domenica 24 settembre 2017

Pizzo del Teo (m 3049)

Splendida guglia di roccia scura che impressiona chi in auto scende dal passo del Bernina verso Tirano, il pizzo del Teo (m 3054) s'alza sulla cresta che divide la val Poschiavo dalla val Grosina Occidentale, la Svizzera dall'Italia. Non ha alcun itinerario di salita escursionistico, ma richiede sempre e comunque un po' di arrampicata esposta. La via più facile è quella che sale dai laghi del Teo, ubicati nella valle omonima, laterale della val Poschiavo, ma in condizioni pseudo invernali, come quelle trovate oggi, le placconate di II+ grado della cresta O diventano una faccenda piuttosto complicata.

Il pizzo del Teo dai Gessi (m 2413), caratteristico dosso biancastro tra il passo della Forcola e quello del Bernina. La cresta di dx, da cui emerge l'anticima O (m 2970 ca.) è quella che abbiamo salito oggi, mentre questa fotografie è stata scattata settimana scorsa. Il pizzo del Teo si diceva essere anche la cime preferita della carismatica guida alpina Duilio Strambini, trascinatore della rinascita dell'alpinismo in val Grosina negli anni '70. A lui è intitolato il bivacco nei pressi del passo di Sacco e abbiamo dedicato il n.18 de LMD, attualmente esaurito ma consultabile in pdf dal sito www.lemontagnedivertenti.com

Partenza: Sfazù (m 1622).
Itinerario automobilistico: Sfazù (m 1622) - Colonia di Buril (m 1697) - Suracqua (m 1757) - Terzana (m 1814) - Aurafreida (m 2116) - lagh dal Teo (m 2353 - m 2419) - selletta sulla cresta O del Teo (m 2846) - pizzo del Teo (m 3049)
Tempo per la salita: 6 ore.
Attrezzatura richiesta: scarponi, 30 m di corda, qualche fettuccia e imbraco. Ramponi e piccozza sono indispensabili con neve residua.
Difficoltà/dislivello in salita: 3.5 su 6 (con neve 4.5 su 6) / oltre 1500 m.
Dettagli: PD. Passi di II+ superiore sulle placconate dalla selletta a m 2846  all'anticima O. Un passaggio di III nel scendere all'intaglio tra anticima e cima. Ancora II+ per la vetta.
Nella salita all'anticima O, se ci si tiene sempre nella parte dx (guardando dal basso) delle placconate (mio itinerario odierno di salita) si affrontano passi di III+ un po' esposti. Più facile, dopo i primi 30 metri sulla dx, traversare del tutto a sx (itinerario mio di discesa).

Mappe- CNS 1278 - La Rösa, 1:25000;

© swisstopo.ch


Partiamo da Sfazù che piove, non forte. Una pioggerellina fine che bagna subito i capelli e quando mettiamo la k-way ci serve solo a tenerci l'umidità addosso. La pioggia continua fino a Terzana (m 1814, ore 1), a cui arriviamo per il sentiero in sx idrografica preso da colonia di Buril (si scende fino al ponte sul torrente e al crocevia si va a sx anche se non vi sono nomi scritti sui cartelli). Saliti nei boschi a S dell'alpeggio (cartello segnavia) ci affacciamo alle vaste torbiere del Plan, un esteso balcone con eccezionale panorama sul gruppo del Bernina e sull'omonimo passo. Il frastuono dei motori dei rallysti impegnati in una competizione al passo spaventa gli animali forse più dei cacciatori che come folletti compaiono e svaniscono qua e là, senza però emettere alcun rumore. Perciò siamo solo noi, i cacciatori, i rombi delle auto e le goccioline di rugiada che pendono dai fili d'erba tremanti. Alla nostra sx il pizzo del Teo compare per un'istante tra le nebbie. Un fantasma inquietante, incrostato di neve e che lascia presagire difficoltà ben maggiori di quando l'avevamo salito cinque anni fa d'estate. Un lungo traverso in piano in direzione SO ci porta alle baite di Aurafreida (m 2116), adagiate un un avvallamento di prati da sfalcio. Preso il sentiero in piano sulla sx (indicazioni) entriamo per una costa via via sempre più spoglia di larici in val da Teo, dove risaliamo fino alla soglia dell'antica conca glaciale ai piedi del versante S del Teo e cinta, sul lato opposto, dalla cresta della Sperella. Qui vi sono i 3 laghi del Teo, uno inferiore (m 2353, ore 2), sbarrato a valle da una massicciata eretta nel 1925 per sovralzarne il livello, uno più alto, e il maggiore per superficie (m 2419), che si affianca a uno minuscolo e rotondo, oggi ghiacciato per metà. Il loro colore è blu intenso, con qualche sfumatura azzurro e acquamarina.
Il pizzo del Teo è dinnanzi a a noi, con la sua cresta occidentale che si proietta in Svizzera. Questa presenta, da sx a dx, tre turriti gendarmi, un'alta anticima e la vetta principale. A E (dx) del terzo gendarme scende un ripido canalone detritico. Noi, superata una costa erbosa, lo risaliamo per tracce di sentiero e sfasciumi fino alla selletta sulla cresta O del Teo (m 2846, ore 1:15), una bocchetta che mette in comunicazione la valle del Teo con la conca di massi della Cantonascia attraverso due ripidi canali.
Qui inizia la parte alpinistica, che si svolge sulle placche fessurate a E della sella. C'è neve incrostata e il sole, che ogni tanto fa capolino tra le nuvole, si propone di farla sparire, ma non riesce a fare altro che a scioglierne quel tanto che basta a bagnare  le rocce foderate di licheni e renderle scivolosissime. Dopo un primo assaggio della via Gioia preferisce rinunciare. Non la biasimo, perchè ho con me solo 10 metri di corda e non riuscirei a calarla in discesa.
Ci provo io da solo, ma dopo nemmeno 50 metri di dislivello scivolando a ogni passo, torno alla selletta un po' spaventato: mi si sta staccando la becca della piccozza e se rimanessi senza sarei davvero nei guai. Presa la piccozza di Gioia e messi i ramponi, ci riprovo, questa volta più convinto. La cima l'ho già fatta in scarpe da ginnastica, non potrà certo un po' di neve fermarmi ora che sono attrezzato da guerra! Mi tengo a dx, dove neve ce n'è un po' meno e giungo all'imbocco di una larga crepa, quasi un canyon. Ci entro, ma dopo pochi metri un salto con masso incastrato non si lascia superare. Risbuco alla luce e mi butto sulle placche esposte ancora più a dx. Non è certo una libidine scalare placche lisce coi ramponi, ma non c'è altra soluzione. Trenta metri sopra rientro a sx. C'è un caminetto (III+), poi mi aggrappo al bordo di varie lame di roccia che stanno a cavallo tra precipizi e crepacci rocciosi che si spengono nel cuore buio della montagna. Per fortuna rientro sulla via normale, nel centro della rampa rocciosa che ora è meno ripida. Salgo fino a 5 metri dalla vetta dell'anticima O (m 2970 ca.), per traversarla grazie un passaggio esposto sul lato meridionale che dopo pochi metri incontra un singolare antro. E più oltre obbliga a scendere verso destra 3 metri per rocce non buone, quindi insiste a E fino ad affacciarsi all canalone che getta in val da Teo. Un diedro di 3 metri rivolto a SE (III+) è l'unica via per scendere nel canale che divide cima e anticima, dato che a N, dove culmina il canale, c'è troppa neve. Al di là del canale mi porto sul corpo dell'edificio sommitale. Traversate (dx) orizzontalmente alcune placche, tolgo i ramponi perchè non c'è più neve. Una facile ma ripida groppa di rocce e sfasciumi (II max) mi accompagna sul pizzo del Teo (m 3049, ore 1:15), da cui il panorama è sublime, come l'isolamento di questa montagna tanto affascinante quanto poco frequentata.
Il rally è finito e il sole del pomeriggio s'abbassa verso l'appuntito piz Varuna. Tra lenzuala di nebbia e pennacchi di neve, si fanno largo il pizzo d'Argento e lo Zupò, mentre il pizzo Palù rimane avviluppato dalle nubi. Faccio un paio di fischi per avvisare Gioia che sto rientrando, che ripeto quando sono sull'anticima, primo punto da cui vedo la selletta e lei può vedermi. Ho perso molto tempo in salita e non vorrei si stesse preoccupando.
Per la discesa sto completamente a dx. Dopo un tratto quasi pianeggiante la cresta è interrotta da una breccia. Appigli bagnati, placche bagnate. Sono 3 metri, ma di disarrampicare non c'è verso, così devo saltarci dentro prendendo una bella insaccata. Poi giù per un canale verso sx, traverso a dx in un  dritto e più largo, quindi una cengia verso sx mi riporta sulla via di salita 80 metri sopra la selletta dove Gioia mi aspetta intirizzita e avvolta in pile e piumino.
Il tramonto ce lo gustiamo sulle rive del lago del Teo. Luci dorate e tiepide lottano col vento gelido che ha spazzato via tutte le nubi dal cielo per dare degno benvenuto al timido spicchio di luna appena sorto. Alcune nubi a lente si posizionano sopra il piz Varuna e si colorano di Rosso, mentre la notte avvolge i boschi sopra Terzana e ci fa accendere i frontalini lungo la strada per Sfazù.

Il pizzo del Teo, spettrale e incrostato di neve, s'alza sopra le pietraie della Cantonascia.

Il Corno di Campo da Plan.

Il versante SO del pizzo del Teo e in rosso il mio tracciato di salita, in arancione quello di discesa.
Il lago inferiore del Teo.

I laghi del Teo dall'alto.

La vetta Sperella e i laghi del Teo dalla selletta di quota 2846.

A N della selletta di quota m 2846.

L'anticima O del pizzo del Teo e il tracciato per traversarla visti dall'edificio sommitale del pizzo del Teo.

Un salto in vetta al pizzo del Teo, dove sono salito con gli scarponi nuovi che ho comprato da Jek&Ale.

Le placconate del versante occidentale dell'anticima O del pizzo del Teo.
Ultime luci al lago superiore del Teo.

L'imbrunire a Plan.

giovedì 17 agosto 2017

Punta Rasica (m 3305)


Punta Rasica, Andrea affronta la cuspide finale.

La punta Rasica è il capolavoro di Christian Klucker del 27 giugno 1892, uno dei tanti del forte alpinista. Una vetta difficile, specialmente negli ultimi metri per la vetta, costituita da una spaventosa punta rocciosa, la cuspide. 
La cuspide fu superata dalla forte guida di Sils  senza alcuna assicurazione e resta una prova indiscutibile della forza e del coraggio di quel piccolo uomo che aveva spinto più oltre i limiti dell'alpinismo. 
Trovate dettagliati approfondimenti sulla figura di Klucker e la relazione di salita alla punta Rasica nel n.21 de LMD.


Io alla Rasica mi ci ero approcciato 5 anni fa, d'inverno, col grande Fabio Meraldi. L'ostacolo era stato il freddo, ma le rocce terminali, almeno, erano state di facile accesso.
Mai avrei pensato che il ritiro dei ghiacciai avrebbe potuto rendere la parete O della montagna, un tempo la più frequentata, così ostica da attaccare. 
Nella sua fuga verso l'alto il ghiacciaio ha infatti lasciato allo scoperto in basso grandi placconate su cui rotolano numerosi massi. Più su, al margine superiore del lenzuolo ghiacciato, un'amplissima crepaccia terminale e un muro basale di rocce infime ha reso inaccessibile  la via normale da quel lato, così ci siamo dovuti cimentare in un attacco una cinquantina di metri più a nord.
Per fortuna c'era Andrea in formissima, perchè quel canale-camino di 70 metri superava in più punti il VI grado e strapiombava anche. Lui davanti e io e Pietro dietro a fare i parassiti.
Tutte le soste su versante erano mal messe, il che significa che di lì non ci mette più il naso quasi nessuno.
Ma scomodità a parte, la cuspide finale è una bellissima scultura naturale, una lama di granito alta dai 10 ai 30 metri in equilibrio precario che mette il cuore in gola per la sua esposizione, ma che alla fine non è inespugnabile come sembra.
Dopo aver tribolato anche in discesa (abbiamo voluto cocciutamente rifare la vecchia via normale, incengiandoci al limite del ghiacciaio, quindi si è reso necessario risalire e calarci per il nostro camino di salita), alle 22 eravamo in Allievi (dove abbiamo avvisato casa) e alle 00:30 a San Martino, dopo 20 ore di marcia e patimenti inaspettati, oltre a una sosta per birra e gelato con le castagne al Gatto Rosso, in val di Mello.
Una grande avventura in amicizia su una montagna stupenda, condividendo fatiche e pericoli sempre col sorriso.



I rifugi Allievi e Bonacossa.

Sul ghiacciaio Rasica Ovest Inferiore, diventato un ghiacciaio nero.
Il tracciato per la punta Rasica (foto Pietro Pellegrini).


Verso il ritiratissimo ghiacciaio di Rasica Ovest Superiore (visibile in alto). A sx la cima di Castello.

Le grandi placconate lasciate dal ritiro del ghiacciaio di Rasica Ovest Superiore.

Scenari verticali...
Il tracciato per la punta Rasica  dalla base del ghiacciaio (foto Pietro Pellegrini).
Al cospetto della parete NO della punta Rasica. In alto si vede la cuspide finale.
Andrea apre il primo tiro (VI) (foto Pietro Pellegrini).
E anche il secondo (VI+) (foto Pietro Pellegrini).

Sul II tiro strapiombante.

L'uscita del II tiro.
In parete verso la cuspide (III+) (foto Pietro Pellegrini).

La cuspide passo 1: guardarla con timore.

La cuspide passo 2: afferrarne la stretta lama e prendere il coraggio di staccare i piedi da terra. C'è un bel vuoto da entrambe le parti e i compagni di cordata che sbeffeggiano, tanto loro verran su da secondi!

La cuspide passo 3: oramai non si torna più indietro. Bisogna trovare i giusti equilibri per salire. Le scarpette da roccia sarebbero sicuramente più comode delle scarpe da ginnastica.

La cuspide passo 4: vai di braccia e di Dulfer.

La cuspide passo 5: oltre il beccuccio (IV+ / V a seconda di come lo si affronta) le difficoltà scemano, ma l'esposizione cresce e non ci si protegge più.
Visto da un'altra prospettiva (foto Pietro Pellegrini).

La cuspide passo 6: si trova il coraggio di alzare il piede e arrivare nell'intaglio che precede la strettissima vetta.

Ora tocca me (foto Pietro Pellegrini).


Lungo la lama della cuspide. Io sono in piedi sul beccuccio.

Pietro e Andrea in vetta.

Io in vetta che guardo la cima di Castello che sbuca dalle nebbie (foto Pietro Pellegrini).

La prima doppia (foto Pietro Pellegrini).

Si disarrampica un po'.
Risaliti in quanto la via normale non era percorribile, traversiamo la parete per effettuare le ultime 3 calate dalla nostra via di salita (foto Pietro Pellegrini).

La cima di Castelo e il ghiacciaio di Rasica Ovest Superiore al tramonto.

Penultima calata.


La Rasica al tramonto.


“Oggigiorno domina l’arrampicata su roccia e con essa il cosiddetto divoramento delle vette! E dove e quando la forza e la destrezza umana non bastano, si ricorre ai mezzi artificiali: punte di ferro, chiodi, e per le cosiddette nuove discese, anche quando esse non sono effettuabili in salita, anelli di corda! Nelle mie molte peregrinazioni in montagna, io non ho mai portato nel sacco una sola punta di ferro e un solo anello di corda. Certo affrontavo sempre soltanto quei problemi che si potevano risolvere senza mezzi artificiali. Secondo la nuova tendenza, invece, chiodi e anelli di corda fanno parte dell’equipaggiamento dell’alpinista. Devo immensamente deplorare che l’alpinismo ideale sia messo in un angolo dal puro sport”. 

Christian Klucker

lunedì 31 luglio 2017

Pizzo Badile (m 3305)

Il pizzo Badile incorniciato da una inflorescenza di Campanula alpina


Io, Beno e Renzo abbiamo raggiunto la vetta del pizzo Badile il 31 luglio, in una giornata caldissima, passando per il rifugio Gianetti e la via normale per il versante S.

Per la salita ci sono servite 6 ore di marcia dai Bagni di Masino, 3 ore dal rifugio Gianetti (m 2534), dove ci eravamo recati per intervistare il gestore Giacomo Fiorelli, che ci ha intrattenuto con racconti e curiosità sulle immagini affisse ai muri del rifugio (l'intervista apparirà sul prossimo numero de LMD, a settembre 2017, contenente la III tappa del sentiero Roma).

La parte alpinistica si limita agli ultimi 500 metri di dislivello, dove si incontrano passi su roccia fino al III+ e numerosi altri alpinisti scalzanti pietre e che rendono prudente indossare il casco.

Questa splendida vetta è stata scelta tra le 24 più rappresentative delle Alpi nel volume Alpi Selvagge e la sua storia alpinistica è magistralmente raccontata da Mario Sertori in Pizzo Badile, LMD n.25 - Estate 2013.

Giunti in vetta abbiamo notato una cordata impegnata sulla Gaiser Lehmann alla NO del Cengalo, una via ardita aperta nel 1937 da due talentuosi e semplici ragazzi austriaci, a cui abbiamo dedicato il n.37 de LMD.


Dai Bagni di Masino al pizzo Badile per la via normale. Tratteggiata è invece la via Molteni.


La via normale al pizzo Badile.

Salendo in Gianetti

La Gianetti e il pizzo Badile

La prima parte della via di salita
Renzo sulla stretta cengia che recede il camino che porta alla croce di Piatta e Castelli

Passaggio esposto a 200 metri dalla vetta.


In vetta
In vetta.


Di rientro alla base