venerdì 1 novembre 2013

Pizzo Cérec (m 2534)


In vetta al pizzo Medù, sulla cresta tra la Motta di Scais e il pizzo Cerec.

Dopo quasi 3 settimane di astinenza di montagna, un po' a causa della vendemmia, ma specialmente a causa del cattivo tempo, per venerdì 1 novembre, finalmente, si prospetta un giorno di sole e senza impegni.
Rientro a casa alle 4:30 da una serata a Brescia, dove Gioia presentava il documentario che ha realizzato assieme alla IULM sui siti longobardi in Italia vincendo con il filmato il primo premio alla Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico di Rovereto.
Preparo lo zaino e mi metto a letto alle 5 per tirarmi in piedi alle 6.
Cielo terso e tanta voglia di camminare  così tanta che mentre scendo a Sondrio in auto vengo mangiato dall'indecisione tra mille itinerari. Vorrei addirittura andare a fare una via con la neve fresca, ma per fortuna prevale il buonsenso: è tutto bagnato dopo 3 settimane di pioggia, per cui è bene evitare cose rognose.
Scelgo di salire il pizzo Ceréc, tra la val Vedello e la val Zapello, volendomi gustare i colori autunnali che le piogge insistenti stanno velocemente lavando via dai versanti.

Il tracciato è semplice: da Agneda (m 1228), salgo alla diga di Scais, ne costeggio l'argine meridionale, poi entro in val Vedello e seguo la pista delle vecchie miniere di uranio fino al tornante sopra alla baita Cornascio. Lì parte il sentiero sulla sx che porta alla baita Grasso (m 1742).
C'è una splendida vista sul lago di Scais, circondata da larici e abeti che mischiano il giallo e il verde rallegrando le sponde.
Passo accanto alle baite di Zoc, quindi per tracce punto a SO tra i pascoli scivolosi e bagnati. Arriva il sole che mi cuoce al vapore scaldando il terreno colmo d'acqua. Temperatura esagerata per essere a Novembre!
Sulla Motta di Scais percore e cavalli brucano i ripidi pascoli, mentre io mi introduco nella circo petroso ai piedi del pizzo Medù, una bizzarra montagna con la cima arrotondata che si eleva, senza peraltro troppa convinzione, dalla cresta meridionale della Motta di Scais.
Sto sulla sx orografica del solco del torrente fino all'ingresso della conca superiore, dove mi saluta il laghetto di Zoc, affiancato da alcune pozze mezze gelate in cui si trovano nette geometrie di acqua liquida che riflettono i panorami circostanti. Dietro di me dal Rodes al Redorta, le alte cime delle Orobie si mostrano imbiancate.
Mi addormento sulle rive del lago in attesa che il sole faccia la sa comparsa anche qui... e mi sveglio tutto inumidito che è mezzogiorno passato!
Riparto in direzione del Medù. Una traccia taglia in diagonale il suo fianco orientale, passando tra la bancata di rocce appena sotto la vetta, e un secondo salto che invece porta alle pietraie a S del laghetto. Arrivo così alla rampa di erba e detrito che porta in cresta a pochi metri dalla vetta.
Il sole è già stato offuscato dalle nubi e la luce si è fatta fioca. Continuo sulla cresta di rocce ed erba verso S. C'è qualche passo di arrampicata (II), fino all'impennata rocciosa che regala l'anticima. Qui la roccia lichenosa, bagnata e gelata mi costringe, a essere prudente.
Sto quasi sempre sul filo di cresta per godere del panorama migliore. Vinta una sella caratterizzata da grosse spaccature che precipitano nei meandri della montagna, mi siedo accanto all'ometto di vetta del pizzo Cérec (m 2534, ore 4), che in dialetto vuol dire "chirichetto".
Per la discesa prendo la cresta S che, con varie asperità, si dirige verso il passo del Forcellino. Il tracciato non è difficile, ma l'erba bagnata, le rocce friabili e la forte esposizione mi inquietano un po'. I piedi scivolano nonostante gli scarponi. Tengo i bastoncini sempre ben piantati a terra. Una scivolata sarebbe fatale e disonorevole.
A seconda della convenienza, aggiro o scavalco le varie elevazioni finché, prima dell'ultima (m 2365) massiccia prominenza rocciosa, scendo a sx per roccioni levigati e liste d'erba. Dopo poco riprendo la dorsale che limita la valle del passo del Forcellino. Provo a scendere di lì, ma non è proprio elementare perchè ci sono alcuni salti rocciosi che mi obbligano a zigzagare un po'. Arrivo a dei ruderi di baite a circa m 1900. Come un fesso decido di puntare dritto al fondovalle per la dorsale che digrada direttamente dal poggio sotto i ruderi, ma maross e salti di roccia mi rendono la vita impossibile. Ci perdo 3 ore facendo tarzan con gli ontani mentre i piedi mi scivolano sulle rocce lubriche.
Non so come, ma arrivo intero sul fondo della val Zapello all'imbrunire. Altri cavalli sono intenti al pascolo. Il lago fantasma è gonfio d'acque e di un plumbeo blu in cui si specchiano radi alberi e i nuvoloni che hanno da qualche ora conquistato il cielo.
Vien notte che sono alla centrale di Zapello. M'intrufolo nelle gallerie del trenino, fortunatamente illuminate, e cammino a passo svelto per paura che le luci accese siano la premessa al trenino che circola, e invece arrivo la Redoch (stazione d'arrivo del carrello che sale dalla centrale di Vedello) senza incontrare nessuno. Di lì in avanti è buii, per cui accendo il frontalino. Quando vedo Agneda sotto di me, prendo la traccia di sentiero in corrispondenza del cartello di divieto d'accesso alle gallerie e velocemente arrivo alla piana e alla macchina.
Tagliando per il tracciato del trenino ho risparmiato circa 40 minuti rispetto alla via consentita, quella che scenda ad Ambria, quindi a Vedello e risale a Agneda lungo la carrozzabile.

Rodes e lago di Scais. 
Scorcio autunnale sul lago di Scais.
La baita Grasso e il pizzo Gro.

La rugiada all'alba.
Il pizzo Medù nelle geometrie di una pozza gelata.
La diga di Scais e, al centro in alto, l'ex Capanna Guicciardi.
Il pizzo Scotes riflesso nel lago di Zoc.
Il laghetto di Zoc, il lago di Scais e, in alto a dx, i pascoli dell'alpe Canonno.


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