.
Ancor più su vi è Frasco, anch'esso comune. Dal paese si parte a piedi, dopo aver ammirato la spumeggiante cascata d'Efra, per il lago omonimo situato a m 1836 nella val d'Efra.
Meno di due chilometri ed eccoci, finalmente, a Sonogno. Prima del paese, sulla dx, c'è un ampio parcheggio a pagamento. Per fortuna ho un po' di moneta in macchina, perchè la sosta giornaliera costa ben 10 Franchi.
A Sonogno (m 918) la val Verzasca si biforca: a O la val Redorta, a NE la val Vegorness, entrambe precluse al traffico veicolare non autorizzato. Il paesino è cinto da montagne piuttosto imponenti a discapito di un'altezza modesta (nessuna arriva a 3000 metri). In particolare, intrufolandosi con lo sguardo in val Redorta siamo colpiti dalla cime omonima che s'alza in fondo alla valle, ma specialmente dal monte Zucchero, dall'aspetto tutt'altro che dolce, con un grande terrazzo nevoso sospeso a picco tra la la rocciosa cuspide sommitale e la parete meridionale.
Sulla perpendicolare della vetta, già da tempo illuminata dal sole, sopra i boschi si staglia una bizzarra ombra fallica . Ma guardando le vette prospicienti non si vede nessun picco che ha quella forma e la cosa desta la nostra curiosità.
Ci incamminiamo in val Vegorness per una stradella asfaltata, la quale al primo mattino è tutta in ombra. Di tanto in tanto ci voltiamo, ma del campanile di roccia sulle creste non c'è traccia.
Oltre il ponticello sul torrente finisce l'asfaltata e lascia spazio a una pavimentazione con masselli autobloccanti forati in cemento, quelli che noi a Montagna chiamiamo "matuchìn".
Dopo un gruppo di vacche al pascolo, incontriamo due anziani pastori che mungono pazientemente a mano le loro capre. Di verzasche ne contiamo poche, quando ci saremmo aspettati di trovarle tutte nere. Seppur poco fertile, la vallata è grande e il quantitativo di bestiame parre un po' sottodimensionato per mantenere puliti i pascoli.
$ km di cammino e siamo a Cabiói, raccolto nucleo di baite coi tetti in ardesia. Qui termina la strada e le macchine degli abitanti sono confinate in recinti in legno.
Il sentiero si sposta subito in dx idrografica e tra faggi e rododentri prende quota senza troppa fretta. Alcuni tornantini affiancano una cascata e una bella S del torrente tra le rocce lisciate. I fianchi della vallata sono dirupati e non scorgiamo sentieri che li calcano.
Alle porte dell'alpe Corte di Fondo, sbuca dalla vegetazione un pescatore. Prendiamo uno spavento perchè lo vediamo solo all'ultimo e prima, vedendo muoversi i cespugli e spuntare dritte le sue canne quasi fossero corna, avevamo pensato di doverci trovare a tu per tu con un cervo!
Il pescatore, fiero del suo bottino di 4 trote, indossa le ghette, ci dice per evitare di esser morso dai marassi, che qui sono neri e piuttosto grossi. «Se siete fortunati riuscirete a fotografarne qualcuno anche se a quest'ora il sole è già troppo forte e si nascondono sotto i sassi.»
Purtroppo non siamo fortunati, anzi io non lo sono perché avrei voluto vedere il marasso nero, mentre Gioia è colta dal terrore di serpenti che sbucano da ogni dove per morderla e mi segue come un'ombra.
A m 1487 c'è l'alpe , dove si trovano i pastori con una trentina di capi. Qui le mucche hanno ancora tutte le corna. Dopo che se n'è andato il Cesare, mi capita sempre più raramente di vedere animali non mutilati.
Attraversiamo il torrente su un ponte di legno con fune metallica di sicurezza, poi ci scostiamo da esso e saliamo a sx verso lo stallone con tetto in beole di Corte della Piana (m 1552).
Il sentiero insiste ripido verso N giungendo al cospetto di un'alta cascata il cui getto d'acqua si proietta parecchio in avanti rispetto al gradino roccioso. Traversando a sx e contorcendosi la via bollata prede quota per superare un salto. Rinfrescante è il passaggio accanto a una cascatella che ci obbliga a una doccia per non sporgerci sul bordo del sentiero.
Ancora a ONO su un ripiano, poi uno strappetto e giungiamo al terrazzo di Piodoo, che ospita due baite con bel barech in pietra. Da qui si apprezza la vallata e specialmente le belle forme della Corona di Redorta, la più bella delle cime che ne ornano il perimetro. Ma pure la vertiginosa guglia che sovrasta la bocchetta della Campala non passa inosservata.
Dirigendoci a N, dopo un ultimo strappo tra pietraie siamo alla capanna Barone (m 2172, ore 4:30): due edifici allineati con tetto a capanna in beola circondati da staccionata in legno contenente panche e un ergonomico quanto sinuoso sdraio in doghe di legno.
Un cartello dà il pizzo Barone a 1:45 ore. È una previsione un po' ottimistica, specialmente per oggi, dati i 700 metri di dislivello di cui 600 a mollo nella neve.
Mezz'ora di cammino tra pietraie e magri pascoli ci porta sulle rive del grande lago Barone, a cui qualcuno attribuisce una forma a cuore che non riesco sinceramente a riconoscere. Lo specchio d'acqua, oggi solamente all'inizio del disgelo, è posto in una conca tutta nevosa ed è sovrastato dal turrito pizzo di Piancoi, mentre a NO la vetta del pizzo Barone si cela dietro i suoi contrafforti meridionali.
Ci incamminiamo proprio a NO superando alcuni dossi, quindi una ripida rampa nevosa. Non abbiamo i ramponi, così man mano saliamo dobbiamo prestare sempre più attenzione perchè una scivolata potrebbe costarci cara. Saliamo fin quasi contro la barra di rocce, per piegare a sx e rimontare il grande terrazzo roccioso a ma 2650. Ne percorriamo il bordo inferiore dove la neve s'è già sciolta fino alla sua estremità e , dopo 250 metri circa, c'inerpichiamo (dx) su per il pendio e veniamo così a capo di un successivo gradino roccioso, quello il cui bordo è a m 2800.
Finalmente ora si capisce qual è la vetta. Si trova più a dx (NE) e la croce ci rincuora sull'esattezza della nostra intuizione. Dobbiamo però superare un ulteriore gradino di roccia e lo facciamo aggirandolo da dx e conquistando così l'ampio e pianeggiante testone sommitale del pizzo Barone (m 2864, ore 2).
Il panorama è stupendo e amplissimo, la temperatura confortevole, il cibo buono, ma il sonno ci attira di più e ci addormentiamo nello spiazzo sgombro da neve e affacciato alla val Maggia dove sono la croce di ferro e il libro di vetta.
«Beno!!!!»
Chi è? Non c'era nessuno in giro oggi!
Alziamo gli occhi: c'è un uomo su un parapendio che ci passa sopra a pochi metri, poi ripassa e saluta, poi ripassa di nuovo e si dilegua in lontananza verso il monte Zucchero.
«Ma chi è che ti ha chiamato per nome?» mi chiede Gioia.
«Che ne so!». Riguardo le foto che gli ho fatto, ma non riesco a riconoscerlo.
Sono le 17:30 e mai mi sarei aspettato nel cuore del Ticino che un omino volante mi svegliasse sul cocuzzolo di una montagna gridando il mio nome!
Sono le 17:30: meglio scendere o prendiam notte. Così giù svelti ma, quando mancano 2 ore all'auto abbiamo un'altra visione: dal bosco, contromano rispetto a noi, sbuca una donna alta, con fluenti e brizzolati capelli ricci che s'appoggiano a aguzze spalle e un corpo longilineo. Veste una gonna lunga e dei sandali minimalisti del tutto inadatti alle pietre e alle ortiche. Ci sorride. La segue a pochi metri da un uomo con lunghi capelli ordinati e abito elegante. Lui è più musone e ci osserva apatico. Alla faccia della notte che incombe, stanno passeggiando nelle faggete lontano da tutto e si stanno ancora dirigendo verso l'alto. Il contrasto tra il loro vestire, la loro calma e la valle selvaggia all'imbrunire ci lascia senza parole.
Ci sentiamo in colpa perchè noi anzichè goderci la pace della val Vegorness, stiamo correndo verso l'auto. Forse dovremo fermarci e con calma gustarci l'arrivo della notte.
Ma la fame aiuta la forza di gravità a trascinarci verso il basso... sarà per la prossima volta. Promesso.
Più su è Brione Verzasca, piccolo abitato che fa comune in corrispondenza del quale verso NO si diparte la val d'Osura. Gioia viene colpita dalle forme aggraziate della chiesa di Santa Maria Assunta, con il suo abside semicircolare e i muri in pietra. L'edificio è il più antico della val Verzasca e la sua prima struttura risale al XIII secolo, ma così come appare è frutto di successivi rimaneggiamenti ed ampliamenti. Al suo interno si trovano affreschi sempre del XIII secolo, purtroppo in parte rovinate dall'opera di martellatura per intonacarla nel 1800, triste destino toccato a molti edifici religiosi di cui solo recentemente sono stati riportati alla luce i pregevoli affreschi sulle pareti.
Ancor più su vi è Frasco, anch'esso comune. Dal paese si parte a piedi, dopo aver ammirato la spumeggiante cascata d'Efra, per il lago omonimo situato a m 1836 nella val d'Efra.
Meno di due chilometri ed eccoci, finalmente, a Sonogno. Prima del paese, sulla dx, c'è un ampio parcheggio a pagamento. Per fortuna ho un po' di moneta in macchina, perchè la sosta giornaliera costa ben 10 Franchi.
A Sonogno (m 918) la val Verzasca si biforca: a O la val Redorta, a NE la val Vegorness, entrambe precluse al traffico veicolare non autorizzato. Il paesino è cinto da montagne piuttosto imponenti a discapito di un'altezza modesta (nessuna arriva a 3000 metri). In particolare, intrufolandosi con lo sguardo in val Redorta siamo colpiti dalla cime omonima che s'alza in fondo alla valle, ma specialmente dal monte Zucchero, dall'aspetto tutt'altro che dolce, con un grande terrazzo nevoso sospeso a picco tra la la rocciosa cuspide sommitale e la parete meridionale.
Sulla perpendicolare della vetta, già da tempo illuminata dal sole, sopra i boschi si staglia una bizzarra ombra fallica . Ma guardando le vette prospicienti non si vede nessun picco che ha quella forma e la cosa desta la nostra curiosità.
Ci incamminiamo in val Vegorness per una stradella asfaltata, la quale al primo mattino è tutta in ombra. Di tanto in tanto ci voltiamo, ma del campanile di roccia sulle creste non c'è traccia.
Oltre il ponticello sul torrente finisce l'asfaltata e lascia spazio a una pavimentazione con masselli autobloccanti forati in cemento, quelli che noi a Montagna chiamiamo "matuchìn".
Dopo un gruppo di vacche al pascolo, incontriamo due anziani pastori che mungono pazientemente a mano le loro capre. Di verzasche ne contiamo poche, quando ci saremmo aspettati di trovarle tutte nere. Seppur poco fertile, la vallata è grande e il quantitativo di bestiame parre un po' sottodimensionato per mantenere puliti i pascoli.
$ km di cammino e siamo a Cabiói, raccolto nucleo di baite coi tetti in ardesia. Qui termina la strada e le macchine degli abitanti sono confinate in recinti in legno.
Il sentiero si sposta subito in dx idrografica e tra faggi e rododentri prende quota senza troppa fretta. Alcuni tornantini affiancano una cascata e una bella S del torrente tra le rocce lisciate. I fianchi della vallata sono dirupati e non scorgiamo sentieri che li calcano.
Alle porte dell'alpe Corte di Fondo, sbuca dalla vegetazione un pescatore. Prendiamo uno spavento perchè lo vediamo solo all'ultimo e prima, vedendo muoversi i cespugli e spuntare dritte le sue canne quasi fossero corna, avevamo pensato di doverci trovare a tu per tu con un cervo!
Il pescatore, fiero del suo bottino di 4 trote, indossa le ghette, ci dice per evitare di esser morso dai marassi, che qui sono neri e piuttosto grossi. «Se siete fortunati riuscirete a fotografarne qualcuno anche se a quest'ora il sole è già troppo forte e si nascondono sotto i sassi.»
Purtroppo non siamo fortunati, anzi io non lo sono perché avrei voluto vedere il marasso nero, mentre Gioia è colta dal terrore di serpenti che sbucano da ogni dove per morderla e mi segue come un'ombra.
A m 1487 c'è l'alpe , dove si trovano i pastori con una trentina di capi. Qui le mucche hanno ancora tutte le corna. Dopo che se n'è andato il Cesare, mi capita sempre più raramente di vedere animali non mutilati.
Attraversiamo il torrente su un ponte di legno con fune metallica di sicurezza, poi ci scostiamo da esso e saliamo a sx verso lo stallone con tetto in beole di Corte della Piana (m 1552).
Il sentiero insiste ripido verso N giungendo al cospetto di un'alta cascata il cui getto d'acqua si proietta parecchio in avanti rispetto al gradino roccioso. Traversando a sx e contorcendosi la via bollata prede quota per superare un salto. Rinfrescante è il passaggio accanto a una cascatella che ci obbliga a una doccia per non sporgerci sul bordo del sentiero.
Ancora a ONO su un ripiano, poi uno strappetto e giungiamo al terrazzo di Piodoo, che ospita due baite con bel barech in pietra. Da qui si apprezza la vallata e specialmente le belle forme della Corona di Redorta, la più bella delle cime che ne ornano il perimetro. Ma pure la vertiginosa guglia che sovrasta la bocchetta della Campala non passa inosservata.
Dirigendoci a N, dopo un ultimo strappo tra pietraie siamo alla capanna Barone (m 2172, ore 4:30): due edifici allineati con tetto a capanna in beola circondati da staccionata in legno contenente panche e un ergonomico quanto sinuoso sdraio in doghe di legno.
Un cartello dà il pizzo Barone a 1:45 ore. È una previsione un po' ottimistica, specialmente per oggi, dati i 700 metri di dislivello di cui 600 a mollo nella neve.
Mezz'ora di cammino tra pietraie e magri pascoli ci porta sulle rive del grande lago Barone, a cui qualcuno attribuisce una forma a cuore che non riesco sinceramente a riconoscere. Lo specchio d'acqua, oggi solamente all'inizio del disgelo, è posto in una conca tutta nevosa ed è sovrastato dal turrito pizzo di Piancoi, mentre a NO la vetta del pizzo Barone si cela dietro i suoi contrafforti meridionali.
Ci incamminiamo proprio a NO superando alcuni dossi, quindi una ripida rampa nevosa. Non abbiamo i ramponi, così man mano saliamo dobbiamo prestare sempre più attenzione perchè una scivolata potrebbe costarci cara. Saliamo fin quasi contro la barra di rocce, per piegare a sx e rimontare il grande terrazzo roccioso a ma 2650. Ne percorriamo il bordo inferiore dove la neve s'è già sciolta fino alla sua estremità e , dopo 250 metri circa, c'inerpichiamo (dx) su per il pendio e veniamo così a capo di un successivo gradino roccioso, quello il cui bordo è a m 2800.
Finalmente ora si capisce qual è la vetta. Si trova più a dx (NE) e la croce ci rincuora sull'esattezza della nostra intuizione. Dobbiamo però superare un ulteriore gradino di roccia e lo facciamo aggirandolo da dx e conquistando così l'ampio e pianeggiante testone sommitale del pizzo Barone (m 2864, ore 2).
Il panorama è stupendo e amplissimo, la temperatura confortevole, il cibo buono, ma il sonno ci attira di più e ci addormentiamo nello spiazzo sgombro da neve e affacciato alla val Maggia dove sono la croce di ferro e il libro di vetta.
«Beno!!!!»
Chi è? Non c'era nessuno in giro oggi!
Alziamo gli occhi: c'è un uomo su un parapendio che ci passa sopra a pochi metri, poi ripassa e saluta, poi ripassa di nuovo e si dilegua in lontananza verso il monte Zucchero.
«Ma chi è che ti ha chiamato per nome?» mi chiede Gioia.
«Che ne so!». Riguardo le foto che gli ho fatto, ma non riesco a riconoscerlo.
Sono le 17:30 e mai mi sarei aspettato nel cuore del Ticino che un omino volante mi svegliasse sul cocuzzolo di una montagna gridando il mio nome!
Sono le 17:30: meglio scendere o prendiam notte. Così giù svelti ma, quando mancano 2 ore all'auto abbiamo un'altra visione: dal bosco, contromano rispetto a noi, sbuca una donna alta, con fluenti e brizzolati capelli ricci che s'appoggiano a aguzze spalle e un corpo longilineo. Veste una gonna lunga e dei sandali minimalisti del tutto inadatti alle pietre e alle ortiche. Ci sorride. La segue a pochi metri da un uomo con lunghi capelli ordinati e abito elegante. Lui è più musone e ci osserva apatico. Alla faccia della notte che incombe, stanno passeggiando nelle faggete lontano da tutto e si stanno ancora dirigendo verso l'alto. Il contrasto tra il loro vestire, la loro calma e la valle selvaggia all'imbrunire ci lascia senza parole.
Ci sentiamo in colpa perchè noi anzichè goderci la pace della val Vegorness, stiamo correndo verso l'auto. Forse dovremo fermarci e con calma gustarci l'arrivo della notte.
Ma la fame aiuta la forza di gravità a trascinarci verso il basso... sarà per la prossima volta. Promesso.
L'imbocco della val Verzasca visto da Gambarogno. |
Al centro il monte Zucchero, a sx la Corona di Redorta, mentre in basso la bizzarra ombra fallica di cui non capiamo l'origine. |
La cascata sopra Corte della Piana. |
Panorama da Piodoo. |
La capanna Barone. Il pizzo Barone è in alto a dx, anche se il cocuzzolo è nascosto e da questa prospettiva parrebbe più basso del pizzo di Scinghign, la torre rocciosa sulla sx. |
Il lago Barone al disgelo. |
La vetta del pizzo Barone. |
L'uomo in parapendio che ci ha svegliate in vetta chiamandomi per nome. |
I primi metri in discesa dalla vetta. |
Verso il lago Barone. Sullo sfondo iil pizzo di Piancoi. |
Il lago Barone. |
Cabioi. |
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