domenica 31 maggio 2020

Pizzo di Prata dal canale Buzzetti


Il Pizzo di Prata sembra un tabù da sfatare, la montagna che viene giù, dove è facile smarrirsi o quella dei tanti che non sono tornati. Così gli oroscopi locali sono diventati moniti e questi a loro volta sono stati tramandati nelle relazioni come uno scherzo. Tanto che alcuni hanno smesso di parlarne o addirittura certi valchiavennaschi di primo pelo non sanno indicarlo dal loro paese e menchemeno sulla carta. Eppure è il cuore della valle, che lo affianca sulla sinistra orografica. Da sud appare tozzo e imponente, da Voga o dalla Val Ladrogno slanciato, mentre da nord s'inarca come per inghiottire la Val Schiesone sottostante, noi compresi: da qui abbiamo iniziato a seguire le orme di Don Buzzetti, noto primo salitore e prematuramente scomparso parroco di Uschione.


La val Schiesone e il nostro itinerario visti da S. Antonio di Mese.



Partenza: Prata Camportaccio, chiesa di Sant’Eusebio (m 352).

Itinerario automobilistico: dalla rotonda di Dubino si prende la SS 36 in direzione di Chiavenna (N). Dopo una galleria si sbuca a Verceia (3 km), paese ubicato allo sbocco della valle dei Ratti. La successiva galleria “Monti di Campo” conduce a Campo (4,8 km) e Novate Mezzola (5,8 km) sopra cui è l’accesso sospeso della val Codera. Sulla sx nei pressi della stazione vi è lo scheletro della dismessa acciaieria Falck, mentre, procedendo, sulla dx sfila l’alta parete della Motta di Avedée. Costeggiato il bacino del Pozzo di Riva, si entra nel comune di Samolaco (8,2 km). Sulla dx scorrono intanto le selvagge valli del versante meridionale del pizzo di Prata. Colpisce per estensione del prato e dei campi attigui la Cascina Bodengo, un verde sipario all’alta cascata della Pisarotta. Ecco la frazione Somaggia, che una fascia coltivata divide dalle prime case del comune di Prata Camportaccio. Sul lato opposto della Valchiavenna la torrre di Segname e il piramidale Pizzaccio vigilano il passaggio. Dopo 14 chilometri dalla rotonda si è nella frazione San Cassiano. Si prosegue per Chiavenna finché, già in vista del pizzo Stella e del pizzo Galleggione, superato il ponte sullo Schiesone, il cartello “Prata Camportaccio” anticipa l’uscita sulla dx (18,2 km). Si segue via Alfonso Guidi. Dopo 400 metri, già in vista della chiesa parrocchiale, al crocevia si sale dritti (via Balzòo) fino al parcheggio del campo sportivo attiguo alla parrocchiale di Sant’Eusebio (19 km). In zona è possibile giungere comodamente anche in treno grazie alla linea Colico - Chiavenna.

Itinerario sintetico: chiesa di Sant’Eusebio (m 352) - Dona (m 433) - Lottano (m 654) - Pradotti (m 1050) - Belvedere (m 1212) - Curlegia (m 1258) - rifugio del Biondo (m 1322) - - bocchetta alta di Schiesone - punta Buzzetti - bocchetta alta di Schiesone - pizzo di Prata (2727) - croce di Matra - Pratella (m 1049) - Stovano (m 700) - chiesa di Sant’Eusebio (m 352). Tempo di percorrenza: 5:30 ore. Attrezzatura richiesta: scarponi.

Difficoltà/dislivello: 4.5 su 6, circa 3000 m.

Dettagli: alpinistica PD. Passi su roccia, anche friabile, fino al III grado e pendii nevosi fino a 45°. Itinerario molto lungo e spesso difficile da trovare, specialmente in discesa.

Mappe:  Valchiavenna. Valle Spluga - Val Bregaglia, 1:25000, edita da Sete e distribuita da Beno Editore.





Dopo aver campeggiato nei pressi di Dona (meno di 10 minuti di cammino sopra la chiesa di Sant'Eusebio), svuotata la thermos di caffèlatte, alle 6.00 imbocchiamo la mulattiera per il Biondo, rifugio adibito alle feste che si trova nell'ultima manciata di baite della valle. Beno riferisce di resoconti fantasiosi che parlano di forte esposizione nell'ultimo tratto, ma non vi sarà traccia di precipizi, se non quelli che i fumi dell'alcol potrebbero creare. Tutt'al più conviene camminare in fila indiana e aver un unico timore: le zecche. La via si snoda attraverso una serie di boschi, prati e antiche frazioni, che per quanto affascinanti e talvolta molto curate, con tanto di vialetti lastricati e aiuole in fiore, svoltato l'angolo trovano i sentieri disseminati di insidie invisibili, se non fosse per le braghe bianche indossate appositamente da Beno. Ad ogni controllo delle caviglie i parassiti vengono individuati. Vuoi l'incuria degli ultimi mesi di pandemia o il clima sempre più caldo l'erba pullula di zecche e ci troviamo costretti ad abbandonarla continuando sui tornanti della carrozzabile che serve le località Nirola, Pradotti e Belvedere. Ai lati della strada è pieno di fragole selvatiche grosse come lamponi, non passa proprio nessuno per di qua. Una volta ripreso il sentiero e superata qualche cascina isolata prendiamo fiato sul lungo e pianeggiante traverso che ci deposita al rifugio il Biondo, quota 1322 metri. Qui Beno si mette a sperimentare le sue abilità da pilota col drone, per scattare delle foto. Stando fermi l'umidità che fino a quel momento ci ha fatto procedere senza maglietta costringe a ripartire infreddoliti e coperti. Ancora un'ansa e ci attende un ripido pendio, dietro il quale provengono belati di capra. La testata dello Schiesone ci sovrasta e Beno aspetta l'occasione di virare a destra per avvicinare la base del canale Buzzetti, linea di congiunzione fra l'omonima punta, una vertiginosa sequenza di strapiombi e pinnacoli, e la parete nord del Prata, un labirinto di cenge e placche. Quando l'ambiente si fa più brullo, e salutiamo un larice solitario, senza più indugio tagliamo in quella direzione, evitando che una costola della montagna costringa a ridiscendere. Nelle vicinanze sorge un ricovero per pastori con stalla annessa, un lusso! esclama Beno. Le capre ci precedono ma al primo contatto affrettano il passo, attraversando la pietraia alla base del nevaio per poi approdare a un poggio panoramico. Il tutto ripreso dal drone per poi scoprire che la registrazione non è partita. E' il momento di portarci sul fondo del canale e armarci di ramponi e picozza. La neve ha una crosta gradevole, e gambe permettendo siamo lanciati verso l'alto, zigzagando poco e pregustando il panorama sulla Valcodera. D'un tratto un sibilo crescente prorompe dalla nord del Prata, e per un istante mi aspetto di vedere uno squarcio nella parete. Mi volto di scatto ma niente, c'è solo Beno che dice di mantenere quel fianco e che del materiale è caduto nella neve in una valletta accanto. Nonostante siamo disallenati aumentiamo l'andatura. Esplode un secondo fischio, simile a un tuono attutito dalle cavità della montagna. Inquietato cerco stupidamente il pericolo con lo sguardo anzichè allontanarmi per precauzione, ma di nuovo non vedo nulla. Presto, ad un decisivo incremento di pendenza, ci lasciamo alle spalle la tetra base della nord, mentre la scighera sta riempiendo il canale sopra e sotto di noi. Come se non bastasse ad incupire gli animi Beno commenta che sembra di entrare nella porta dell'inferno. I 40 gradi dello scivolo che stiamo risalendo si fanno sentire: tra scarsa visibilità e polpacci infuocati decidiamo di non immortalare nessuno sprint finale col drone. Sbuchiamo dall'altra parte quando oramai le nebbie avvolgono le cime e invadono le valli circostanti. Un traversino su un ponte di neve solida sul fianco orientale ci regala un facile pendio e finalmente siamo sulla Punta Buzzetti. Noto l'assenza di un ometto e mentre ne costruisco una miniatura ci accorgiamo che la catasta di granito e gneiss sommitale vibra a ogni passo e dentro è cava. Muovendoci con cautela giochiamo nuovamente col drone e scopriamo la bellezza delle voragini che ci circondano. È soltanto un antipasto al Pizzun, quindi dopo un boccone e un sorso d'acqua ritorniamo alla bocchetta, diretti alle placche che si susseguono verso l'anticima del Prata, incorniciate da radi e appassiti ciuffi. Troviamo però un ostacolo, una muraglia di quindici metri semi marcia, alla cui metà scende una corda sfibrata in più punti. Beno la risale in arrampicata finché gli appigli sono solidi poi non fidandosi della parte successiva si defila sulla sinistra per aggirare l'ultimo dosso, muovendosi come un bradipo e sfruttando una sottile cengia erbosa. A ruota giungo al punto di svolta ma lì vengo bloccato dalla voce di Beno, che valuta se buttarmi una corda dall'alto, visto che non me la sento di passare dalla quarantena a fare l'equilibrista su quella strisciolina d'erba. Da commedianti provetti ci rendiamo conto che la corda è nel mio zaino. Accantonando l'idea di disarrampicare, e perdere tempo prezioso per aggirare la parete, testo la corda. Infatti i due metri di fune restanti, fino allo spuntone di assicurazione sono ancora integri. Procedo in salita scegliendo con cura gli appoggi per i piedi, gli appigli per la mano destra e tirando lievemente la corda con la sinistra. Giungo in cima trafelato e sorrido ai 200 metri di dislivello finali. Un pò frastornato dai dieci minuti appena trascorsi mi ricompongo, in attesa del passo da III esposto, segnalato a Beno da un amico che ha suggerito l'intero itinerario. Scollinando per primo, mentre il compagno di gita è rimasto indietro dopo essersi recato ai servizi, mi fermo, ammaliato dalla vista. Qui giunge la seghettata cresta orientale dalla Valcodera di cui dobbiamo percorrere circa centocinquanta metri. Nel viavai di banchi di nebbia sotto un cielo perennemente bianco, distinguo la croce di vetta, è vicinissima. Cedo il passo all'apripista che nota dei fittoni cementati, e seguiamo tranquillamente il filo finché ci si para davanti la tanto attesa breccia, o meglio, un piccolo gendarme che ricorda tanto il cavallo di bronzo del Disgrazia, con l'unica differenza che non invoglia a passarlo di lato: bisogna cavalcarlo. Beno si porta agilmente su un primo ripiano da un metro quadro quindi dopo una studiata veloce punta gli scarponi, cambia tacca, e si issa, è già di là. Dopo una sola occhiata al vuoto che c'è al mattino della montagna, decido di ignorare cosa c'è dall'altra parte, lo so bene. Raggiunto il comodo davanzale trovo subito gli appigli per le dita e mentre piazzo il primo piede colpisco la roccia col ginocchio ma prima di avvertire dolore ho già archiviato la sola difficoltà tecnica della giornata. È fatta, in un minuto ci spianiamo nei pressi della croce di legno dedicata all'alpinista don Buzzetti, mangiando, sonnecchiando sotto uno spiraglio di sole. Ovviamente sguinzangliamo di nuovo la bestia elettronica volante. Poltriamo decisamente troppo. Infatti appena comincia la discesa dalla normale un nemico finora sottovalutato ci rende ciechi. La foschia, continuamente alimentata dal fondovalle e ammassata da forti correnti d'aria, nasconde la via sul versante sud, e ci troviamo costretti a scendere a spanne, in cerca della Porta. Prima va avanti uno poi se compare un ometto richiama l'altro, finché Beno, dopo aver scambiato certi spuntoni di roccia per viandanti, si avventura in un vallone celato alla vista. La comunicazione si riduce a delle eco che si sovrappongono, e anche se siamo in due, come da effetto previsto sembra che ognuno urli a sé stesso. Spostandomi più in basso vedo tracce di passaggio animale, credo persino di sentire dei campanacci, così lo annuncio con convinzione: la Porta è vicina! Assecondando quanto udito, Beno scorge sul limitare della nebbia quelli che potrebbero essere i segni dell'Alpe Sparavera. Annuisco senza distinguere un singolo muretto. Di lì a poco, ancora dubbiosi e disorientati, troviamo lo sbocco del nostro canyon, e seguendo rigoli d'acqua e cumuli di rottami compaiono dei rassicuranti bolli rossi, poi una catena e resti di nevaio che evitiamo per non cadere nei buchi ai suoi lati. Ci abbassiamo fino a intravedere una selletta d'erba  di fronte, guadagnata l'anno scorso in un fallimentare tentativo di raggiungere la cima, dopo aver perso ripetutamente la via. Giunti in fondo superiamo un vallone torrenziale perpendicolare al nostro, forse quello esplorato da Beno qualche centinaio di metri più sopra. Manteniamo la quota tagliando per ginepri e rododendri fino al punto di mia conoscenza, quindi scendiamo decisi giù per una macchia di maloss, utili per aggrapparsi se si incontrano dall'alto, e dopo l'ennesimo greto di sfasciumi comincia un saliscendi nella boscaglia più selvaggia e dimenticata della montagna. I bolli rossi compaiono soltanto dopo aver rinvenuto il sentiero tra gli arbusti e la fitta vegetazione. Per fortuna ricordo ogni cul de sac della volta precedente. Ci nutriamo di biscotti all'ombra di un possente abete quando mancano ancora 1800 metri di dislivello negativo. Una volta sbucati sulla dorsale ovest, prossimi alla croce di Matra, arrivare alla prima fonte d'acqua per sciacquarsi la faccia e la faringe diventa questione di primaria importanza. Prendiamo a corricchiare attutendo la forza di gravità e oltre dieci kili di zaino e mettendo in fuga delle pecore. Abbiamo il nostro corteo fino a Matra dove arrivo stremato, tanto da mimare la mia crocifissione. Beno traffica ancora con la macchina fotografica, secondo me vuole solo riposarsi, così lo rincalzo dicendogli che in mezz'ora saremo a Pradella e in un'ora a Prata. Inizia una folle corsa nella pineta. Ora le spennellate bianche e rosse abbondano. Arrivati alle case e ai magnifici prati a quota 1000 metri facciamo la scorta di acqua come cammelli e camminiamo dando tregua alle ginocchia, poi di nuovo a rotta di collo giù per gradinate intersecando la strada asfaltata. Stavolta annebbiati nella mente, sbagliamo sentiero finendo in un accesso ad una cascina privata. Non demordiamo e ripresa la discesa nella selva confido a Beno che in tutto quel sottobosco rivoltato ci tireremo addosso la piaga già scongiurata al mattino: zecche in quantità. Di ritorno al tornante troviamo dei pannelli a conferma che il bosco ne è pieno, infatti ne eliminiamo una per gamba. Non c'è altro da fare, per tornare alla civiltà incolumi seguiamo la strada, e una volta recuperata la macchina ci accorgiamo di essere a pezzi, le gambe tremano, la schiena segnata e spellata qua e là dallo sfregamento dello zaino insieme all'opera del sudore e del vento: il prezzo da pagare per arrivare in tempo a cena.

Lottano.

Lo spettro della punta Buzzetti dalla strada per Pradotti, presa al posto del sentiero per evitare d'essere sbranati dalle zecche.

Il pizzo di Prata si libera dalle nebbie.

Ginestre e pizzo di Prata.

Pra Baffone e il rifugio del Biondo.

Pra Baffone dall'alto.

Su per il canale Buzzetti.

Su per il canale Buzzetti.

Su per il canale Buzzetti nel tratto più ripido.

La bocchetta alta di Schiesone.

La punta Buzzetti.

Punta Buzzetti, vista aerea.

Punta Buzzetti, vista aerea.

Pizzo di Prata: la paretina NE.

In vetta al pizzo di Prata.

In vetta.

Chiavenna dalla vetta.

Scendendo lungo la cresta occidentale.

Lungo la cresta occidentale.

Il canalone del Portone.

Alla croce di Matra.

"Se questo è un uomo"

Nelle radure sopra Pradella.