martedì 27 giugno 2023

Piz de la Molera (m 2603) per il Fil de Tensa (cresta S)

Il nodo sul fazzoletto io e Corrado ce l'eravamo fatti l'anno scorso quando, in primavera, avevamo salito il vicino e negletto piz di Renten, da cui si ha una bella vista sulla turrita cresta S del piz de la Molera. «Quando torniamo a farla?» ci eravamo chiesti...  


Un racconto e maggiori dettagli lo si trova nella newsletter d'autunno 2023 de LMD, accessibile da qui:

http://www.lemontagnedivertenti.com/le-montagne-divertenti-multimediali/archivio-newsletter.ow?pageId=1861

sabato 24 giugno 2023

San Pio - Cavregasco per cresta

 La gita sociale di due settimane fa tra val Bodengo e val Darengo (tracciato rosa), mi ha permesso di ammirare da vicino e di soffermarmi con maggiore attenzione sulla frastagliata cresta che va dal pizzo San Pio al pizzo Cavregasco. Decido così di tornarci e, partendo da Livo a piedi, compierne la traversata. Non ho compagnia, se non quella di un vento forte da N che mi tartassa tutta la giornata e che fa ondeggiare gli steli d'erba delle alpi abbandonate, rivelando riflessi argentati: quelle praterie paiono il mantello di una qualche belva feroce.

La maggiore difficoltà è un passo di IV in discesa dalla cresta E del pizzo San Pio, cui segue una calata in doppia da 17 m. Per il resto non si supera il III grado. Percorro invece con inquietudine la ben nota (a me) cresta SO del Cavregasco, dove il novembre scorso ha perso la vita Alessandro Regazzoni, scivolando nel canalone di placconate cui ci si appoggia nella parte alta (forse a causa del ghiaccio). L'inquietudine deriva principalmente dalla strana sensazione di non esser solo, suggestione forse derivata dalla stanchezza dopo tanto scarpinare...



Leggi l'intero racconto e vedi altre immagini nella newsletter d'autunno 2023 de LMD, accessibile da qui:

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sabato 10 giugno 2023

Nell'occhio del ciclone: travolti da un tremendo temporale in val Bodengo

Doveva essere una gita facile, senza pericoli, senza patemi, solo per prendere appetito in vista di una cena tra appassionati della val Bodengo e invece, proprio sul facile, s'è scatenato l'inferno e per poco la Natura non ci spazza via!




Partiamo da Bodengo dopo abbondante spruzzata di lozione antizecche con raccomandazione di non farsi leccare dal gatto alla sera che se ingerisse il preparato potrebbe lasciarci la coda. 

La giornata è uggiosa. Corrado, scherzando, dice che lui parcheggia dall'altra parte del Boggia perché con gli stratempi che capitano da queste parti, non si sa mai che poi non riesci più a recuperare l'auto....


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martedì 14 giugno 2022

Punta Rasiva (m 2684)

La passione per la montagna mi ha portato così spesso sulle Alpi che era questione di tempo prima che ruzzolassi dall'altra parte, e precisamente in Ticino. In realtà sono stati la ricerca di un lavoro dignitoso e tracce di sangue svizzero nelle mie vene a catapultarmi in una valle che sembra replicare la Valtellina, con l'uva, le concessionarie, il dialetto, la speculazione edilizia e la cultura montanara. Purtroppo non avevo previsto che in Svizzera avrei dovuto lavorare sul serio e che nella buca delle lettere avrei ricevuto più fatture che cartoline dall'Italia. Mi sono così rifugiato nelle palestre di arrampicata in attesa di tempi migliori, resistendo alle proposte di Beno di bigiare il lavoro per andare a scalare, fino a che il bisogno di toccare roccia vera ha prevalso su tutto il resto..




Partenza: Brione (Verzasca) (792 m).
Itinerario automobilistico: da Tenero-Contra (Locarno) salire in Val Verzasca fino a Brione. Con permesso oppure in bici è possibile proseguire lungo la mulattiera che percorre la Val d'Osola fin dove finisce la strada.
Itinerario sintetico: Aghei di Là (m 994) - Cortesell (m 1353) - Lancioo (m 2100 ca) -  Punta Rasiva (m 2684) - attacco Cresta Sud (m 2377) - Lancioo (m 2100 ca) - Cortesell (m 1353) - Aghei di Là (m 994)
Tempo  previstoca. 9 ore per l’intero giro (pennichella e spuntini compresi).
Attrezzatura richiesta: corda (20 metri), casco, imbraco, cordini, fettucce, una sosta attrezzata.
Difficoltà: 3 su 6.
Dislivello in salita: circa 1700 m.
Dettagli: PD+. 


Dopo una rovinosa scorribanda sul Monte Rosa, dove i crampi mi hanno fatto decollare gli sci e ho dovuto usare il gomito come freno, squarciandolo, ho trascorso qualche settimana a desquamarmi finché ho rimesso nuova pelle. Meta successiva, dal nome non molto rincuorante, la ticinese Punta (Ab)Rasiva. Per raggiungerne le pendici ci tuffiamo in Val Verzasca risalendola fino a Brione. Dopo una ricerca a tappeto dell'accesso alla Val d'Osola finalmente l'abitato smette di mutare la forma delle vecchie contrade coi nuovi caseggiati, rivelando una mulattiera. Immaginando di muoverci sulla cartina spiegazzata tra le mani, notiamo che ci affianca una serie di ponticelli, ma ne perdiamo il conto. Così, lanciando uno sguardo alla montagna, ci accorgiamo che da un po' ci invitava a salire. "Andiamo a prendere la traccia per Cortesell!". Il pendio è molto scosceso e il fogliame rotto da alberi e pietre ben radicate. Lo scarpone destro, risentito dalla lunga assenza del calcagno, mi azzoppa con una vescica fulminante. Mi ingegno su come appoggiare la pianta del piede per rendere comodo il dolore. Il bosco ci ammaestra finché sbuchiamo su un sentiero fresco di pulizia. E' dal fondovalle che le notizie mondane affollano i pensieri, ma sveltendo il passo siamo già in prossimità dell'alpeggio, ultimo segno antropico, dove è possibile seminarle. Qua e là baite implose mostrano timidi tentativi di rappezzarsi, i prati sono ben rasati. L'ultimo focolare dispone addirittura di una cabina telefonica riadattata a cesso panoramico, e anche se la carta è finita da un pezzo lo sciacquone è in perenne attività, con lo scroscio di un ruscello. Proseguendo ributtiamo gli occhi sopra di noi. La montagna rinnova il suo invito ad abbandonare il sentiero, e sulla mappa i greti dei torrenti prendono le sembianze di scalinate. Scegliamo la vena acquifera che all'incirca seicento metri di dislivello più tardi bagna la pista diretta alla Corte di Gemogna. Quando scolliniamo nel suo ripiano, scorgendola in lontananza, facciamo un picnic frugale tra alcuni massi rivestiti di alghe secche. A stomaco pieno l'arte fotografica e sadica di Beno rinsavisce. Mi chiede di appendermi su questo granito infido, incorniciato tra cielo, Sgemogna e ricoveri sottostanti. Un nòcciolo di roccia si disfa tra le dita e cado col culo sulla visega: il servizio fotografico è finito. Dapprima stuzzicati dalla cresta sud l'intuito di Beno ci guida invece a scoprire il punto debole della cresta est. Troviamo i primi ometti, e lungo questa scala a chiocciola schiacciata sulla parete si apre il paesaggio. Lontane catene innevate si avvolgono di una coltre bluastra, e sui pendii sottostanti si sdraiano macereti dove a strappi emergono mantelli di erba spenta. L'inverno è stato severo qui. Quando finalmente gli scarponi toccano cresta vediamo che anche sull'altro versante le nevi stanno diventando pozzanghere. La fiacca non duole più e dev'essere diventata un tutt'uno con la calza troppo spessa, perfetto. Un facile saliscendi che a volte richiede l'uso delle mani e un paio di capriole ci fa rotolare in vetta. "Due gallette e siesta?" Forse l'ho soltanto immaginato ma la proposta prende forma mentre cerchiamo giacigli asciutti al riparo dal vento e apriamo i nostri sacchi traboccanti di leccornie. Acqua, due croste di formaggio, briciole non meglio identificate ed ecco che Beno già si imbozzola appena sotto cima, lesto a ronfare. Io preferisco restare ai piedi della croce, ma non per pregare: cerco disperatamente un sasso incastonato di incredibili minerali lucenti da portare alla morosa. Invece, rugando qua e là, proprio sotto la croce estraggo da un cumulo di pietre una custodia metallica tutta graffiata. Apro il gancio e ne scivolano fuori due miseri fogli di carta. Recano varie gioie di escursionisti che sono arrivati fin qua. Scrivo una frase che dimentico subito e firmo per entrambi. Riponendo il diario nel suo antro noto un grumo di ghiaccio. Sembra una miniatura di ghiacciaio ritiratosi nell'ombra, quasi per sfuggire all'ennesima estate torrida. Gli zaini hanno sputato fuori anche le giacche di piuma d'oca. Presto, cullati a sufficienza da una brezza singhiozzante, siamo in piedi, scattiamo alcune foto ricordo e decidiamo al volo di scendere dalla cresta sud. Sinceramente non ho voglia di ripercorrere la via dell'andata, dandomi l'impressione di doverla fare camminando all'indietro. Mentre ci accingiamo a divallare un ronzio che già avevamo udito si palesa a poche centinaia di metri da noi. Un velivolo leggero della Federazione Elvetica è impegnato in una serie voltastomaco di giri della morte. Memore del recente schianto avvenuto sul Monte Legnone cerco di non rendermi un bersaglio facile e incalzo Beno a proseguire, mentre non è chiaro se voglia scattare una foto alla scena o abbattere il mezzo. Scendiamo ancora infagottati nei nostri pigiama, ignari di cosa riserba la prossima gobba, quando all'improvviso la terra finisce. Beno ricorda che dal basso si intravedevano un paio di intagli poco rassicuranti. Eccone uno. Impalati su un'ultima balconata rocciosa ci affacciamo sul punto in cui la cresta è sprofondata. Il pilota ci passa accanto. Lo guardo sfrecciare beffardo, e mi chiedo se non possa suggerirci la via. Oltre il baratro si erge un gendarme dalla punta spianata, e su di esso un mucchietto di pietre. "Quello è un ometto?" "Sì, ma come ci si arriva?" e in tutta risposta scintilla qualcosa in una nicchia sottostante, conficcato sul solido ciglio. "Un chiodo!" e di lì un invisibile disarrampicata scivola su scaglie nude fino a poggiare su di un masso volante. Questo sembra proprio far da ponte col gendarme. Annodato il buon vecchio mezzo barcaiolo assicuro il leggermente meno vecchio Beno mentre vive il suo momento d'aviatore. Ogni suono si assottiglia fino a scomparire. Ogni movimento è studiato a fondo. Il tempo si è giusto fermato quando esclama: "Dammi corda, sono atterrato!" Balza agilmente sul gendarme di fronte e lo setaccia in cerca di altra ferraglia o fettucce imbevute di maltempo che passati alpinisti potrebbero aver lasciato. Non c'è niente. Soltanto quell'ometto solitario che ha trovato la nostra compagnia e non vuole mollarci. Dall'alto il torcicollo mi costringe a guardare sempre nello stesso punto, a lato della cresta, dove filtra del vuoto fatto di luce e soffice erba. Sarebbe bello se fosse l'uscita, con tanto di cartello e freccia. Intanto Beno ha deciso di buttarsi nella trappola appena sorvolata. Infatti all'altra estremità dell'apertura spunta una piramide di detriti che fanno da tappo. Ho sempre partecipato a calate il più possibile dritte, a piombo, pena una ramanzina dello stesso Beno. Così questa discesa a spirale frulla in un secondo tutto quello che so della montagna ma non cambia di una virgola quello che penso del compagno di gita. E un dubbio sorge spontaneo: sono anch'io un delinquente? Tengo saldamente la corda, la cedo con parsimonia alla voce che riecheggia, e aspetto. "Ci sono due cunicoli qua sotto, provo a vedere se ci si passa!" Rimango stordito: "Cosa hai detto?" "Dammi corda che mi infilo!" Con la pazienza di un pescatore che manda a spasso la sua esca mi concentro sul robusto intreccio di fili e fibre, accompagnandolo in modo che non si laceri, liberandolo che non si riannodi, facendo lavorare il nodo affinché frizioni bene. Tornato a portata d'orecchio Beno mi comunica che posso raggiungerlo così facciamo il punto della situazione. Allestisco la discesa e comincio a camminare all'indietro, proprio quello che volevo evitare! Dopotutto non è male fare da esca. Con pinze e rovesci, spalmando le punte degli scarponi, mi diverto a raggiungere il macigno sospeso, e visto che nelle situazioni peggiori va sempre di moda, mi faccio immortalare mentre con le dita faccio una v dai molteplici significati. Quindi seguo la traiettoria di Beno, giù fino alla base della fenditura. Non si sa dove mettere i piedi in questo posto angusto dove sarebbe meglio non mettere piede. Il punto della situazione è che non siamo speleologi, e che Beno crede di potersi spremere in uno spiraglio largo quanto un'anguria. Mentre prova ad allargarlo a suon di pedate lo prego di imboccare l'altra strada prima che il pavimento crolli. E' una grotta stretta e gelida. Ci passa prima Beno, che di nuovo scompare chissà dove. Lo assicuro nell'unica maniera possibile, a mano. E la mano di chi mi depositerà a mia volta? Lo domando a Beno alle prese con una delicata disarrampicata. "Metto dentro qualcosa, dopo vedi!" Calmo i bollori da ammutinamento e ritorno a fare l'alpinista. Finalmente dopo un tempo incalcolabile sento la corda allentarsi, è arrivato. Ora tocca agli zaini. Affranco il primo con un otto e lo spingo tra le pareti finché sbuca, quindi faccio partire la teleferica. Subito viene bloccata da una cengia e a strattoni devo riavviarla fino a sentire di nuovo la tensione della corda. "Primo pacco arrivato!" Stessa operazione per il secondo. Resta ancora un carico, il sottoscritto. Restandovi legato butto giù la matassa di corda restante. Mi divincolo grattandomi la schiena nello stretto passaggio, grato di non essere claustrofobico, fino a sbucare col muso all'aria aperta. In pratica la montagna mi sta procreando ma il cordone ombelicale è uscito prima di me. Una manciata di metri da scalare. A gattoni, e spostando un arto alla volta, raggiungo il rinvio montato da Beno poco sotto e con un salto raggiungo la terra ferma. Dopo aver letto l'orologio ci guardiamo straniti essendo trascorsa un'ora da quando abbiamo tirato fuori il cordame: un parto per davvero! Una blanda merenda ci rimette in marcia giù per il vallone, intenzionati a calpestare la traccia di salita. Puntiamo ad alcune macchie di arbusti dove una linea impercettibile fa presagire un sentiero. Per qualche illusione ottica o semplicemente per pura coincidenza non si trova lì ma poco distante. La cartina stropicciata ci informa che è un tratto non battuto in mattinata. E allora torniamo a urbanizzarci lentamente, facendo tesoro dell'esperienza che lasciamo alle spalle. Personalmente in tasca mi tintinna una manciata di minuscole pietre tempestate di micca. Sono un delinquente anch'io.

Poncione Piancascia


Carlo incengiato, sullo sfondo l'alpe Gemogna e lo Sgemögna

Rampa ripida sulla normale al Rasiva

Salendo al Rasiva

Beno, insensibile alla fatica, sorride al Rasiva

Cresta Sgemögna

Verso Poncione della Marcia

Verso Rasiva

Verso Rasiva, cresta E

Monte Zucchero

In vetta

Arriva l'aviazione svizzera

Cresta E del Rasiva

Scendendo la cresta S

Disarrampicando nella crepa a m 2550

 Tut a post sopra la crepa

Sotto il passaggio chiave della cresta S

Di ritorno a Cortesell

La cabina telefonica riadattata a cesso panoramico




venerdì 3 settembre 2021

Piz Terri e anello della Greina

Il piz Terri dal laghet della Greina.
 

3 settembre 2021. Qualche foto e il video che ho montato sullo splendido anello escursionistico con partenza e arrivo alla diga del Luzzone nella valle di Blenio (Svizzera - Ticino). La gita che abbiamo compiuto, lunga oltre 30 km, attraversa il piano della Greina, coi suoi fenomeni carsici, tra cui il famoso arco di roccia alto una decina di metri e lungo una dozzina. Punto più alto dell'escursione è il piz Terri (m 3149), poggio panoramico sulle vette di Ticino e dei Grigioni. 

Col breve filmato che trovate in coda a questo post inauguriamo il nuovo canale video de LMD: https://www.dailymotion.com/lemontagnedivertenti


Il nostro itinerario, che richiede 12 ore di marcia - © swisstopo.ch



Il lago del Luzzone da Garzott.

Il lago del Luzzone all'alba, con le sembianze di un fiordo norvegese.

Il torrone di Nav e la punta di val Scarandra.

Il torrente della valle di Güida.

Salendo al passo di Güida.

In vetta al piz Terri.


Il piano della Greina.


Il piano della Greina.


Eriofori a perdita d'occhio.


Sull'arco di calcare della Greina.


Riprese e montaggio: Beno (www.lemontagnedivertenti.com)
Strumentazione: DJI mini 2, Pentax k1 con Pentax con 24-70 mm f/2.8, Ricoh GRIII , Pentax KP con Sigma 17/70 mm f/2.8-4
Musica: Il cammino della montagna (brano scritto da Ilario Longhi e Araldyca - registrato presso Art&Music Factory).

sabato 31 ottobre 2020

Cima d'Aquila (m 3127)

La cima d'Aquila e i nostri tracciati di salita e di discesa visti dall'alpe Scaradra di sotto.


Parrebbe che lunedì sia caduta un sacco di neve in alto: 50-60 cm a m 2400 sulle Retiche e sulle Lepontine, 70 cm sulle Orobie. Sulle Orobie ne è rimasta tanta di certo, la si vede. Il Roby Ganassa è stato a sciare in val Gerola. 
Sulle Retiche e sulle Lepontine però ho il presentimento che il sole di questa settimana l'abbia già giustiziata, per cui decido di lasciare sci e ciaspole a casa per non rigarli e partire con Gioia alla scoperta della val Camadra (comune di Blenio - Ticino).  
Ma di questa decisione ce ne pentiremo sempre più durante l'ascesa alla panoramicissima cima d'Aquila, vetta a m 3127 che ha ricevuto ufficialmente nome solo nel 2017, come riportato nel libro di vetta custodito sul montante della luccicante croce d'acciaio che ne addobba la sommità.

Base ©swisstopo.ch

Dall'autostrada Svizzera che sale verso il Gottardo da Lugano/Bellinzona, ci stacchiamo a Biasca, quindi risaliamo la lunga valle di Blenio e, poco dopo Olivone, prendiamo a dx la rotabile che, infilandosi in una galleria, accede alla sospesa val Camadra. Alle case di Aquilesco iniziano tra i prati i tornanti per il lago di Luzzone (m 1606), bacino artificiale generato da un'alta diga ad arco. Ne percorriamo in auto l'aereo coronamento per infilarci in uno stretto tunnel che ci deposita sulla sua sponda meridionale. Uno sterrato costeggia il lago tra larici e abeti. Lasciamo la macchina nel piccolo spiazzo in corrispondenza di un enorme larice. Qui cominciamo a camminare sul sentiero per la val Scaradra. Dei cartelli danno indicazioni per l'alpe omonima e per il passo Soredra, nostro iniziale obbiettivo: vorremmo infatti da quel valico ammirare lo Zervreillahorn, un modesto m 2897 che pare aver rubato le forme al Cervino e che per esser avvicinato con breve escursione richiederebbe un viaggio in auto esageratamente lungo.
Inizialmente molto ripida, la pendenza cala quando superiamo la soglia sospesa della val Scaradra. Ai m 1800 dell'alpe Scaradra di Sotto già inizia la neve. Siamo in pieno nord, ma non me l'aspettavo. Il secondo gradone della valle lo guadagniamo per una ripida rampa che schiva i salti rocciosi. 35 cm di neve fresca.
Una buon'anima ha battuto la traccia per noi. Il sole ci bacia ai m 2180 dell'alpe Scaradra, disseminata di grandi massi. Il rifugio si trova poco a N su un balcone naturale. A S, come fortificazioni, i resti dell'antica morena del Ghiacciaio di Sorda.
Abbiamo già infilato le ghette, ma la neve è alta e ci bagna i pantaloni. Il cielo è impreziosito dai cirri velocemente trasportati e ricombinati dal vento.
Davanti a noi, presenza fissa dall'alpe Scaradra di Sotto, è una cima tozzamente conica, di cui non riesco a valutare né altezza, né distanza. 
Sul nevoso cordolo della morena del ghiacciaio seguiamo le orme fino a m 2500, poi capiamo che il battispista che ci ha risparmiato tanta fatica fin qui si deve essere arreso ai 50 cm di neve fresca e deve aver battuto ritirata.
A sx, non lontano, è il passo di Soreda. Però a dx c'è sia quella bella cima conica, che la possente barriera rocciosa del pizzo Cassinello. Così rinneghiamo le nostre intenzioni delle 8 di mattina e puntiamo più in alto.
Affondando fin sopra il ginocchio alle 12:15 siamo a pranzo del centro del ghiacciaio, accarezzati dal sole che ci fa tornare il sangue alle dita dei piedi semi congelate.
La parete del pizzo Cassinello da qui non offre punti deboli, così puntiamo a dx, dove quella cima conica, senza nome sulla mappa in nostro possesso, merita una visita anche solo per l'estetica. Poi chissà che panorama.
Attraversato il ghiacciaio, c'inerpichiamo sulla sempre più ripida, fredda e ombrosa spalla N (fino a 35°).
Qualche metro un po' gelato mina la tranquillità di Gioia, che senza ramponi preferisce legarsi con la corda per gli ultimi passi.
All'improvviso il sole in faccia e una croce d'acciaio che sberluccica addobbata con candelotti di ghiaccio ci danno il benvenuto sulla vetta.
Un tondo di rame addobbato in cui a rilievo è un aquila e la scritta 2017, spiegano il suo nome: come leggiamo nel libro di vetta, infatti, solo nel 2017 le è stato concesso un nome ufficiale, cima d'Aquila appunto, come il rapace, ma anche come il paese a m 774 in val di Blenio.
Dalla cima d'Aquila (m 3127, ore 5 - anche se noi nuotando nella neve ci abbiamo messo qualcosa di più) il panorama è sterminato: dal Monviso, al Rosa, dal Tödi al Tambò, al Bernina e al Roseg, fino alla vicina Adula, dove dai m 3400 della vetta tre sciatori stanno disegnando serpentine nella neve polverosa riempiendoci d'invidia. Ah, lo Zervreilahorn? Lo si vede anche da qui, ma essendo che cime più elevate lo circondano fa una ben più magra figura rispetto a come si presenta nelle fotografie scattate da N.
Per la discesa sfruttiamo la cresta E, meno ripida, più soleggiata e panoramica. Poi ghiacciaio e la traccia dell'andata.
Cosa insolita per noi, siamo di ritorno all'auto che non è ancora buio. Nuvole infuocate colorano il lago di Luzzone e accentuano l'arancione dei larici che il tramonto sta spogliando degli aghi per consegnarli all'inverno.

A m 1900. A sx la punta di val Scaradra e il Torrione di Nav.

Tra luce ed ombra.

A m 2100. Sullo sfondo uno spicchio del lago di Luzzone.


Sul ghiacciaio di Sorda 60 cm di neve fresca.

In vetta alla cima d'Aquila.

Panorama dalla cima d'Aquila.

La cima d'Aquila dal ghiacciaio di Sorda.

Le ultime luci in val Scaradra.

Ma quanto è grande il tronco di questo larice?

Tramonto da cartolina sul lago di Luzzone.