lunedì 12 novembre 2018

Google: suggerimenti per appassionati di alpinismo

Stavo cercando chi vendeva una copia del libro di Bruno Credaro del 1964 Ascensioni celebri sulle Retiche e sulle Orobie. Il motore  di Google è rimasto interdetto da un uomo che faceva una ricerca del genere alle 11 di sera, così subito ha corretto un probabile mio errore di battitura...



Penso perciò, seguendo i suggerimenti ricevuti, che andrò a fare un'invernale sul dosso della Chiappa, per la parete S! Dev'essere dalle parti di Vervio, o su per di lì...

giovedì 1 novembre 2018

Gli effetti devastanti del vento

Con raffiche fin'oltre i 100km/h il vento di fine ottobre che ha accompagnato le forti perturbazioni ha letteralmente spianato i boschi sui crinali.
Questi ad esempio erano i boschi nei paraggi di Carnale, sopra Montagna in Valtellina, fotografati oggi da Matteo Gianatti.
Seguono tre immagini del maggengo di San Bernardo sopra Ponte in Valtellina.







San Bernardo.

San Bernardo. Osservatorio astronomico.

San Bernardo.

Strada per l'alpe Mara, il dosso di Carnale da ca Briella - foto Damiano Miotti.

martedì 30 ottobre 2018

Maltempo di fine ottobre: record di precipitazioni in Valtellina

Da 30 gradi e una siccità duratura a piogge battenti e temporali: questo è stato il repentino cambiamento climatico e meteorologico che ha segnato la fine di ottobre 2018 e che ha coinvolto l'intero arco alpino.

L'Adda a Piateda la sera del 29 ottobre 2018.


Domenica ho fatto l'interessante e aerea traversata per cresta dal pizzo Campanile (Martel de Lìif) al Sasso Bodengo (Martel de Budench) e alla bocchetta detta localmente al Lavrenc, al confine tra alto Lario e val Bodengo, in una giornata esageratamente calda: un forte vento tiepido fino in vetta, dove ho dormito un'ora e mezza in calzoncini e maglietta a mezze maniche!
Il turbinio di foglie secche che volteggiavano nell'aria richiamava l'idea dell'autunno, anche se l'arrossamento dei faggi era dovuto alla siccità e non al freddo. Situazione fotograficamente molto bella, anche se sintomo dell'ennesima anomalia climatica effetto, probabilmente, del riscaldamento globale.


La parte alpinistica della gita vista dal lago Darengo.



Il ponte ad arco presso Dangri

Il ponte ad arco presso il rifugio Pianezza

Il rifugio Pianezza in una cornice tipicamente autunnale, ma in realtà figlia della siccità

In vetta al Martel de Lìif (pizzo Campanile sulle mappe). Di fronte a me la possente parete ovest del pizzo Cavregasco e in lontananza le vette di val Masino e Valmalenco.

Dettaglio della parte alpinistica della gita. Il tratto di IV-, espostissimo, può essere facilmente aggirato appoggiandosi a cenge erbose sul lato della valle del Dosso.



Mai e poi mai, vista la situazione, avrei pensato però all'arrivo di un monsone la settimana successiva...


L'Adda a Piateda alle 21 di lunedì 29 ottobre 2018.

Matteo Gianatti spiega cos'è successo:
A partire da venerdì, ma in particolare tra la sera di sabato fino a lunedì, i settori alpini e prealpini lombardi sono stati interessati da un'intensa fase di maltempo. Non la classica perturbazione autunnale, ma un evento per estensione, intensità e durata classificabile fra i più critici degli ultimi anni.
Gli accumuli di pioggia più significativi si sono verificati a ridosso dei crinali e nelle vallate orobiche, nonché nelle pedemontane prospicienti, raggiungendo i 300-400 mm in 48 ore.
La quota neve si è mantenuta quasi sempre elevata per la maggior parte dell'evento, scendendo solo temporaneamente al di sotto dei 2000 metri sulle Orobie, registrando anzi un pericoloso innalzamento fin verso i 2800 metri lunedì sera, durante la fase più critica, quando si sono registrati i massimi picchi di intensità di precipitazione.
A partire dal pomeriggio di lunedì 29 ottobre inoltre, la risalita da sud-ovest di una vasta linea temporalesca ha determinato un'intensa fase di maltempo anche in pianura, con rovesci diffusi, grandinate e raffiche di 
vento generalmente fra 50 e 70 km/h (ma picchi superiori a 100 km/h sulle pedemontane e nelle valli).

Il Mallero ad Arquino alle 22 di lunedì 29 ottobre 2018.




La mappa mostra le cause all'origine di questa inconsueta fase di maltempo: l'affondo di una massa d'aria fredda artica dai quadranti settentrionali sulla penisola iberica, e la violenta, mite risposta mediterranea. Masse d'aria tropicali, richiamate addirittura dall'entroterra algerino, fanno il pieno di umidità scorrendo sulla superficie marina, dove prendono corpo vigorose formazioni nuvolose associate a precipitazioni perlopiù temporalesche.
Al resto ci pensano le nostre care amate montagne, costituendo un enorme sbarramento naturale, dove il vapore si ammassa e le piogge raggiungono la massima intensità.
Dalla mezzanotte di sabato alla stessa ora di martedì a Sondrio sono caduti 207 mm di pioggia, che rappresentano il nuovo primato di precipitazione in 72 ore dal 1971 ad oggi, superando i 201 mm misurati nel novembre 2002.
Nel contempo, centinaia di metri più in alto, le montagne, memori di un'estate infinita che durava da aprile, di fioriture e germogli tardivi, di un autunno soltanto apparente, delle sue sfumature dal giallo al rosso dovute alla siccità, venivano letteralmente sepolte di neve: 170 cm al passo Marinelli, quasi due metri allo Stelvio, 90 cm al lago Reguzzo.






Fonte: Sat24


A giudicare dall'insieme di questi dati, sembrerebbe che i presupposti per violente esondazioni non manchino... e la violenza delle piogge del luglio 1987 riaffiora alla mente con prepotenza.

Cosa ci ha dunque salvati da una nuova alluvione?
In primo luogo, i picchi di intensità oraria non sono certo paragonabili a quelli che si raggiungono durante i più violenti temporali estivi: ciò ha evitato i pericolosi fenomeni di colata, che trascinano a valle materiale riempiendo i corsi d'acqua e, di conseguenza, creano terreno fertile per le esondazioni.
In secondo luogo, le temperature delle alte quote hanno fatto sì che i bacini siano stati interessati da precipitazioni solide, senza caricare ulteriormente i corsi d'acqua alle basse quote.



Il Mallero ad Arquino alle 22 di lunedì 29 ottobre 2018.




sabato 22 settembre 2018

Tre giorni sulle vette di val Masino e val Codera: Cavalcorto, Disgrazia e punta della Trubinasca

Tre giorni di scalate tra val Masino e val Codera per celebrare l'arrivo dell'autunno, dormendo in auto o all'addiaccio e salendo tre splendide cime, per itinerari di rado frequentati.


• 20 settembre: cima del Cavalcorto (m 2763) dai Bagni di Masino (alpinistica F, passi di II)
© swisstopo.ch

Il Cavalcorto visto dalla cima d'Arcanzo

Carlo sale gli ultimi metri per la vetta
 • 21 settembre: monte Disgrazia (m 3678), partendo da Predarossa in traversata dal passo di Cassandra alla sella di Pioda (AD, passi di III+). La sola traversata per cresta richiede almeno 7 ore.
© swisstopo.ch
L'itinerario della lunga  traversata visto dalla punta settentrionale dei Corni Bruciati. Quella di dx è la cresta SE, mentre quella di sx (NO) è la via normale dalla val Masino.
Lungo la cresta SE verso la cima maggiore del Digrazia. Alle spalle di Carlo la cima centrale e la cima orientale appena salite. 

Carlo esulta dai pressi del bivacco Rauzi. Alle sue spalle l'ultimo aereo tratto della cresta SE dove, con neve come oggi, si rendono necessarie (o meglio molto convenienti) due calate in corda doppia.

• 22 settembre: punta della Trubinasca (m 2998) per la cresta S partendo dai Bagni di Masino e passando per il passo di Porcellizzo (D; lo spigolo, 5 lunghezze di corda, ha passi di IV+)

© swisstopo.ch
Carlo e Clio verso il rifugio Gianetti.

La punta della Trubinasca dai tre laghi pro e margino glaciali lasciati dal disfacimento del ghiacciaio di Sivigia. Raggiungeremo la vetta per l'esile ed esposta cresta di dx, arrampicando dalla sella nota come Forcola della Punta. 5 tiri di corda con passaggi di IV+ (camini, diedri e placche) anche molto esposti. Le soste sono attrezzate con anelli cementati e la roccia è a tratti un po' friabile.
Guide e manuali hanno propagato negli anni (aihmè oltre 70 dalla Aldo Bonacossa, Guida dei monti d'Italia. Masino Bregaglia Disgrazia, CAI - TCI, Milano 1936!) una fantasiosa relazione riguardo a questo spigolo di granito di rado percorso, affermando che sia "senza particolari difficoltà" (viene gradato come la via normale da S al pizzo Badile)!
Interessare notare come invece Luigi Brasca, Guido Silvestri, Romano Balabio, Alfredo Corti, Guida dei monti d'Italia. Alpi Retiche Occidentali, CAI, Brescia 1911 riporti una corretta descrizione dell'itinerario.

Carlo, Cloe e Alfredo Corti in vetta; è il tramonto e dopo le calate notturne con 1 solo frontalino funzionante in 3, bivaccheremo all'addiaccio ai piedi della cengia/canale per la Forcola della Punta, attendendo lì, a m 2700, il chiarore del giorno.
Lo splendido tramonto.

Calate lungo lo spigolo all'imbrunire.

Calata notturna.
L'alba in val Codera, dove le nebbie nascondono il fondovalle.



Pure al passo Porcellizzo la situazione è analoga, ma il tepore del sole ci permette di recuperare un po' di sonno...
distesi come pelli di orso su una cengia a quasi m 3000


Eccovi il video, girato e montato da Carlo Barilani che riassume questa 3 giorni:



sabato 7 luglio 2018

Pizzo d'Andolla (m 3656) - cresta E integrale


Il pizzo d'Andolla (al centro) dalla sua cresta E. Sulla sx, dove schiuman le nuvole, è la Weissmies (m 4017)
Il pizzo d'Andolla (versante NE) da Zwischbergental.

Oggi io e Giacomo andremo su una cima isolata delle Alpi Pennine a N del monte Rosa, una cima di cui conosco ben poco se non che, più o meno, è alta come il Disgrazia, ma rispetto a questo è ben più complesso da salire. Vediamo innanzitutto di localizzarla: 

tributaria destra della val d'Ossola è la val d'Antrona, che si stacca dal solco principale all'altezza di Villadossola. La val d'Antrona si alza da E a O, o meglio s'allontana guadagnando lentamente quota, selvaggia e poco abitata. Dopo 14 km, all'altezza del modesto abitato di Antrona Piana, verso nord è la valle del torrente Loranco, che si sviluppa con un arco in senso antiorario. 


Itinerario stradale da Laveno (rosso) e tracciato dell'escursione (bviola). © swisstopo.ch
La maggiore delle vette che cingono questa valle è proprio il pizzo d'Andolla, una fiera montagna rocciosa di forma piramidale, con tre seghetatti spigoli che si dipartono dalla vetta: due (E e S) costituiscono lo spartiacque tra Italia e Svizzera, mentre uno (NO), forse il più inquietante, affonda in terra elvetica irto di pinnacoli e divide Saastal da Zwischbergental.
La via più semplice per salire questa montagna si svolge sul versante occidentale partendo dalla svizzera Almagellerhütte (m 2892). Dall'Italia la vetta viene invece conquistata per la cresta orientale, a cui gli alpinisti giungono dopo averne risalito la diramazione meridionale che si innesta a m 3254. Si tratta di un itinerario non banale, lungo e di difficile orientamento.
Era il nostro obiettivo, ma non sapendo né quale fosse la cima, né tantomeno quale fosse l'itinerario di salita, abbiamo invece percorso lo spigolo E integrale. Nulla di abominevole, ma certamente un itinerario più lungo e complesso della via normale italiana.
Non volendolo rifare al ritorno ci siamo poi avventurati per il ghiacciaio Zwischbergenglatscher, a cui è seguita una lunga traversata in quota nella Zwischbergental.
Rientro in Italia per il passo d'Andolla.



L'itinerario seguito oggi, con salita al pizzo d'Antrona per la cresta E e ritorno per la valle Zwischbergental © swisstopo.ch

Partenza: Cheggio (m 1490).
Itinerario automobilistico: da Villadossola si sale in valle d'Antrona lungo la SP67 attraversando vari centri abitati (Boschetto, Cresti, Seppiana, Camblione, Viganella, Prato, San Pietro, Madonna e Locasca). Dopo 14 km, ad Antrona Piana, si imbocca la tortuosa SP141 verso N. 4 km di tornanti portano a Cheggio. Oltre il piccolo nucleo e prima del muraglione del Bacino dei Cavalli, vi è possibilità di parcheggio.
Itinerario sinteticoCheggio (m 1490) - bacino dei Cavalli (m 1490) - rifugio Andolla (m 2052) - bocchetta di quota 2802 - pizzo d'Andolla (m 3656) - discesa per il Zwischbergengletscher - Zibelenflue (m 2558) - Galki - alpe Porcareccia (m 2192) - passo d'Andolla (m 2409) - rifugio d'Andolla (m2052) - Cheggio (m 1490).
Tempo previsto: 18-20 ore.
Attrezzatura richiesta: corda (almeno 40 m - meglio 60 m per effettuare meno calate), imbraco, casco, scarponi, ramponi, piccozza, occhiali da ghiacciaio, fettucce e cordini anche d'abbandono, utile una serie di friend.
Difficoltà/dislivello: 4.5 su 6 / oltre 2600 m. 
Dettagli: AD. Cresta a tratti esposta o di roccia cattiva. Attraversamento di ghiacciaio con crepacci. Itinerario estremamente lungo. La parte alpinistica, poco ripetuta, richiede ottima capacità di orientamento ed è riservata ad alpinisti preparati. In caso contrario è indispensabile l'accompagnamento di una guida.



Traghettiamo da Laveno (VA) a Intra (VB) per scavalcare il lago Maggiore, anziché girarci attorno.
Si risparmiano così un sacco di chilometri e ci si gode la tranquillità del lago. È una sera di giovedì. In giro c'è poca gente, sul traghetto ancor di meno. 
Le montagne della sponda piemontese a cui ci avviciniamo sono ben più alte di quelle della sponda lombarda che si perdono dietro la scia di schiuma del traghetto.
Quella che ci si para innanzi è la val d'Ossola, con le sue numerosi laterali che si diramano verso occidente fino ai piedi delle più alte vette della Alpi Pennine.
Da Verbania, di cui Intra è una frazione, passando a sud del mont'Orfano e a N di Gravellona Toce, imbocchiamo la SS 33 del Sempione. Lungo quella direttrice risaliamo il corso del fiume Toce fino a Villadossola. La valle assomiglia alla bassa Valchiavenna, ma è meno popolosa. Le sue sponde si mostrano ripide e poco adatte alle coltivazioni.
Continuiamo a scrutare verso l' alto, ma in alto le nebbie ammantano tutte le cime che si spingono oltre il limite delle conifere.
A Villadossola usciamo dalla SS 33 e risaliamo la valle d'Antrona. Un solco piuttosto incassato, puntinato di raccolti villaggi. L'aria è pervasa da un malinconico senso d'abbandono, stemperato di tanto in tanto dal simpatico e ricorrente quadretto di un gruppo di anziani che hanno allineato le sedie a bordo strada e, mentre chiacchierano, osservano le auto passare, salutando gli indigeni e passando ai raggi X i forestieri. In uno di questi piccoli assembramenti ci sono anche delle donne che cuciono e fanno la maglia. Purtroppo non siamo così lesti da estrarre la macchina e bloccare quell'istante davvero affascinante.
Il corso della valle, dopo lo strappo iniziale che ci ha portato a Cresti, è poco ripido, tant'è che dopo 14 km, ad Antrona Piana, siamo solo a 900 metri di quota.
Vedendolo sulla cartina, mi sarei aspettato che questo nucleo, a tutti gli effetti il cuore turistico della valle, fosse assai sviluppato. Invece occupa una modesta piana nel centro della valle dove i pascoli sono stati abbandonati e il bosco si è oramai ripreso tutto ciò che la pastorizia gli aveva sottratto.
Verso N si alza stretta e tortuosa la strada asfaltata per Cheggia, che corre prima in dx, poi in sx idrografica del torrente Loranco. 
Anche Cheggia, che dovrebbe essere l'equivalente di Chiareggio per la Valmalenco, è assai più piccolo di come me l'aspettavo.
Qualche mucca al pascolo, una chiesetta, un ristorante, una valle senz'alberi e ricca di pascoli che si inerpica verso E e una alberata che s'incunea a O, oltre il bacino artificiale dei Cavalli. In alto, in quella direzione, giocano a nascondino con le nebbie alcune vette imponenti. Una di quelle dev'essere il pizzo d'Andolla, ma nessuno di noi sa esattamente quale sia.
Sono le 20:30. Trasformiamo la Qubo, parcheggiata accanto alla casa dei guardiani al capolinea della strada, in un letto a due piazze e, mentre Giacomo s'abbandona tra le braccia di Morfeo, io vado a cenare sul coronamento della diga. Di lì scruto il paesaggio, senza capirci un granché, solamente intuisco che il rifugio d'Andolla dev'essere oltre il traliccio evidenziato da un faro rosso a cui s'appoggiano i cavi della teleferica di servizio. Sulla cresta di confine piove; ma per fortuna è acqua fino in alto e domani non dovremmo pestare neve fresca.
Alle 23 sono anche io nel mondo dei sogni, anche se il viaggio è breve: la sveglia suona alle 3:30 e alle 4:15, dopo una colazione scarna stile San Francesco d'Assisi, ci incamminiamo alla luce dei frontalini.
Da Cheggio (m 1490), percorso il coronamento di questa diga a gravità in pietrame, edificata tra il 1922 e il 1926 dalla Edison e avente una capacità di 8,5 milioni di metri cubi d'acqua, siamo in dx idrografica della valle e contorniamo il bacino su un bel sentiero che, dopo un suggestivo ponte sul torrente Loranco, torna e rimane in sx idrografica. Saliti velocemente a un poggio panoramico, pieghiamo a O e ci inoltriamo nella valle, dove le valanghe hanno ripulito il versante dal bosco. Tanta strada e pochissimo dislivello, sono accompagnati da cartelli con tempistiche quantomai strette che prevedono andature di oltre 5 km/h! Pertanto le tempistiche che darò nel testo sono quelle escursionistiche classiche, più dilatate di quelle scritte in loco.
Una galleria nella neve ci aiuta a superare una delle numerose valanghe che ancora occupano il fondovalle. Poi la mulattiera inizia a contorcersi e salire con decisione, così da permetterci di giungere al rifugio d'Andolla in poco meno di due ore, cioè poco meno delle tempistiche date dai cartelli pur avendo tenuto un buon passo.
Il caldo patito fin qui e spazzato via dal vento, non gelido, ma fastidioso per la forte umidità.
Il rifugio d'Andolla (m 2052, ore 2:30) si trova presso l'alpe omonima attorniato da altri 3 edifici.
È in pietra e ben proporzionato, affiancato da una fontana la cui bocca è costituita da una piccozza in metallo. Ma pure da un moschettone con più fori zampilla dell'acqua.
Ci sono le luci accese, ma a quanto pare ancora nessuno è sveglio, così proseguiamo seguendo al trivio le indicazioni per il bivacco Città di Varere, visibile in altro al piede della cresta orientale del pizzo di Loranco. Circa 600 metri di sentiero e 150 metri di dislivello ci conducono a un bivio marcato con la vernice rossa sui sassi. Qui prendiamo a dx seguendo i segni rossi, che presto smarriamo. A m 2600 siamo al margine di una conca petrosa e con un arco da sx a dx per evitare la neve residua, raggiungiamo la cresta E del pizzo d'Andolla presso una sella a quota 2802, nota come passo della Pezza (m 2802, ore 1:45) (la via normale guadagna invece la dorsale secondaria che cinge a O la conca). In lontananza si scorgono Verbania, il lago Maggiore e le cime del Varesotto. 
Pieghiamo il timone a O (sx) e risaliamo la dorsale di blocchi e roccette (I e II) fino ai piedi di una torre rocciosa, già ben visibile dalla conca a m 2600. Ci si fronteggia con un muro verticale apparentemente difficile, per cui traversiamo a dx su una cengia esposta che supera due canali, per poi costringerci ad arrampicare su rocce abbastanza sane ma dove è vietato sbagliare (III).
Sbuchiamo su una finestra dalla quale proseguiamo sotto cresta sul versante svizzero della dorsale per detrito instabile e rocce poco sicure. Senza via obbligata scavalchiamo alcuni canali (passi di II), per poi deciderci a tornare sullo spartiacque dato che il versante è diventato troppo pericoloso e sdrucciolevole.
Usciamo in cima alla quota 3177, presidiata da una piccola croce. Una sella nevosa ci separa dalla quota 3284, a cui giungiamo per rocce fratturate, blocchi (passi di II) e dopo aver accostato un affascinante fiamma di roccia che contesta le leggi di gravità: il Dente della Vecchia.
Qui la via normale raggiunge la cresta E e a farci intuire di aver sbagliato strada sono gli ometti di pietra, improvvisamente onnipresenti lungo il percorso. La vetta del pizzo d'Andolla è avanti sulla dx, ancora lontano, con le sue rocce rossicce accarezzate dalle nebbie che tracimano dal versante italiano e scappano in Svizzera.
Oltre una sella nevosa (di qui un ghiacciaio scende a dx fino nel fondovalle svizzero), una rampa di blocchi di granito adduce alla quota 3308 (ore 2:30 procedendo slegati), anticima E del pizzo d'Andolla. Un ometto meno smilzo dei precedenti sancisce l'importanza della posizione e la vicinanza della meta. 
Alla nostra dx è il Zwischbergenglatscher. Non capiamo se la vedretta scende nel fondovalle, ma il fatto ci interessa molto perché già valutiamo di rientrare per una strada alternativa dato che il cielo si sta chiudendo e orientarsi su questa cresta è assai difficile.
Una sella nevosa, a cui segue una rampa, ci portano all'attacco delle rocce dell'edificio sommitale.
Il percorso segue inizialmente quasi un sentiero, marcato da ometti, poi si porta sul versante meridionale tornando di carattere alpinistico.
Ci arrampichiamo su una paretina di 30 metri (II/II+) che ci riporta in cresta. Oltre alcuni blocchi, una placca solcata da una fessura (III+, 5 m) ci fa apprezzare la solidità del granito. 5 metri sopra traversiamo nuovamente a sx. Qui sego il percorso e vado più volte a forzare passaggi troppo muscolari che, slegato in quanto ho richiesto a Giacomo di non fare sicura, preferisco evitare.
Rientrato alla base, oltre un colatoio, trovo una placca obliqua di 10 metri solcata da un ripido cordolo. Un passaggio piuttosto emozionante per il capocordata (III+). Per cenge di detrito torniamo in cresta, guadagniamo un po' di quota, quindi di nuovo sul versante E dove un camino va a spegnersi proprio ai piedi della sommità (15 m, II+). Usciamo sulla dx sotto un grosso masso per superare il salto che lo interrompe e arriviamo ai piedi della torre di granito alta 5 metri che costituisce la cima e che una cengia che ne solca il versante S ci permette di aggirare.
Eccoci finalmente in vetta al pizzo d'Andolla (m 3656, ore 3).
Non si vede una mazza! Un croce striminzita e storta fatta con tubi metallici segna il culmine. Sotto il masso a cui è infissa la croce c'è, incustodita, la scatola col libro di vetta.
Mi sdraio nella nicchia a pranzare e godermi l'obiettivo raggiunto.
Giacomo ha il pepe al culo e vuole scendere subito, ma l'imparità di peso nello zaino (ho portato io tutta l'attrezzatura), mi garantisce poteri dittatoriali. Per fortuna arriva segnale al suo telefono e, perso nei social, si eclissa dimenticandosi dei minuti che passano. Nel mentre mi lascia godere il silenzio della montagna e le nebbie che assomigliano a lentissime onde del mare che si infrangono afone contro uno scoglio di granito.
Questa porzione delle Alpi non è flagellata come la nostra Valtellina dal continuo frastuono degli aerei che all'impazzata portano gente chissà dove. Ivan Illich dimostrava che il velocizzarsi dei mezzi di trasporto ha aumentato le distanze tra le persone e l'iniquità sociale. Non sono in grado di sintetizzare tale affascinante e sacrosanta teoria, ma chi volesse esserne partecipe può leggersi il saggio del 1973 Energia ed equità
Mentre penso alla fretta di Giacomo che vuole guadagnar tempo e trovarsi coi social in mille posti diversi e agli aerei che solcano il cielo, ricordo ancora Illich che individua una soglia limite di velocità di trasferimento pari a 25 km/h (la velocità di una bicicletta mossa dalla forza metabolica di un uomo), al di là della quale aumenta per le persone la penuria sia di tempo che di spazio. Poi, grazie alla stanchezza e al silenzio, mi addormento.
Breve pennichella, quindi leggo il libro di vetta, dove trovo la firma dell'amico Giovanni Rovedatti (che qui era salito con 2 donzelle nel 2014). Messa anche la nostra firma, iniziamo la discesa.
Piuttosto lenta: prudentemente sempre sotto i 25 km/h, anche perchè le calate sono state attrezzate male, con ancoraggi che obbligano a scendere su colatoi franosi.
Ne effettuiamo 4. La prima è sotto una pioggia di sassi. La seconda, quella in corrispondenza del punto in cui mi ero incasinato in salita, è la più delicata, così decido di sacrificare un cordino e attrezzare uno spuntone che proietta su placche verticali e pulite. 30 metri esatti e senza il rischio che le corde si incastrino.
Giunti al ghiacciaio (m 3300, ore 2), traversiamo prima verso E divallando gradualmente in Svizzera e cercando di evitare i cambi di pendenza dove si annidano generalmente i crepacci. La neve è marcia. A m 3100 pieghiamo nuovamente a sx, portandoci nel mezzo del ghiacciaio, per infine, oltre delle rocce lisciate, raggiungere la Zwischbergental. Dinnanzi a noi un morena mediana, che scavalchiamo portandoci in sx orografica. Superate varie liste di neve tormentata da penitentes, in corrispondenza del testone quotato 2697, oltre cui la conca in cui ci troviamo precipita verso la bassa valle, intercettiamo il sentiero marcato da bolli bianco-blu. La traccia attestandosi attorno ai m 2500-2600 traversa (E) in quota. Dietro di noi le nebbie continuano a negarci la vista completa della cresta E del pizzo d'Andolla, ma quel poco che ci concedono è assai suggestivo.
Dopo alcuni su e giù e tratti attrezzati (alcuni su serpentino), siamo alla dorsale erbosa del Galki, dalla quale scendiamo al piccolo bivacco comunale della Zwischbergental (m 2161, ore 3:30). È utilizzato dal pastore delle pecore che ancora brucano questa estesissima valle pascoliva.
Ci arrivo correndo e disturbo un uomo ricciolo brizzolato che, infagottato in un piumino rosso e fumando una sigaretta, sta con soddisfazione pisciando tra le slavazze.
Fingendo di non vederlo lo lascio finire, poi mi avvicino e gli chiedo indicazioni per il passo d'Andolla e per rientrare in Italia. Grazie al cielo parla un buon italiano e mi spiega di scendere l'ultima dirupata costa erbosa che porta nel fondovalle, quindi di risalire a E fin dove un ponte di neve ci permetta di superare il torrente, oggi eccezionalmente gonfio d'acqua. Un volta in dx orografica, prima in piano, poi in leggera salita tra chiazze di cespugli e pascoli, arriveremo all'alpe Porcareccia (che dal nome pare fosse monticata dagli italiani). Di lì salendo dapprima a SE poi a SO saremo al valico. Il rifugio d'Andolla (m 2052, ore 2) è appena dietro, 400 metri di dislivello più in basso. Dice ci vogliano un paio d'ore su percorso agevole.
E così è, anzi corricchiando un po' per non prender notte, ci arriviamo con un po' di anticipo.
Entrati, troviamo i soli gestori. Dicono d'averci visto stamattina, seguiti col cannocchiale, ma poi di averci perso. Gli spiego dove siamo passati: «Quella non è la via normale, ma un percorso più incasinato!». «Comunque, aggiunge, anche la via normale di questi tempi la faranno al più 10 cordate all'anno».
Esterno la mia sorpresa: «Credevo fosse una cima ambita e frequentata!» 
Vengo istruito che da anni non è più così e dalla valle di Antrona se ne sono andati sia i turisti che i giovani, sia le mandrie che gli alberghi. Capisco che il senso di desolazione che provavo ieri salendo in auto non era immotivato.
Qui la gente che fu impiegata nelle dighe aveva lasciato le attività tradizionali. Poi l'Enel non ha più assunto e sono rimasti tutti a piedi, così i giovani se ne sono andati. Anche lontano perchè pure le fabbriche a Villadossola avevano chiuso.
Di fronte alla sua affermazione «voi sì che in Valtellina siete capaci di fare turismo», ogni mia contestazione è debole, perché la speculazione e la distruzione del territorio appaiono meno gravi del totale abbandono.
Vorrei parlargli anche di una terza soluzione, quella che ho visto l'altro ieri in val Maggia, ma mi zittisco perché è tardi e dobbiamo sbrigarci a tornare alla macchina prima che faccia notte. Prendiamo perciò commiato con un "a presto", che mi auguro sia anche premonitore, oltre che di circostanza.
La notte ci coglie sulla sponda del lago, ma Cheggio (m 1490, ore 1:45) e l'auto sono vicine.


Attraversando il lago Maggiore...

Arrivo a Intra.

Tramonto e pioggia dal bacino dei Cavalli, creato nel 1926 in loco di un laghetto naturale.

Cheggio alle 3 e mezza di mattina.

L'argine del bacino dei Cavalli alle 4. L lucina rossa sulla dx è quella del traliccio della teleferica.

Il rifugio Andolla.

In lontananza il lago Maggiore e la pianura lombarda visti dalla conca a m 2600.

Tra luce ed ombra è il passo della Pezza, visto dalla conca sassosa a m 2600.
Il percorso lungo la cresta E visto dalla Zwischbergental.
Traverso sotto il torrione a O del passo della Pezza.

Il pizzo d'Andolla (a dx) dalla quota 3177.

Scendendo dalla quota 3177.
Verso la quota 3254.
Il Dente della Vecchia.
L'ultimo colletto nevoso (m 3400)

L'inizio della salita al testone sommitale (m 3450 ca.).
A m 3500.

A m 3500 ca.

Poco sopra.
Sul passaggio chiave della scalata, una breve fessura di 4 metri di III+ (foto Giacomo Meneghello).

Giacomo in vetta.
Scendendo dal camino ai piedi della vetta.
Cercando la strada...

Il passaggio chiave: una placca fessurata a m 3550 ca. (III+)


La prima calata in corda doppia.

La terza e penultima calata in corda doppia.

Ai piedi del ghiacciaio Zwischbergengletscher. Alle nostre spalle il pizzo d'Andolla.

Il pizzo d'Andolla dalla Zwischbergental.

La risalita al passo d'Andolla dal versante svizzero.

Il lago dei Cavalli dal passo d'Andolla.