mercoledì 11 febbraio 2015

Il pizzo Scalino (m 3323) con il periplo del Painale


(relazione e immagini di Luciano Bruseghini)


Era una vita che desideravo percorrere la val Fontana e salire al pizzo Scalino con gli sci e finalmente l’11 febbraio sono riuscito nell’impresa in compagnia di Beno e Stefano. Grazie all’ottima conoscenza della zona da parte di Beno, organizziamo una super uscita che, oltre a portarci in vetta al piccolo Cervino malenco, ci consentirà di compiere anche il periplo del pizzo Painale.


La parte di itinerario in val Fontana vista dal monte Calighé.
Il tracciato in val di Togno visto dal monte Foppa.


Fonte Swisstopo (http://map.geo.admin.ch).




Partenza: tornante sopra Sant'Antonio in val Fontana (m 1300 ca.).
Itinerario automobilistico: da Sondrio prendere la strada Panoramica per Teglio (SP21). Si passano Montagna (al km 2), Poggiridenti (al km 4) e Tresivio (al km 5,5). Giunti a Ponte, alla chiesetta di San Gregorio (al km 9), svoltare a sx per Teglio (SP76). Dopo una breve salita, immettersi sulla strada a sx che porta in val Fontana (al km 9,4). Si attraversano i meleti appena oltre la chiesetta di San Rocco si ignora la svolta sulla sx per San Bernardo. Si seguita sulla stretta via asfaltata che s'addentra in val Fontana. Passato il ponte di Premelé si sale in direzione del rifugio Erler/Pian Dei Cavalli.. Arriviamo inauto fino a ca. m 1300, poi la strada diviene innevata e percorribile con gli sci.
Itinerario sintetico: tornante sopra Sant'Antonio (m 1300 ca.) - rifugio Erler (m 1450) - pian dei Cavalli (m 1500) - alpe Campiascio (m 1682)- alpe Forame (m 2168) - rifugio Cederna-Maffina (m 2582) - pizzo Scalino (m 3323) - val Painale fin nei pressi del rifugio De Dosso (m 2200 ca.) - passo di Vicima (m 2841) - alpe Vicima (m 2133) - alpe Basalone (m 1629) - Selva (m 1450) - tornante sopra Sant'Antonio (m 1300 ca.).
Difficoltà/dislivello in salita: 4 su 6 / 2850 m.
Tempo previsto: 9-11 ore per l'intero giro procedendo di buon passo.
Attrezzatura richiesta: da scialpinismo, kit antivalanga, ramponi e piccozza.

Dettagli: OSA. Il tratto più ripido è la discesa dal pizzo Scalino in val Painale dove si superano di poco i 40°. Occorre ottima capacità di orientamento e conoscenza delle vallate



Purtroppo quest’anno a bassa quota le precipitazioni nevose non sono state abbondanti, quindi riusciamo a portarci in auto fino a quota 1300 metri nei pressi dell’alpeggio di Baite Sant’Antonio. Da qui la strada è ben innevata e possiamo procedere con gli sci ai piedi. Percorriamo la gola mantenendoci nel fondovalle: il sole non ci raggiunge e la temperatura è di -3°C, ideale per fare scialpinismo. Ammiriamo i numerosi e invitanti valloni che ci circondano e che vorremo rimontare per effettuare divine discese con gli sci. Superiamo il noioso Pian dei Cavalli e dopo un breve tratto nel bosco sbuchiamo all’alpe Campascio (m 1682), ultimo avamposto abitato nella stagione estiva. Qui termina anche la carrareccia e inizia il sentiero. Cominciamo a guadagnare quota seriamente risalendo un ripido tratto nel bosco. Qui perdiamo il sentiero e quindi ci spostiamo lungo il greto del torrente: con diverse manovre da equilibristi fra grossi massi, lastre di ghiaccio e un breve tratto a piedi superiamo l’ostico pendio. Ora la valle si amplia e con un lungo traverso in costa ci portiamo nei pressi dell’alpe Forame (m 2160). La neve farinosa del tratto boscoso ha lasciato il posto a quella dura e compatta come il marmo, che le lame degli sci scalfiscono appena e che ci costringe a continui zig-zag per non scivolare. Davanti ci si para l’imponente parete est del pizzo Painale baciata dal sole mentre noi siamo ancora immersi nell’ombra, fortunatamente. Vincendo alcuni dossoni  e piegando verso N raggiungiamo i pendii illuminati. Inizialmente siamo ben felici di essere riscaldati, ma ben presto rimpiangiamo l’ombra in quanto fa talmente caldo che sembra il mese di maggio: la neve inizia a diventare moscia e pesante e si attacca alle pelli fornendo un fastidiosissimo zoccolo. Occorrono diverse soste per bere e rifiatare ma, con tenacia e molta fatica, a mezzogiorno, dopo cinque ore di estenuante cammino raggiungiamo la spalla del pizzo Scalino. 
Con stupore notiamo che nessuno è transitato dalla via normale lungo il ghiacciaio, probabilmente per la brutta neve ventata che si incontra lungo il percorso.

Dopo una breve sosta per ristorarci, lasciamo sci e zaini e ci avviamo a piedi per la vetta. Preferiamo calzare i ramponi visto la neve dura che caratterizza il primo tratto di ascesa. 
Foto di gruppo alla croce (pizzo Scalino, m 3323) e poi giù veloci al deposito sci perché la giornata è ancora lunga. Inforcate le assi ci avventiamo ora per una ripida discesa (40°) di un centinaio di metri, che ci conduce in val di Togno. Sul pendio inclinato troviamo neve abbastanza buona, anche se forse un po’ troppo molle, che ci consente comunque di abbassarci in tranquillità. Poi la situazione cambia e incontriamo un bel po’ di crosta infida che mette a dura prova le nostre capacità sciistiche; soprattutto Stefano tribula parecchio perché ha sci da gara super leggeri che in quelle condizioni sono difficili da domare. Fortunatamente sui pendii che ci conduco verso l’alpeggio la situazione migliora e il fondo torna duro e compatto (Beno trova addirittura cinque metri di polvere!). Con un ampio traverso alla base della parete N del pizzo Painale ci portiamo in un pianetto a quota 2200 metri. 
Rimesse le pelli ci avventuriamo lungo la valle incassata tra il pizzo di Gombaro e la vetta di Ron. Inizialmente le pendenze sono accettabili e procediamo spediti, poi man mano che guadagniamo quota l’inclinazione aumenta e questa neve sempre marmorea ci costringe a numerose inversioni: solamente Beno che intelligentemente ha con sè i rampanti riesce a procedere speditamente. Un po’ per la stanchezza e un po’ perché stufi di questo tipo di neve, optiamo per l’adiacente passo di Vicima (m 2840) invece che per la vetta vera e propria. Dall’intaglio precipita una bella costa con neve sempre ventata che ci permette un’appagante cavalcata. Solamente quando raggiungiamo un tratto ancora baciato dai raggi solari troviamo neve più morbida che ci consente qualche esaltante curva in scioltezza. 
Un ultimo superbo declivio sotto l’alpe Vicima e poi eccoci a “ravanare” nel bosco dove di polvere ce ne è veramente poca e spesso le solette sfiorano rocce e rami. In breve sbuchiamo sui pascoli dell’alpe Basalone dove il fondo erboso costituisce un’ottima base. Attraversato il torrente, un ultimo tratto lungo la strada ed eccoci di ritorno all’auto dopo aver percorso 30 km con 2850 metri di dislivello!


Alpe Campiascio (m 1682), in alto la cresta di Vartegna e il monte Gardé.
Ravanando nel torrente sopra l'alpe Camiascio per superare il gradone basale della val Forame: neve ventata e fondo a tratti ghiacciato.
Si apre la val Forame con sullo sfondo il pizzo Painale.
Ai piedi della parete NE del pizzo Painale.
Verso il pizzo Scalino.
Il rifugio Cederna-Maffina e, sullo sfondo, la valle dei Laghi con, a dx, il pizzo di Malgina e la cima di Ganda Rossa, mentre a sx il pizzo di Sareggio in testa all'omonima valle.
Verso il pizzo Scalino: neve ventata e dura, ma un caldo boia!
In rosso la linea di salita al pizzo Scalino, in verde quella di discesa lungo il canalino che porta in alta val Painale (val di Togno). 
Verso la spalla dello Scalino: vietato scivolare!
Dal colletto alla vetta il fondo ghiacciato e le troppe rocce affioranti ci costringono a proseguire a piedi.
Emozionante discesa in val Painale con, sulla dx, la catena monte Foppa - pizzo Scalino.
La linea di discesa dalla vetta dello Scalino.
Ripelliamo e su al passo di Vicima. Sulla dx la triade punta Corti - vetta di Ron e Corna Brutana.
Salendo al passo di Vicima (dx). Sulla sx il vallone che condurrebbe, attraverso i ghiacciai del Gombaro, alla punta di Vicima.
Gli ultimi menti per il passo su neve dura al limite della tenuta.
Il secondo gran premio della montagna: il passo di Vicima (m 2841), dove giungiamo dopo ben 2850 m di dislivello positivo.
Discesa dal passo di Vicima verso la val Vicima.
Neve dura, a tratti crostosa.
Il tracciato di discesa dal passo di Vicima visto dall'alpe Vicima.


Passo e val di Vicima con il nostro tracciato di discesa. In corrispondenza della scritta "Val Vicima" si trovano i resti dell'alpe Vicima.

sabato 7 febbraio 2015

Corna Brutana (punta S per la parete S, m 3050) e Corno di Val di Pisoi (m 2911)

La conca di Rogneda vista dalla val Venina.
Erano anni che avevo in testa quel canalone ripido che solca l'intera parete S della Corna Brutana e sfocia, dopo una bella curva a gomito, sui pendii sopra la conca di Rogneda. Una gran sciata, da quel che so mai tentata, forse perchè queste montagne vengono ingiustamente snobbate. 
Finalmente oggi l'ho portato a termine con il Caspoc', dopo averci provato già lunedì da solo (mi ero fermato a metà canale perchè mi era parso voler venir giù tutto).

Giornata eccezionale, a parte le troppe valanghe per il caldo, chiusa con una ripellata assieme alle morose fino al Corno di Val di Pisoi (m 2911). Incredibile il lago di nebbie che nascondeva tutta la Valtellina.


Partenza: Prasomaso.
Itinerario automobilistico: Da Sondrio prendere la strada panoramica in direzione Teglio. Attraversare Montagna e Poggiridenti, quindi, a Tresivio (8 km), deviare a sx per il centro del paese. Continuare a salire per circa 8,5 km e raggiungere i fatiscenti sanatori di Prasomaso.
Lasciare l'auto non appena l'innevamento consente di calzare gli sci (nel nostro caso è stato sufficiente parcheggiare al primo tornante destrorso sopra i sanatori (m 1280 ca.). 
Itinerario sintetico: Prasomaso (m 1280 ca.) - Boirolo (m 1515) - Biazza (m 1650) - Santo Stefano (m 1807) - lago di Rogneda - Corna Brutana (punta meridionale per parete S, m 3050) - val di Pisoi (imboccata a circa m 2550) - Corno di val di Pisoi (m 2911).
Tempo previsto: 5 ore e mezza  per la salita.
Attrezzatura richiesta: da scialpinismo, kit antivalanga, piccozza e ramponi.
Difficoltà/dislivello in salita: 5- su 6 / 2200 m.
Dettagli: OSA+. Pendenze fino a 45°, ma comunque sempre attorno ai 40° nel canalone della Brutana. Pericolo valanghe e distacco cornici. L'esposizione a S rende difficile trovare l'itinerario sicuro e in condizioni per essere sciato. Brevissimo tratto a 45°, ma molto meno inquietante, sotto la vetta del Corno della Val di Pisoi (OS se si effettua solamente questa gita). 


Partiamo all'alba dal tornante sopra Prasomaso (m 1280 ca.), raggiunto per strada non troppo sicura a causa del fondo ghiacciato. Le nebbie che avvolgono tutto hanno avvolto anche la carrozzabile che sale da Tresivio. Eppure il meteo metteva bel tempo.
Ci avviamo lungo la strada innevata. Io e Caspoc' davanti, Gioia e Gloria ci raggiungeranno da qualche parte nella conca di Rogneda dopo che avremo fatto la Brutana.
Questa settimana è la seconda volta che vengo quassù con gli sci e sempre col medesimo obbiettivo: il canalone che solca la parete S della punta meridionale della Corna Brutana, la più alta vetta della valle di Rogneda. Lunedì ero qui da solo e, come oggi, dalle baite basse di Boirolo ho accorciato la strada tagliando su per i prati fino al poggio panoramico di Biazza. Unica differenza è che oggi la neve appena scesa ha fatto tornare il paesaggio intatto, mentre lunedì i segni delle motoslitte domenicali erano dappertutto e il maggengo sembrava appena fuori da un conflitto tra i mezzi cingolati di chi, non avendo doti né fisiche né mentali da mostrare, si esibisce in quel goffo sfoggio di cavalli che frastuona e intride l'aria di gas incombusti dalla puzza insopportabile.
Per fortuna oggi tra le nebbie non vi è traccia di alcuna guerra e l'atmosfera è ovattata.
Neve ce n'è poca, ma quanta basta. La carrareccia si impenna bruscamente prima della chiesetta di Santo Stefano, edificio antichissimo posto in un luogo incantevole, fin troppo bello, perciò svilito da garage di epoca chiaramente posteriore, probabilmente tardo barbarica. La cella, che si presenta al profano unicamente come una schifezza con cler in finto legno sulla facciata e inserti di cemento a vista che delimitano il timpano, copertura in prato e chiaramente sine postico, deve essere stato eretto da una qualche tribù di "geometri che mal volentieri camminano" come edificio votivo del dio dei Fuoristrada - il cui culto è molto diffuso nella nostra valle.
Appena usciamo dal limite del bosco avviene il miracolo: non dobbiamo più brancolare tra le nebbie impenetrabili, ma queste sono ai nostri piedi. Un gigantesco lago bianco copre l'intera Valtellina. Emergono le sole cime oltre i m 2000. Il cielo è sempre più terso mentre, puntando alla Corna Brutana, contorniamo o saliamo le varie gibbosità di natura morenica che ondulano la grande conca di Rogneda.
C'è il silenzio più assoluto e i cristalli di neve luccicano al sole. La luce è abbagliante.
Davanti a noi c'è il canalone che vogliamo sciare. Lo studiamo e ristudiamo. La prima metà l'ho già salita e ricamata con le curve delle assi solo pochi giorni fa. Chissà invece com'è su in alto. Non sono tanto le pendenze a preoccuparci (più volte sono stato su di lì d'inverno con le piccozze e non ho brutti ricordi), ma vorremmo capire le condizioni del fondo, quanta neve è scesa ieri e quanto il vento ha fatto accumuli.
I pendii con esposizione S sono balordi perchè ci trovi o neve instabile o neve dura/ghiacciata poiché il sole la scalda e la trasforma velocemente.
Oggi abbiamo la sicurezza di rientrare nella prima casistica, quindi le nostre perplessità si sintetizzano nella domanda: "Ma starà su la neve o ci verrà giù tutto in testa?".
Lo stesso dubbio che avevo lunedì e che mi aveva convinto a tornare indietro a metà, quando avevo fatto una specie di carotaggio con le racchette e mi era parso che i vari strati nevosi non fossero coesi a sufficienza.
Tra questi pensieri e vari messaggi scherzosi per le nostre morose scritti con i bastoncini sui pendii immacolati, arriviamo nei pressi del lago di Rogneda, quindi alla base delle cascate ghiacciate che precipitano dalla bocca sospesa val di Pisoi, che proprio da queste pisciate d'acqua trae il suo nome.
Ci portiamo a dx e risaliamo con ampie inversioni i pendii dell'anfiteatro ai piedi di Punta Placida e della parete S della Corna Brutana.
Una diagonale molto lunga verso sx ci porta sullo spartiacque con la val di Pisoi, dove scriviamo uno STOP sulla neve per avvertire Gioia e Gloria di fermarsi qui, a circa m 2550, in zona sicura.
In alto si vede il canalone che scende per 300 metri di dislivello lungo la linea di massima pendenza e si interrompe con un salto di rocce. Ma, in realtà, poco prima del salto ha inizio una larga cengia obliqua sulla dx che deposita alla base della parete, esattamente dove inizia la via di roccia che abbiamo fatto quest'estate e battezzato "via del Grande Tetto" in quanto nella parte alta traversa sotto un grande ed esposto tetto di roccia rossiccia.
Riprendiamo la marcia e tagliamo tutto a dx (E), ma dopo pochi metri si stacca sotto i nostri piedi un grosso lastrone: è la prima valanga di giornata e le difficoltà non sono ancora iniziate.
Ci si fa un nodo in gola. Prendiamo le distanze l'uno dall'altro, sia per non sovraccaricare il pendio, sia per far sì che qualora uno venisse travolto da una valanga, l'altro avrebbe buone possibilità di non essere coinvolto nella slavina, così da potersi dedicare al soccorso del malcapitato.
Cupi rumori e continui assestamenti seguiti da lunghe crepe scandiscono le nostre inversioni.
Caspoc' davanti, io dietro.
Mi sento sotto il tiro dei cecchini e cerco di stare sempre nei punti di inversione quando il mio compagno taglia il pendio.
Ha inizio la cengia obliqua, con una rampa ripida dove si è accumulata molta neve, tanta da aver del tutto cancellato le mie vecchie tracce. E pensare che di qui ero salito a piedi e avevo lasciato una trincea fonda quasi un metro!
La distanza di sicurezza da tenere diventa sempre più lunga, così, per non perder troppo tempo, decido di levare gli sci e salire a piedi accanto alle rocce, così da raggiungere il mio compagno quando anche lui deciderà di togliere gli sci.
Mai scelta fu più sbagliata! Già al terzo passo affondo fin sopra la vita. Non ho modo di progredire, così mi arrampico sui sassi, ma anche su quel terreno sono estremamente lento. Fatto sta che in 10 minuti la distanza tra di noi è davvero tanta: io sono rimasto praticamente al punto di partenza.
Il Caspoc' mi urla dall'alto che è su un tratto di neve più sicura, allora mi decido a reinforcare le assi e salire sulla sua traccia con la massima delicatezza.
Zigzago tra gli accumuli. Ho sotto i piedi almeno 1 metro e mezzo di neve riportata dal vento e che sta su con lo sputo. La situazione in questo tratto è ben più critica di lunedì: oggi senza sci non si salirebbe nemmeno.
La cengia è larga circa 20 metri, a dx si alza la parete, verticale - a sx precipita una barra di rocce sempre più alta e da cui è meglio non cadere.
Al termine della cengia sono alla base del lungo canale che sale dritto fino alla cresta sommitale. Un strozzatura rocciosa ha fatto levare gli sci al Caspoc', che sta scalinando a piedi e mi urla che è meglio mettere i ramponi. Ha ragione: sotto 10-50 cm di neve morbida c'è neve dura o ghiacciata.
Siamo a una cinquantina di metri e quando abbiamo entrambi 12 più 12 punte d'acciaio ai piedi, ripartiamo con la medesima distanza.
Accelero il passo perchè vorrei dare una mano al mio compagno a batter traccia, ma non gli recupero un metro e rinuncio alla possibilità di raggiungerlo per dargli il cambio.
Il canale ha una strozzatura centrale a circa m 2900. È un passaggio che si deve conoscere: sebbene sembrerebbe logico proseguire dritti, si deve prendere un ramo secondario sulla sx, più ripido e incassato, ma l'unico a condurre all'ometto di vetta.
Caspoc' mi chiede conferma visto che ha memorizzato per bene la via di salita che gli avevo descritto, e svelto vince il tratto più ripido (45°) e alza le mani al cielo: è in cima!
Presto terminano anche le mie fatiche e ci stringiamo la mano (Corna Brutana, punta S, m 3050, ore 5).
La giornata è spettacolare, il paesaggio sconfinato, reso ancor più ampio dalla presenza del mare di nubi che dà l'idea che le Orobie siano su un altro continente.
Gioia e Gloria hanno raggiunto la zona sicura che gli abbiamo indicato. Sono due puntini minuscoli in fondo all'abisso della parete. Non hanno parvenza molto diversa dai sassi che emergono dalla coltre bianca, ma le riconosciamo perchè si muovono e perchè il vento ci porta su dei suoni simili a voci.
Chiedo indicazioni al mio compagno in merito a come si scia su una neve tanto strana.
"Si vien giù senza problemi?"
"Sì, non è tanto ripido  non credi?"
"Non è la pendenza che mi preoccupa, ma quello strato di neve marcia sopra ad altra dura come il marmo. Mi chiedo se le lame risponderanno bene."
"Sì, sì, si vien giù benissimo."
"Ottimo, allora se lo dici tu è fatta!"
"Sei la prima persona che si fida di quello che dico quando si tratta di sciare! Gli altri - ironizza il Caspoc' - mi danno del matto e basta, poi non vengono più in giro assieme a me."
Io però sono tranquillo perchè so quanto lui è bravo con gli sci e il suo parere in materia è il più autorevole. Se quando vai per monti con qualcuno riesci a  fidarti di lui quando si tratta di fare cose in cui è più bravo, allora riesci facilmente a espandere i tuoi limiti.
Tre, due, uno, via!
Parte il matto a curve e balzi, con il canale che sputacchia valanghe e scariche. Una sagoma che salta in un torrente in piena, mentre i due puntini/morose, che sono su una collina vista mare di nubi,  si agitano e corrono in qua e in là per vedere che succede.
Poi tocca a me. Aveva ragione: è tutto facile, basta stare sempre in piedi e non farsi trascinare giù dalle scariche che, prima di sotterrarti, ti butterebbero nel sifone in fondo al canale, quello che dà sul salto di rocce.
La neve è strana, il pendio non si bonifica mai, nemmeno dopo che fai partire le valanghe. 
Ad ogni curva si stacca qualcosa di nuovo, sia che sei davanti, sia che sei dietro.
In quel turbine di neve sempre più bagnata e imprecazioni per le sassate che prendiamo sul fondo degli sci, siamo presto nella parte bassa. Ci stringiamo la mano con più convinzione: "Qui son già sceso lunedì ed è una cazzata, diciamo che è fatta!!!"
Presto siamo da Gioia e Gloria, constatando che mentre salivamo si sono staccate per il caldo molte nuove valanghe, alcune grosse, e una ha sfiorato addirittura la traccia di salita.
Pranziamo e scherziamo mentre ogni gruppo cerca di descrivere all'altro cosa vedeva quando eravamo separati da quella grande parete.
Di tanto in tanto ci voltiamo a guardare il mare.
"Proseguiamo?" Chiedo io con ritrovate energie.
La meta è il Corno della val di Pisoi, raggiungibile ricalcando la mia traccia di lunedì. È una destinazione sicura perchè "se la traccia vecchia è tutta visibile - dico io - allora non si sono formati accumuli".
Così, percorso il fondo della val di Pisoi a debita distanza dai pendii laterali, ci infiliamo su per il ripido canale che scende direttamente a SE della vetta (150m, max 45°).
Tolti gli sci e ripassati i miei vecchi gradini, siamo tutti in cima a festeggiare (Corno della val di Pisoi, m 2911, ore 1 dal crinale a quota m 2550).
Da quassù il panorama marittimo si arricchisce delle vette della val di Togno e del gruppo del Bernina.
Fa caldo, per cui non metto nemmeno la giacca per scendere.
La sciata è incantevole, sebbene la neve sia a tratti crostosa.
1800 metri di dislivello tutti filati che, senza mai richiedere di spingerci con le racchette, ci accompagnano a valle. Qua e là si staccano nuove valanghe da caldo (e siamo a febbraio!) che ci rendono molto svelti nei punti più a rischio. L'attraversamento della conca di Rogneda e l'avvicinarsi della quinta ricamata con le Alpi Orobie  è uno scenario da togliere il fiato anche ai più avvezzi alla bellezza della montagna.
Il mare ci ingoia poco sopra Santo Stefano. Da immensi spazi baciati dal sole, siamo nei freddi boschi tra le nebbie, quasi al buio, sfrecciando tra gli alberi talvolta ricoperti di galaverna. Un cingolato ha rovinato la neve e l'odoraccio di idrocarburi impregna ancora l'aria, ma non è sufficiente a rovinare minimamente una giornata stupenda e immersa in una natura intatta ed incontaminata.

Fuori dalle nebbie sulla strada per Rogneda. Sullo sfondo la Corna Nera.
La testata della valle di Rogneda. In rosso il tracciato per la Brutana, in verde la parte visibile per il Corno di Val di Pisoi.
Verso la parete S della Brutana.
Sopra il mare di nubi. Sullo sfondo la catena delle Orobie.
Il tracciato sulla parete S della Brutana.
All'uscita della cengia obliqua si imbocca il canalone vero e proprio.
Sguardo sul canale.
In vetta. Oggi ho acceso anche l'ARVA!
Panorama dalla vetta della Corna Brutana da E a S. Anche il Caspoc' ha acceso l'ARVA!

Inizia la discesa.
La parte alta è sui 45°. Qui due puntini in basso alla base della parete sono Gioia e Gloria.
Nella biforcazione centrale la neve si fa più marcia e le valanghe più pesanti.
Oltre la strozzatura, nella parte bassa il canale è meno ripido e più largo.
Gioia e Gloria riescono a vederci chiaramente solo nella parte bassa del canale, mentre prima capivano che stavamo scendendo dalle continue scariche di neve.
Nella tranquilla valle di Pisoi.
Il tracciato per il Corno di Val di Pisoi.
Gli ultimi metri per il Corno visti dalla Corna Brutana.
Il ripido canale finale.
Panorama dal Corno di Val di Pisoi. A sx la Corna Brutana.
Tracce di salita e di discesa.