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L'Adda a Piateda la sera del 29 ottobre 2018. |
Domenica ho fatto l'interessante e aerea traversata per cresta dal pizzo Campanile (Martel de Lìif) al Sasso Bodengo (Martel de Budench) e alla bocchetta detta localmente al Lavrenc, al confine tra alto Lario e val Bodengo, in una giornata esageratamente calda: un forte vento tiepido fino in vetta, dove ho dormito un'ora e mezza in calzoncini e maglietta a mezze maniche!
Il turbinio di foglie secche che volteggiavano nell'aria richiamava l'idea dell'autunno, anche se l'arrossamento dei faggi era dovuto alla siccità e non al freddo. Situazione fotograficamente molto bella, anche se sintomo dell'ennesima anomalia climatica effetto, probabilmente, del riscaldamento globale.
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La parte alpinistica della gita vista dal lago Darengo. |
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Il ponte ad arco presso Dangri |
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Il ponte ad arco presso il rifugio Pianezza |
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Il rifugio Pianezza in una cornice tipicamente autunnale, ma in realtà figlia della siccità |
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In vetta al Martel de Lìif (pizzo Campanile sulle mappe). Di fronte a me la possente parete ovest del pizzo Cavregasco e in lontananza le vette di val Masino e Valmalenco. |
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Dettaglio della parte alpinistica della gita. Il tratto di IV-, espostissimo, può essere facilmente aggirato appoggiandosi a cenge erbose sul lato della valle del Dosso. |
Mai e poi mai, vista la situazione, avrei pensato però all'arrivo di un monsone la settimana successiva...
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L'Adda a Piateda alle 21 di lunedì 29 ottobre 2018. |
Matteo Gianatti spiega cos'è successo:
A partire da venerdì, ma in particolare tra la sera di sabato fino a lunedì, i settori alpini e prealpini lombardi sono stati interessati da un'intensa fase di maltempo. Non la classica perturbazione autunnale, ma un evento per estensione, intensità e durata classificabile fra i più critici degli ultimi anni.
Gli accumuli di pioggia più significativi si sono verificati a ridosso dei crinali e nelle vallate orobiche, nonché nelle pedemontane prospicienti, raggiungendo i 300-400 mm in 48 ore.
La quota neve si è mantenuta quasi sempre elevata per la maggior parte dell'evento, scendendo solo temporaneamente al di sotto dei 2000 metri sulle Orobie, registrando anzi un pericoloso innalzamento fin verso i 2800 metri lunedì sera, durante la fase più critica, quando si sono registrati i massimi picchi di intensità di precipitazione.
A partire dal pomeriggio di lunedì 29 ottobre inoltre, la risalita da sud-ovest di una vasta linea temporalesca ha determinato un'intensa fase di maltempo anche in pianura, con rovesci diffusi, grandinate e raffiche di
vento generalmente fra 50 e 70 km/h (ma picchi superiori a 100 km/h sulle pedemontane e nelle valli).
A giudicare dall'insieme di questi dati, sembrerebbe che i presupposti per violente esondazioni non manchino... e la violenza delle piogge del luglio 1987 riaffiora alla mente con prepotenza.
Cosa ci ha dunque salvati da una nuova alluvione?
In primo luogo, i picchi di intensità oraria non sono certo paragonabili a quelli che si raggiungono durante i più violenti temporali estivi: ciò ha evitato i pericolosi fenomeni di colata, che trascinano a valle materiale riempiendo i corsi d'acqua e, di conseguenza, creano terreno fertile per le esondazioni.
In secondo luogo, le temperature delle alte quote hanno fatto sì che i bacini siano stati interessati da precipitazioni solide, senza caricare ulteriormente i corsi d'acqua alle basse quote.
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Il Mallero ad Arquino alle 22 di lunedì 29 ottobre 2018. |