Non amo le vie classiche. Ho come l'idea che siano meno avventurrose, meno intime, ma questa parete era davvero tanto tanto tempo che la sognavo (da D+ a TD a seconda di chi valuta, 60°).
Da un'idea dell'ultim'ora di andare all'Oggioni a dormire per guardarsi in giro, ne è uscita una salita davvero emozionante in compagnia di Andrea e Giorgio.
Condizioni invernali, anzi, mai nemmeno d'inverno avevo visto tanta neve in cresta al Disgrazia, con cornici a sbalzo anche di 2-3 metri.
La parete Nord invece era al top: il vento aveva ghiacciato i pendii, che così erano ottimi per gli attrezzi. Un po' meno per le continue scariche di neve polverosa nella strozzatura centrale che ci riempivano il colletti delle camicie. Temperatura tra i -5° e i -10°C. Visibilità buona solo a tratti, vento gelido insistente. Foto poche perchè avevo paura che la macchina finisse a valle con la neve che precipitava dall'alto.
Itinerario automobilistico: da Sondrio prendere la strada provinciale SP15 per la Valmalenco. Arrivati a Chiesa (12 km) si sceglie la biforcazione occidentale della valle. Dopo diversi tornanti (5 km) si arriva a San Giuseppe, da cui si prosegue in direzione di Chiareggio (5 km).
Itinerario sintetico: Chiareggio (m 1612) - alpe Ventina (m 2000) - bivacco Oggioni (m 3151) per il canalone della Vergine - monte Disgrazia per la parete N(m 3678) - discesa per cresta OSO quindi per il canalone Schenatti - Predarossa (m 1955).
Tempo di salita previsto: 1° giorno 6 ore fino al bivacco Oggioni; 2° giorno - 5 ore alla vetta + 4 ore per la discesa.
Attrezzatura richiesta: scarponi, corda (60 metri consigliata), piccozze da piolet traction, imbracatura, ramponi, cordini, 3-4 chiodi da ghiaccio e altrettanti da roccia
Difficoltà/dislivello: 5+ su 6 / 2200 m circa.
Dettagli: Alpinistica da D+ a TD a seconda di chi valuta. Pendii glaciali fino a 60° e possibili tratti di misto. D+ dovrebbe essere la gradazione giusta, che tiene anche conto del fatto che l'itinerario non è sempre in condizioni buone per essere percorso agevolmente.
Mappe: Valmalenco - Carta escursionistica 1:30000.Il tracciato dall'Oggioni alla vetta del Disgrazia per la parete Nord visto dalla cima di Rosso nell'aprile 2009. |
Al pomeriggio di martedì ci incamminiamo da Chiareggio dopo esserci fatti spennare 20 euro all'alimentari per 5 panini e una piccola bisciöla. 2 erano cul furmac' de quel vec': forse è questo che ha determinato il sovrapprezzo.
Non abbiamo ancora deciso cosa fare: dovevamo aggregarci alla cordata dell'amico Danilo Valsecchi e di Benigno Balatti, ma Danilo non è stato bene e così siamo soli. L'unica certezza è una notte umidiccia nello scatolotto rosso dell'Oggioni, poi qualsiasi cosa ci venga in mente sarà comunque bellissima.
"Dove andate?"
"Su all'Oggioni, poi vediamo."
"La Nord?"
"Forse, dipende dal tempo, o forse solo la Corda Molla."
È afoso e piuttosto caldo mentre percorriamo la carrareccia per il rifugio Porro. Incontriamo contromano numerosi studenti e anche il Floriano Lenatti, gestore del rifugio.
"'n ghe 'ndi?"
"'n séra dré a vegnì sü a vedé se te fasévet giüdìzzi?!"
Floriano ride.
"Andiamo all'Oggioni, poi vediamo cosa fare"
"La Nord?"
"Forse, dipende dalle condizioni."
"È stato su il Nicola e ha detto che è bellissima."
Dopo quella affermazione del Floriano il "forse" sparisce dai nostri piani.
Raggiunta la Porro, percorriamo tutta la piana del Ventina, poi rimontiamo la morena di dx (S) del ghiacciaio della Ventina. Seguiamo il cordolo sassoso ed entriamo (S) nel vallone della Vergine. Siamo circa a m 2200 e inizia la neve. Ce n'è tanta per essere a giugno, tutti i ghiacciai sono coperti.
Sulla Sassa di Fora imperversa una bufera.
Sulla Sassa di Fora imperversa una bufera.
Calziamo subito tutta l'attrezzatura da 8000 e ci gettiamo nella coltre bianca, flaccida e appiccicosa.
Si affonda tutti i passi. Che faticaccia!
Alla nostra sx c'è la Sentinella della Vergine, mentre a dx la robusta dentatura della severa cresta ENE del pizzo Ventina.
Si vedono in alto, al centro del quadro di cui ho appena tratteggiato la cornice, sia la punta Kennedy, che la parte ripida del canalone della Vergine (40°).
Il cielo è grigio e presto inizia a nevicare.
Ci teniamo sull'orografica dx, cioè sulla sx, nel primo tratto della valle. Quando questa piega decisamente a dx (O), noi la seguiamo passando a sx dell'isola rocciosa di quota 2862 che separa le due lingue del ghiacciaio del canalone della Vergine.
Una ripida rampa, insolitamente scevra di crepacci, ci regala la conca compresa tra la punta Kennedy e il pizzo Ventina, cime ora nascoste dalla nebbia. Continuiamo ostinatamente verso O vedendo il bivacco Oggioni, causa l'enorme quantitativo di neve ancora presente, solo quando ci siamo praticamente entrati (m 3146 su CTR, m 3151 su altre mappe, ore 4-5 a seconda delle condizioni).
L'aria è fastidiosa, ma non ci sono accenni di rigelo.
Forse sono i successi di Ligabue che Giorgio canta ad impedire la cristallizzazione dell'acqua.
Se fosse così anche domani, sarebbe sconsigliabile andare all'attacco, così dovremmo ripiegare sulla Corda Molla o, nel peggiore dei casi, su una Kennedy di consolazione.
Speriamo Giorgio inizi a fischiettare almeno Pino Daniele!
Speriamo Giorgio inizi a fischiettare almeno Pino Daniele!
Non abbiamo mai fatto la Nord, nè siamo mai scesi al ghiacciaio del Disgrazia dal colle su cui è il bivacco. Mentre Giorgio e Andrea producono il tè necessario per deglutire i nostri costosissimi panini, io, sulla scorta delle informazioni contenute nella guida di Miotti "Disgrazia Bernina", cerco il "ripido pendio"per scendere al ghiacciaio del Disgrazia. Ma attorno al bivacco non c'è nulla di quanto promesso. Ipotizzo allora anche che si debba buttare una doppia dal bivacco per portarsi sulla neve che vedo più in basso, ma nella penombra non riesco a valutare le distanze.
Entro anche io nello scatolotto di lamiera.
Sono rattrappito dal freddo e l'umidità che c'è all'interno non fa che peggiorare la mia situazione.
Andrea lamenta lo stesso problema.
Giorgio : " Io sto bene!".
"Fottiti!"
Srotoliamo subito i sacchi a pelo e, mentre quello che sta bene fa il cuoco, ci mummifichiamo per scongiurare l'ipotermia.
Beviamo molto la sera, anche perchè il formaggio vecchio è davvero saporitissimo.
Gli abbinamenti del nostro menù farebbero rabbrividire un americano, ma ci riempiono la pancia e il calore del té fa da catalizzatore alla digestione e alle flatulenze mefitiche di qualcuno!
L'urinoterapia delle 22 (pratica fatta per scongiurare un traumatica uscita dal bivacco quando ti scappa in piena notte) ci lascia contemplare le fitte nebbie e ci fa schiaffeggiare da un vento sempre più cattivo.
Rientrati nei sarcofagi vi rimaniamo fino alle 4 di mattina. Dal vetro della porta è entrata la luce della luna per tutta la notte, mentre il vento scuoteva le lamiere e gridava. Sembrerebbero buoni auspici, ma alle 4 c'è un tempo da lupi: non si vedono nemmeno le picche piantate davanti alla porta!
Torniamo nei bozzoli.
Alle 5 la successiva verifica dà esito migliore, così avviamo le operazioni di settaggio zaini, colazione e pulizia del bivacco.
"Non firmiamo il libro?", mi chiede Andrea.
"Mei de no", gli rispondo. "Porta sfiga, se mai su al Rauzi!"
Verso le 6 sono ancora appeso su una calata sotto il bivacco: "Da qui non si va da nessuna parte, maledizione!".
Riemerso, andiamo su verso S lungo l'orlo della conca alla ricerca di un passaggio e, circa 120 metri oltre il bivacco ha inizio una ripida rampa (45°) nevosa che scende nell'altro ghiacciaio.
Giù a marcia indietro, in diagonale verso dx dove si trova lo sbocco dello scivolo, con 2 picche ben piantate perchè è tutto ghiacciato.
A m 2950 atterriamo nell'enorme catino ai piedi della parete N. Le nebbie si sono sciolte.
Ci sono 40 cm di neve fresca per terra. Il punto dove varcare la crepaccia terminale è chiaro: un ponte nel suo centro. Ci alterniamo nel batter traccia e, poco dopo aver incontrato il sole, eccoci lì, a circa m 3120.
Una volta sull'altra sponda non si torna più indietro. Certo che le vie famose, anche se non dure, angosciano perchè su di esse girano leggende e racconti! Persino chi non le ha mai salite, infatti, ti ammonisce su difficoltà e ti raccomanda prudenza.
Ne rido con Andrea ricordandogli come lasci indifferente il dire che vai a fare la traversata delle cime di Musella, mentre se racconti che parti per la normale al Disgrazia allora sgorgano spontanee parole di ammirazione. Bizzarro.
Questa parete la conoscono anche i bambini, e forse la Diretta è la via più famosa della Valmalenco.
Questa parete la conoscono anche i bambini, e forse la Diretta è la via più famosa della Valmalenco.
Tra questi discorsi varco la soglia del terminale.
È la prima volta che uso le picche da ghiaccio: me le ha appena vendute Pascal. Pare vadan bene.
Ho con me una vite da ghiaccio che ho trovato proprio sul Disgrazia 5 anni fa e che appendo allo zaino quando vado per funghi, non conoscendone altre applicazioni. Dalle relazioni pare però che in questi luoghi sia proprio conveniente avvitarne qualcuna. Imparerò.
In inutile conserva corta affrontiamo la prima rampa (50°).
Una slavina ha creato un toboga nel centro del pendio. Noi siamo lì dentro. 3 puntini al cospetto di un immenso muro di ghiaccio.
Una slavina ha creato un toboga nel centro del pendio. Noi siamo lì dentro. 3 puntini al cospetto di un immenso muro di ghiaccio.
Alla nostra sx c'è la prua. È enorme quanto il muraglione della diga dell'alpe Gera, forse anche di più. Un grosso seracco a sbalzo si stacca da essa, imbilico, ma momentaneamente immobile. Per fortuna lo si nota solo di lato, se no chissà che paura avremmo avuto nel passargli sotto!
A m 3200 una fascia di rocce sulla sx inizia a stringere il pendio, mentre dall'alto vien giù roba che si incanala tutta nel solco che stiamo salendo. Saltiam fuori e puntiamo alla strozzatura sopra le nostre teste. Sembra un vicolo cieco, ma è lì che si nasconde il passaggio chiave.
Eccoci giunti!
Con un chiodo da roccia attrezzo una sosta dietro uno sperone che protegge dalle scariche dall'alto e, tolta tutta la corda dallo zaino, al termine dell'ennesima secchiellata di neve Andrea dice "Ora!".
Mi lancio nel settore più impegnativo, una bella goulotte.
Mi lancio nel settore più impegnativo, una bella goulotte.
Continua a venir giù roba. Come degli scemi abbiamo levato la giacca e siamo solo in camicia. Ciò significa permettere alla neve di riempirti la schiena ogni volta che arriva una doccia.
Se dovessi descrivere questi momenti direi semplicemente inquietanti. Son qui che attendo difficoltà gravi che non arrivano, ho paura di sbagliar via, che mi arrivi una stalattite addosso o una scarica che mi porti al via. Poi penso a Giacomo Schenatti e Antonio Lucchetti Albertini, che nel 1934 avevano vinto questa parete con strumenti primitivi: come posso aver timore? Ho anche le mutande tecniche...
I metri passano, Andrea e Giorgio sono sempre più lontani. 60 gradi, ma di ghiaccio ottimo. I movimenti sono talmente ripetitivi che non li si può sbagliare. Sono riuscito a mettere una fettuccia e ad avvitare una vite da ghiaccio. 35 metri fa. Il solco si fa sempre più stretto, forse meno di due metri di colatoio tra le rocce.
"Ne hai soli 3 metri!"
"Sosta! Ho trovato uno spuntone, venite tranquilli."
Dopo esattamente 60 metri sto recuperando Giorgio e Andrea. Il passaggio chiave è fatto. Sono felicissimo. È stato più facile di quanto si racconti.
I miei compagni salgono al galoppo. Stavano congelando tartassati dal vento.
A un certo punto sento una botta sul casco.
"Scarica!!!"
Scende una slavina di neve polverosa più grossa delle precedenti.
30 secondi di panico, poi le imprecazioni di Andrea mi rassicurano che è andato tutto bene e anche che lui ha la camicia piena di neve.
Eccoli.
"Freddo?", chiedo.
"Ho i piedi di legno", dice Andrea.
"A me si sono gelate e scongelate un paio di volte le dita delle mani, che male!", aggiungo.
"Io sto bene", sorride Giorgio.
"Fottiti!!"
Io resto in sosta e loro prendono la striscia nevosa sulla sx che porta nella parte alta della parete.
La pendenza cala, circa 40-45°.
Le nebbie si squarciano per un istante e vediamo il baratro che c'è sotto i nostri piedi. Oltre una strana crestina nel centro del pendio, un confine di ghiaccio divide due mondi apparentemente incomunicanti.
Non fa paura, questo scorcio piuttosto regala una grande emozione: siamo nel centro di una delle più belle sculture che esistono, una sfida alle leggi della gravità. Cerco di imprimermi nel cuore ciò che vedo, anche se sarà difficile descrivere un momento in cui lo stupore è tanto da annientare ogni pensiero. Le nebbie corrono e non farei mai a tempo a estrarre la macchina prima che tutto si chiuda di nuovo, così non ci provo nemmeno.
Le nebbie si squarciano per un istante e vediamo il baratro che c'è sotto i nostri piedi. Oltre una strana crestina nel centro del pendio, un confine di ghiaccio divide due mondi apparentemente incomunicanti.
Non fa paura, questo scorcio piuttosto regala una grande emozione: siamo nel centro di una delle più belle sculture che esistono, una sfida alle leggi della gravità. Cerco di imprimermi nel cuore ciò che vedo, anche se sarà difficile descrivere un momento in cui lo stupore è tanto da annientare ogni pensiero. Le nebbie corrono e non farei mai a tempo a estrarre la macchina prima che tutto si chiuda di nuovo, così non ci provo nemmeno.
Teniamo la corda giusto per l'inettitudine a metterla via e, con Andrea in testa che macina dislivello con un lasco di 50 metri, arriviamo per via ovvia sulla cresta ONO a circa m 3600.
Fuori dal baratro, direte voi. E invece no! La via normale è talmente carica di neve che le difficoltà non sono finite.
Fuffa, inconsistente, mica bel ghiaccio. Per non parlare delle cornici impressionanti che orlano la cresta.
Così dobbiamo esser prudenti e, addirittura, aggirare da dx per canali il mitico Cavallo di Bronzo, mitico monolito tra cima e anticima O su cui è solitamente un passaggio chiave, quasi obbligato, della via normale dalla val Masino.
Alle 10:20, dopo circa 4 ore (di cui 1 Oggioni-terminale, 2.25 in parete e 0:25 per ravanare sulla cresta finale) siamo in vetta al Disgrazia (m 3678, la via è data in 4-6 ore dal bivacco Oggioni).
Non si vede nulla, ma qui la foto la facciamo. Tristi foto da turisti giapponesi a Roma con la nebbia.
Tentiamo di scendere al bivacco Rauzi, ma desistiamo per le condizioni proibitive che ci suggerirebbero ad alta voce di buttar giù una doppia e di non fidarci delle cornici. "Tanto poi non sappiamo dove sono le calate della Corda Molla e per di più saranno nascoste dalla neve, la firma sul libro ce la mettiamo un'altra volta!".
Ripieghiamo così sulla cresta ONO.
Ritornati all'uscita della N incontriamo nientemeno che Benigno, salito dal canalone Schenatti con un amico. Ci racconta che da anni non trovava il Disgrazia in queste condizioni patagoniche.
Scrocchiamo loro, che hanno la macchina a Predrossa, la promessa di un passaggio fino ad Ardenno che ci eviterà un lungo pellegrinaggio attraverso i passi di Cecilia e di Mello per rietrare a Chiareggio.
Ed ecco, pochi metri oltre l'uscita della Nord, sul versante del Masino ha inizio il ripido pendio del canalone Schenatti (40°).
Neve dura che va scesa con attenzione. In fondo, sopra un salto roccioso, pieghiamo decisamente a dx.
Siamo sul ghiacciaio di Pioda. Nemmeno un crepaccio, anzi, la valle è piena di neve fin sotto i m 2800. Grazie ad una lingua più coraggiosa riusciamo a scivolare fino sotto la Ponti.
Fin'ora nemmeno un metro sulle solite noiose pietraie.
Prendiamo il cordolo della morena e siamo velocemente alla piana erbosa a m 2200, dove intercettiamo il sentiero classico grazie al quale divalliamo fino alla grande piana di Predarossa (m 1955, ore 4). In fondo ad essa c'è un parcheggio, vicino al quale un prato in riva al torrente dove ci sdraiamo e ci lasciamo ammuffire.
Che mal di piedi che ho.
"Io sto bene."
"Fottiti!"
All'arrivo delle nuvole che oscurano nuovamente il sole, ci mettiamo a fare i cretini sui massoni. Trovo un nido di uccelli. Le uova si sono appena schiuse. Li osservo cosi piccoli ed indifesi, sembravamo noi poche ore fa. Poi me ne vado a fare il cretino su un altro masso.
Vari cambi di mezzi ci riportano infine a Chiareggio con maggiore sperpero di tempo che se lo avessimo fatto a piedi. Ma poco conta, ora guardare da N il monte Disgrazia ha tutto un altro sapore!
Alle 10:20, dopo circa 4 ore (di cui 1 Oggioni-terminale, 2.25 in parete e 0:25 per ravanare sulla cresta finale) siamo in vetta al Disgrazia (m 3678, la via è data in 4-6 ore dal bivacco Oggioni).
Non si vede nulla, ma qui la foto la facciamo. Tristi foto da turisti giapponesi a Roma con la nebbia.
Tentiamo di scendere al bivacco Rauzi, ma desistiamo per le condizioni proibitive che ci suggerirebbero ad alta voce di buttar giù una doppia e di non fidarci delle cornici. "Tanto poi non sappiamo dove sono le calate della Corda Molla e per di più saranno nascoste dalla neve, la firma sul libro ce la mettiamo un'altra volta!".
Ripieghiamo così sulla cresta ONO.
Ritornati all'uscita della N incontriamo nientemeno che Benigno, salito dal canalone Schenatti con un amico. Ci racconta che da anni non trovava il Disgrazia in queste condizioni patagoniche.
Scrocchiamo loro, che hanno la macchina a Predrossa, la promessa di un passaggio fino ad Ardenno che ci eviterà un lungo pellegrinaggio attraverso i passi di Cecilia e di Mello per rietrare a Chiareggio.
Ed ecco, pochi metri oltre l'uscita della Nord, sul versante del Masino ha inizio il ripido pendio del canalone Schenatti (40°).
Neve dura che va scesa con attenzione. In fondo, sopra un salto roccioso, pieghiamo decisamente a dx.
Siamo sul ghiacciaio di Pioda. Nemmeno un crepaccio, anzi, la valle è piena di neve fin sotto i m 2800. Grazie ad una lingua più coraggiosa riusciamo a scivolare fino sotto la Ponti.
Fin'ora nemmeno un metro sulle solite noiose pietraie.
Prendiamo il cordolo della morena e siamo velocemente alla piana erbosa a m 2200, dove intercettiamo il sentiero classico grazie al quale divalliamo fino alla grande piana di Predarossa (m 1955, ore 4). In fondo ad essa c'è un parcheggio, vicino al quale un prato in riva al torrente dove ci sdraiamo e ci lasciamo ammuffire.
Che mal di piedi che ho.
"Io sto bene."
"Fottiti!"
All'arrivo delle nuvole che oscurano nuovamente il sole, ci mettiamo a fare i cretini sui massoni. Trovo un nido di uccelli. Le uova si sono appena schiuse. Li osservo cosi piccoli ed indifesi, sembravamo noi poche ore fa. Poi me ne vado a fare il cretino su un altro masso.
Vari cambi di mezzi ci riportano infine a Chiareggio con maggiore sperpero di tempo che se lo avessimo fatto a piedi. Ma poco conta, ora guardare da N il monte Disgrazia ha tutto un altro sapore!
Sul canalone della Vergine verso il bivacco Oggioni. |
Mummie e cuochi all'Oggioni. |
NB. che è il grandangolo che lo fa sembrare grande e accogliente! |
Seppur non bellissimo, il tempo migliora dopo le 5 del mattino, così decidiamo di partire. |
Alla base del pendio che scende al ghiacciaio del Disgrazia. |
Il pendio che scende al ghiacciaio del Disgrazia. |
Sguardo su Disgrazia, cime di Chiareggio, monte Sissone e Gemelli di Chiareggio. |
Verso la N, quota 3000 ca. |
Verso la N, quota 3050 ca. |
Verso la N, quota 3050 ca. Sulla sx si vede la grande prua ghiacciata che emerge dalla parete N. |
In vetta. Paesaggio verso O. |
In vetta. Paesaggio verso E. |
Sul colletto dove esce la Nord. |
L'ultimo tratto della Nord dall'alto. |
Fuori pericolo! |
Sul ghiacciaio di Pioda. Tracciato il canalone Schenatti. |
complimenti
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