domenica 14 settembre 2014

Monte Confinale (m 3370) e cima della Manzina (m 3318)

Non è detto che per salire due cime alte più di m 3300 si debba essere per forza degli alpinisti: in Alta Valtellina, infatti, si trovano il monte Confinale e la cima della Manzina, montagne alte e panoramiche che possono essere scalate anche da semplici escursionisti e senza particolare allenamento. Il percorso, abbellito dalla perla del lago della Manzina, è dei più panoramici con vista sia sui colossi del bacino del Forni che, nel tratto superiore, sulla testata della val Zebrù.
Nella sella tra le due cime si trova il bivacco Del Piero, 9 letti e gas, luogo magico per gli amanti delle foto notturne e dei bei panorami.
Nonostante questo non si trova in questa gita l'affollamento che contraddistingue invece il vicino bacino dei Forni, ma isolamento e intimità.

Vista dal passo di Solda.

Partenza: Campec (m 2061).
Itinerario automobilistico: Bormio - Santa Caterina - Campec (m 2061) [strada per i Forni].
Itinerario sintetico: Campec (m 2061) - Pradaccio di Sotto (m 2182) - Pradaccio di Sopra (m 2302) - strada baite dell’Ables - laghetto di Prealda (m 2677) - lago della Manzina (m 2785) - bivacco del Piero (m 3166) - monte Confinale (m 3370) - cima della Manzina (m 3318) - Campec (m 2061).
Tempo per l'intero giro: 8 ore.
Attrezzatura richiesta: da escursionismo nel periodo estivo, utili gli scarponi perchè si incontrano liste di neve. 
Difficoltà: 2 su 6.
Dislivello in salita: 1450 m ca.
Dettagli: EE. Si tratta di montagne che superano i m 3000, ma raggiunte da tracce e sentieri che ne rendono l'ascesa del tutto elementare.
Carte: Foglio (9° III N.O.), Il Gran Zebrù, Istituto Geografico Militare 1:25000;
Ortles – Cevedale Kompass 1:50000;
Alta Valtellina, Kompass 1: 50000;
Valfurva, Kompass 1:40000;
Valfurva, Gavia, Parco Nazionale dello Stelvio, Comunità Montana Alta Valtellina 1:25000.


Partiamo da Campec (m 2061), dov'è il rifugio-ristoro Stella Alpina e possibilità di parcheggio. 
Seguiamo dapprima l'erta gippabile per Pradaccio (m 2182), quindi, oltre Pradaccio di Sopra (m 2302), ci affidiamo per un tratto (ovest, sx) alla rotabile/ciclabile che unisce le baite dell'Ables a quelle dei Forni. Raggiunto il solco della val Manzina, prendiamo il sentiero (nord, dx) che affianca il torrente. Incontriamo i resti di alcune vecchie costruzioni militari risalenti alla Prima Guerra Mondiale, quando la linea di difesa italiana passava proprio per le montagne dei Forni. Numerose risvolte disegnano il dosso che caratterizza la sinistra orografica della valletta. Dove le pendenze si addolciscono, sulla destra appare lo striminzito laghetto stagionale di Prealda (m 2677). Affrontiamo ora il filo di una antica morena, oltre cui il sentiero spiana e attraversa la pietraia che anticipa la conca ai piedi del Sasso della Manzina, dov'è il lago della Manzina (m 2785, ore 2).

In epoca moderna sono il silenzio e la pace a regnare al lago della Manzina, ma un racconto di Antonio Boscacci (riportiamo integralmente il suo racconto contenuto ne LMD, n.16 - Primavera 2011) è la prova che un tempo vi fosse uno spaventoso mostro, simile a un drago, temuto dai pastori a tal punto da impedire alle mandrie di salire oltre al lago di Prealda:
Si racconta che tanto tempo fa, quando gli uomini erano molti meno di adesso, i pascoli erano pascoli e le pecore, pecore … beh, quando succedeva tutto questo, il lago della Manzina, non aveva ancora questo nome e la valle nemmeno.
A quei tempi si diceva che dentro il lago, come in tutti i laghi di un certo prestigio, abitasse un mostro.
Per questo la zona era ritenuta una delle più pericolose dell’intera val Furva e i pochi che vi si avventuravano, soprattutto pastori di pecore, cercavano in tutti i modi di impedire ai loro animali di salire oltre il piccolo lago Prealda (che a quei tempi non aveva ovviamente questo nome).
Nessuno aveva mai visto il mostro, ma tutti ne parlavano con terrore. C’era chi lo descriveva con due teste e una lunga coda irta di squame. Chi diceva che avesse tre teste, ognuna con due occhi orribili e uno sguardo capace di incantare chiunque vi fosse incappato. Ma la maggior parte degli abitanti della val Furva, seguendo in questo il parroco di Sant’Antonio, don Simone Cola, diceva che quel mostro non fosse altro che il diavolo in persona, e che lì, proprio nel lago della Manzina, ci fosse una delle entrate all’Inferno. Questo spiegava come mai, di quando in quando, il lago ribollisse come se un gigantesco fuoco ne scaldasse le acque e un fortissimo odore di zolfo si spandesse giù per la valle della Manzina fino a Pradaccio.
Era stato proprio una certa Brigida Compagnoni di Pradaccio a confermare la tesi del luogo infernale, raccontando al don Simone quello che le era capitato al Sasso Prealda.
Era andata a pascolare le sue pecore poco sopra il dosso delle Piatte in una giornata fredda di nebbia. Così, seguendo i suoi animali che pascolavano senza una meta precisa alla ricerca dell’erba nuova, era finita senza rendersene conto nella valle della Manzina. Del resto la nebbia si estendeva così fitta da ogni parte, coprendo ogni cosa che era impossibile capire dove ci si trovasse.
Poi però, dopo alcune ore di quella cappa grigia, veloce come era arrivata, la nebbia se ne andò e il cielo fu abbagliato da uno splendido sole.
Intirizzita per il freddo e l’umidità, Brigida Compagnoni si sedette appoggiando la schiena a un sasso e, lasciandosi andare a quel piacevole calore, si addormentò.
Fu svegliata da un urlo disperato e solo allora si ricordò del lago, del mostro che vi abitava e delle molte storie che le avevano raccontato.
Dimenticò le pecore e si mise a correre verso il basso senza mai voltarsi. Cadendo e rialzandosi una decina di volte, ripassò per il dosso delle Piatte, scese lungo la valletta della Foppa e si fermò solo quando non riuscì più a respirare.
Aveva perso gli zoccoli, si era scorticata le gambe e le braccia e doveva avere un taglio in testa, perché gli faceva male e gli usciva del sangue. Per fortuna le sue pecore, eccitate da quella corsa sfrenata, erano scese con lei. In ogni caso non sarebbe mai risalita a riprenderle, per niente al mondo. Sui pascoli del dosso delle Piatte e del Sasso Prealda non avrebbe mai più rimesso piede in vita sua.
Invece.
Brigida Compagnoni crebbe, diventò una bella ragazza e, come succede spesso, dimenticò il proposito di non ritornare in quei luoghi.
Era un martedì, il 23 luglio, Santa Brigida, il giorno del suo onomastico, quando uscì al mattino verso le otto dalla sua baita al Pradaccio e si incamminò verso la Ganda. Poi, senza pensarci, arrivò sul dosso delle Piatte e entrò nella valle della Manzina.
Era una giornata incantevole.
A parte le quattro piccole nuvole che incoronavano il pizzo Tresero, tutto il resto del cielo era uno specchio.
Girovagando qua e là alla ricerca delle erbe più tenere e profumate, le pecore si diressero verso il lago. 
Tutto era tranquillo.
Le acque, appena mosse da un filo di vento, creavano delle piccole onde che andavano e venivano dalle rive, con un moto lento e continuo.
Adagio adagio Brigida si liberò dalla paura e si sedette sulla sponda. Come aveva fatto tante volte quando era bambina, iniziò a giocare lanciando nel lago piccoli sassi. Le pecore pascolavano intorno a lei, muovendosi su un tappeto di piccoli fiori bianchi e azzurri.
Poi...
Improvvisamente le acque del lago esplosero e con uno sgangherato e assordante urlo, comparve il mostro. Non aveva due teste e nemmeno tre, ma quell’unica che possedeva era enorme e spaventosa, con una gigantesca cresta ossea che gli scendeva fin sulla schiena. Dai lati della sua bocca smisurata uscivano due grandi fiamme che salivano dietro gli occhi, dando alla sua faccia un aspetto ancora più orribile.
Il mostro la fissò e, proprio quando il terrore avrebbe dovuto impadronirsi del suo corpo e paralizzarla … lei si mise a ridere.
Gli occhi del mostro erano come quelli dell’agnellino che le era nato due giorni prima, dolcissimi e pieni di tenerezza.
Colpito da quella risposta inattesa, il mostro cessò di fiammeggiare e le si avvicinò.
Lei stese la mano, gli accarezzò la testa e gli baciò la punta del naso.
Fatto rivivere da quelle carezze e da quel bacio che aspettava da secoli, l’orribile mostro si trasformò in un bellissimo principe.

Pradaccio di Sotto.
Pradaccio di Sotto e il monte Sobretta.
I tetti di Pradaccio di Sopra e il monte Sobretta.
Pecora famelica nei pressi del lago della Manzina.
Il lago della Manzina, il pizzo Tresero e le altre 13 cime che corrono fino al San Matteo.
Il lago della Manzina fotografato con Sigma DP2 Merril.
Il lago della Manzina dall'alto e le 13 cime quasi al completo.
Da quanto sono domestiche le pecore, comunque, capiamo che il mostro non c'è più.
Proseguiamo la nostra escursione verso ONO seguendo gli ometti che individuano una traccia pianeggiante che si inoltra in direzione della sommità triangolare del monte Confinale.
Passiamo alla base dei pendii sassosi della cima della Manzina e entriamo nella vallecola che porta nell'anfiteatro compreso tra il monte Confinale a sx e la cima della Manzina a dx. 
Solo quando arriviamo in vista della sella tra queste due vette, fa capolino al centro l'arancione bivacco Del Piero. Non occorre un genio ora per individuare la via giusta, che si snoda nella mezzeria della valle tra ganda e liste nevose fino alla ripida rampa conclusiva per la forcella del monte Confinale (m 3166).
Un tempo ubicato sulle roccette appena a dx del valico (si vedono ancora i segni di quella installazione), ora è posto proprio nel centro della sella è bivacco Del Piero (m 3166, ore 1:45 dal lago della Manzina). Il bivacco è dedicato a Giampaolo Del Piero, giovane alpinista milanese, morto appena diciottenne (era studente di liceo scientifico) precipitando assieme al compagno di cordata dalla cresta E della punta Kennedy. Era il 25 agosto 1972 e all'interno del bivacco troviamo una sua foto che risale solo a pochi giorni prima della tragedia.
Dal bivacco Del Piero prendiamo a O la larga dorsale che ci porta facilmente per sassi instabili e roccette sulla vetta del monte Confinale (m 3370, ore 0:40), tra le più panoramiche dell'alta Valtellina. Man mano ci avviciniamo alla cima il panorama si apre sulla testata della val Zebrù con grandiosa vista sui colossi di Thurwieser, Ortles, Piccolo e Gran Zebrù.
Sul versante N della sella si estende il ghiacciaio di Forà, ancora foderato di neve fresca e che forse quest'anno vedrà arrestarsi l'inesorabile ritiro che lo ha portato a perdere buona parte della sua superficie.
Le montagne maggiori sono tutte appiccicate di neve. Il vento è un po' fastidioso ma per nulla turba la felicità, dopo un'estate davvero pessima, di raggiungere una cima baciati dal sole!
Gioia si accascia accanto alla croce posta sull'anticima e nemmeno vuole fare gli ultimo 30 metri per il punto culminante, da cui si vedono Bormio e l'azzurro lago di Confinale.
Certo non è a terra per la troppa fatica, in quanto questa gita è davvero semplice e rilassante, ma per problemi di stomaco per l'abbuffata della sera prima.
Tornati al passo, la metto a dormire nel bivacco che offre 9 comodi letti e coperte.
In mezz'ora, percorrendo la cresta rossiccia opposta a quella per il Confinale, tocco la rocciosa cima della Manzina (m 3318, ore 1 dal monte Confinale), da cui il panorama è simile, con forse maggior dettaglio sul monte dei Forni e sui passi dello Zebrù.
Rientrato al bivacco trovo Gioia rigenerata da un'oretta di sonno e ci lasciamo scivolare di nuovo verso Campec (m 2061, ore 3) accompagnati da un cielo sempre più grigio.
È ancora presto. Mi capita raramente di andare in montagna e spenderci solo mezza giornata, ma questa sera abbiamo un invito a cena in terra di Carona a casa di Carlo e ben si sa che sulla SS38 la domenica è meglio giocare di anticipo perchè l'attraversamento di Tirano è una vera avventura.
Per prepararci alla lunga trasferta in auto, che ogni volta mi preoccupa più dei precipizi, ci concediamo una sosta alla Baita del Gelato a San Nicolò Valfurva. La consiglio a tutti: me l'ha fatta conoscere Giorgio di rientro dal monte Zebrù e con 4 euro si mangiano ottime coppe di frutta e gelato. Oggi assaggiamo quella yoghurt, miele e frutta che rimette a posto lo stomaco a Gioia e mi aumenta l'appetito a dismisura.

La traccia dal lago della Manzina al monte Confinale.
Ai piedi della sella del Confinale. Si vede a sx la cima del Confinale e al centro il bivacco Del Piero.
Il bivacco Del Piero. 

Il Gran Zebrù e sulla sx la Suldengrat.
In salita al Confinale. Sullo sfondo la cima della Manzina.
La testata della val Zebrù. Da sx: punta Thurwieser, Ortles, monte Zebrù, Gran Zebrù.
Il lago del Confinale.
Bormio dal monte Confinale.
Il bivacco Del Piero dal monte Confinale.
L'albergo dei Forni da Pradaccio.  
Alla Moia di Carona si festeggia con la torta "Le Montagne Divertenti" preparata da Valentina!




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