Il Cervino, versante S con la via normale italiana. Il rifugio è Duca degli Abruzzi.. non di Aosta. Chiedo perdono. |
La traversata del Cervino vista pochi giorni fa dalla Dent Blanche. |
Così, giusto per inserire un po' di etica alpinistica alla nostra esperienza decidiamo di approcciare la montagna senza l'uso di funivie e rifugi: saliremo per la cresta del Leone, attaccandoci anche (non era inizialmente nei nostri piani) la Testa del Leone, e scenderemo per quella dell'Hörnli. Il tutto con partenza e ritorno a piedi a Cervinia e in giornata. È un giro lunghissimo (ci ha preso, a causa anche di sfighe meteorologiche, 26 ore filate!), specialmente alla luce del fatto che sul Cervino non sono mai stato e non mi sono molto documentato su dove è meglio passare. Non si tratta solo di una mia negligenza: per gli alpinisti moderni la traversata è imprescindibile dalle funivie e/o dall'utilizzo di due auto. Pertanto le informazioni su come chiudere l'anello a piedi scarseggiano e anche noi dovremo improvvisare.
Partenza: Cervinia (m 2006).
Itinerario automobilistico: all'altezza di Chatillon si abbandona la A5 della Valle d'Aosta e si prende la SS406 verso N fino al suo termine, cioè Cervinia. Vi è possibilità di parcheggio gratuito nel piazzale della funivia per Plain Maison.
Itinerario automobilistico: all'altezza di Chatillon si abbandona la A5 della Valle d'Aosta e si prende la SS406 verso N fino al suo termine, cioè Cervinia. Vi è possibilità di parcheggio gratuito nel piazzale della funivia per Plain Maison.
Itinerario sintetico: Cervinia (m 2006) - rifugio Duca degli Abruzzi all'Oriondé (m 2802) - croce Carrel - Testa del Leone (m 3713) - colle del Leone (m 3578) - rifugio Carrel (m 3835) - Pic Tyndall (m 4239) - vetta italiana del Cervino (m 4477) - vetta svizzera del Cervino (m 4478) - bivacco Solvay (m 4003) - Hörnlihütte (m 3262) - stazione degli impianti Hirli (m 2775) - ponte a m 2677 - Furggsee (m 2872) - Testa Grigia (m 3479) - Theodulpass (m 3269) - Cervinia (2006).
Tempo richiesto: circa 26 ore. Quelle che abbiamo impiegato noi, pur con un errore di percorso che ce ne ha fatte buttare via due, ma che abbiamo recuperando aumentando l'andatura.
Attrezzatura richiesta: scarponi, ramponi, piccozza, casco, 3 friend di media misura, cordini, corda (60 m), 4-5 rinvii, discensore, una scorta di acqua di 3 litri a testa, guanti robusti per canaponi e catene.
Difficoltà: 5.5 su 6.
Dislivello in salita: oltre 3500 metri.
Dettagli: D+. Benché le due via normali siano attrezzate ed in arrampicata libera non offrano passaggi superiori al III grado, l'impegno muscolare è notevole, come anche la lunghezza complessiva delle creste e l'esposizione. Bisogna prestare particolare attenzione al possibile vetrato e scongiurare i temporali. L'affollamento delle creste è notevole e questo potrebbe causare pericolosi rallentamenti. Qualche crepaccio sul Theodulgletscher.
Di relazioni sul Cervino ne è zeppa l'aria, tante così precise da essere pedanti nel voler dare un nome e una descrizione ad ogni passaggio. Vi racconterò perciò solo la nostra giornata, durata 26 ore di marcia, in cui abbiamo salito la montagna più ambita delle Alpi partendo e tornando a piedi a Cervinia. Perdonatemi tutti gli errori di battitura, ma sto confezionando il nuovo numero de LMD e non ho il tempo di rileggere il testo.
Il Cervino, ovviamente, è il simbolo della Valtournenche. Lo testimonia la sua riproduzione al centro della rotonda allo sbocco della valle. Lo spiega l'impressionante scorcio che si ha appena si entra nella valle, quando l'immane picco dà il benvenuto ai viandanti.
Alle 18 siamo a Cervinia. Parcheggiamo nel piazzale della funivia e camperizziamo l'auto, analogamente a tre ragazzi spagnoli che si sono messi a 10 metri da noi.
Il paese è semivuoto. Ed è il 31 luglio. Dovrebbe essere alta stagione.
Mi avevano descritto l'edificazione selvaggia e il detrimento ambientale prodotto dall'abominio edilizio perpetrato in questo antico paradiso alpino. È tutto vero. Orrendamente vero. Ma lassù c'è la vetta del Cervino che gioca a nascondino con le nuvole e monopolizza tutto gli sguardi scostandoli da palazzi e altre brutture. Lui, il Cervino, che di tali brutture è sia l'involontaria causa che l'antidoto.
Du spaghi alla carbonara in un ristorante di cui siamo gli unici avventori e alle 20 siamo già a letto. Abbiamo coperto l'auto con un telo per far buio, ma presto ruspe e mezi d'opera ci negano il sonno.
«Fino a che ora lavorano qui?» mi chiede Alessandro.
Spero smettano, ma quando ciò accade s'inseriscono ragazzi festanti che cancellano parte delle 4 ore di riposo che avremmo potuto goderci.
Sveglia a mezzanotte. Torta e tè caldo che ci aveva preparato Gioia, poi via.
Su per la carrozzabile verso il rifugio Duca degli Abruzzi, tagliando quanti più tornanti possibile grazie al sentiero 31. Le stelle in cielo ci accompagnano e fino al parallelepipedo di cemento del Mont de l'Eura non c'è anima viva. Qui due cani incazzosi ci sbarrano il sentiero e abbaiando ci suggeriscono l'opportunità di proseguire sulla strada.
Un paio d'ore di marcia ed eccoci al rifugio Duca degli Abruzzi. Le luci sono accese, mentre vari frontalini, più in alto, sondano la montagna alla ricerca del sentiero per il colle del Leone.
Gli andiamo incontro, senza però mai raggiungerli.
Il sentiero è piuttosto evidente. Ma alle 3 del mattino è pure piuttosto scuro e ciò ci porta a perderlo alcune volte e a forzare passaggi su roccia.
A m 3500 però sbagliamo completamente strada e, ai piedi delle rocce della Testa del Leone, anzichè traversare a dx nel canalone a S del colle del Leone, ci arrampichiamo dritti a N (passi di II e III), arrivando in cima alla Testa del Leone (m 3713, ore 4:30).
Vediamo le luci degli altri escursionisti a picco sotto di noi , ma anche quelle di chi sta già muovendo verso la vetta del Cervino. Proviamo pertanto a scendere per parete e cresta fino al colle, ma l'ultimo salto di rocce non ci lascia passare. Buttar giù una doppia col buio è da incoscienti: se la corda non bastasse rimarremo appesi! Così torniamo in vetta e riscendiamo per rocce e cenge la parete S fino al bivio mancato.
Rischiara e ora vediamo bene il tracciato! Poca fatica ed ecco il colle del Leone (m 3378, ore 0:45), dove ci gustiamo un'alba colorata sulla prospiciente Dent Blanche: che fantastica montagna.
Qui ci leghiamo e attacchiamo la Cresta del Leone. Roccia tutto sommato soda, passi di arrampicata libera fino al II+ e canaponi laddove l'ingaggio sarebbe stato maggiore. Ai piedi del rifugio Carrel (m 3835, ore 1:30) vi è un salto verticale di una decina di metri dove issarsi sul canapone è assai faticoso. Credo sia il passaggio più impegnativo dell'intera traversata.
La puzza di merda circonda il rifugio. È talmente nauseante che non ci fermiamo manco un secondo. Su per corde fisse e canaponi, aggiriamo da dx l'alto gendarme che lo sovrasta. In lontananza ecco alcune cordate impegnate nella salita.
Già al Pic Tyndall (m 4239) le abbiamo recuperate. Stiamo procedendo in corserva corta con 4 metri di corda. Procediamo lentamente, ma inesorabilmente, per cui siamo molto più svelti delle altre cordate che nei punti più difficili o esposti fanno tiri di corda.
Oltre il Pic Tyndall la cresta spiana e piega a sx, interrotta da un paio di brecce. L'esposizione sia sulla parete O che su quella S è molto forte, pertanto superiamo velocemente alcune cordate lente. Lo facciamo sempre curando di non esser loro di intralcio o di metterli in difficoltà.
Su rocce sporche di neve e ghiaccio, mettiamo piede sull'edificio sommitale del Cervino. Traslando prima a dx, poi a sx siamo a un canapone molto ripido. Anzi un doppio canapone. Sta scendendo gente in corda doppia, così per non rompergli le palle, uso la linea di sx. Arrivo in sosta, Ale mi raggiunge e aspettiamo che la scala Jordan, agevolazione per superare una placca strapiombante di 10 metri, si liberi.
Urlando e sgomitando giunge in sosta una giovane guida alpina di Cervinia con un cliente cinese. Senza chieder nulla si arroga il diritto di precedenza e mi tiene una lezione non richiesta su come si va in montagna e sull'inadeguatezza della mia progressione. Non rispondo e spero che Ale non se ne dia del suo terrorismo, del suo sostenere che il mio compagno non è in sicurezza. In poco tempo arriva pure un suo collega, anch'esso con cliente cinese, che gli fa eco. Hanno ragione sul fatto che non vesto il casco, ma essendo che col casco mi vien subito mal di testa, dove non vedo pericolo che mi caschi qualcosa in testa cerco di levarlo.
Non rispondo però a nulla, ma mi limito a volgere lo sguardo verso Ale e traguardando la corda che ci lega, lo riguardo in faccia. In effetti nota anche lui che abbiamo messo una protezione ogni due metri e ammette che non è poi tutto sbagliato, pur aggiungendo che si potrebbe fare di meglio.
Mentre chi ci ha preceduto in vetta si sta calando, la guida giovane veste i panni del Cristo pantocratore elargendo suggerimenti e benedizioni abbastanza ad minchiam, poi dall'alto di chi predica bene ma razzola in scarpe da ginnastica per fare prima, sale la scala Jordan di slancio contravvenendo a tutte le disposizioni che mi aveva appena dato. Del resto lui è un super uomo e tutto può. Io mi limito a sfoggiare la mia serafica capacità di non cedere alle provocazioni degli sbruffoni.
Non pago, quando è un metro e mezzo sopra di me, il top climber esclama «Se poi provi a cadermi in testa m'incazzo!»
Inizialmente resto basito perchè non so come potrei cadere quando sono aggrappato a un canapone, ma inoltre non so come potrei cadergli in testa essendo lui sopra di me! Così gli accenno questa seconda osservazione sulle nostre reciproche posizioni, giusto per tranquillizzarlo e non farlo sentire in pericolo.
Sparito sopra la scala Jordan recupera il cliente, invitandolo in inglese a non arrampicare perchè sul Cervino non si arrampica, ma si tirano i canaponi. Tutto ciò che dice lo inserisce in una lunga teoria di complimenti rivolti al cliente, descrivendolo come un fico da paura, con un tono tanto concitato da far passare il povero Chan per lo zimbello della montagna.
Parte anche la seconda guida che s'invola, poi issa il cliente.
Sto congelando: mezz'ora fermi per uno ius primae cordae che nel medioevo dell'industria del Cervino è una regola che va accettata pur non essendo scritta da nessuna parte.
Non aspetto nemmeno che il secondo cliente sia partito che mi metto a ruota e séguito con Ale nella nostra conserva corta, dovendo attendere a ogni sosta che le guide ripeschino i clienti.
Arriviamo in vetta assieme alle due guide, o meglio poco oltre la vetta italiana del Cervino (m 4477, ore 4:30) dove è installata una storta croce in ferro. Sono le 10:45.
Un frettoloso quanto esagerato elogio della bravura dei clienti, alcune foto con il segnacolo, la promessa di pubblicazione su Facebook.
«La prossima volta metti dentro qualcosa», torna a beccarmi la guida che fino ad ora era parsa la meno petulante.
«20 € bastano?», ironizzo per far capire di cambiare approccio.
«No, lo dico per voi.», insiste.
«Ho solo un pezzo da venti, non ne ho di quelli rossi!» ribadisco per far cambiar quel disco che par essersi incantato contro chi sale senza guide.
«Da dove venite?»
Finalmente una domanda amichevole a cui rispondo per non sembrare lo spaccone di turno.
«Da Cervinia.»
«Da Cervinia? Quando siete partiti?»
«A mezzanotte e mezza, ma poi ci siamo fatti involontariamente pure la Testa del Leone.»
«Questi hanno le gambe buone» dice alla guida più giovane, poi continua:
«E ora dove andate?»
«Scendiamo dall'altra parte, poi torneremo a Cervinia.»
«Sticazzi, pure noi siamo partiti da Cervinia, ma abbiamo risparmiato un po' di fatica con la jeep fino al rifugio!»
La tensione si è sciolta. Ne approfitto per alcune domande.
«Come facciamo a tornare a Cervinia dall'Hornli passando per il bivacco Bossi?»
«Non passate di lì! La E scarica di pomeriggio. Scendete agli impianti e prendete la funivia.»
«La funivia non è un'ipotesi che contempliamo, vogliamo chiudere l'anello a piedi.»
«Sticazzi! Allora dovete andare sul Plateau Rosa, ma è lunghissima.»
«Forse hanno capito che eravamo noi quelli di fretta» dico sottovoce all'Ale.
La guida più giovane poi, in italiano, si lamenta con l'altra di uno stronzo aveva fatto notare a un cliente che questa non è la cima più alta, ma è quella svizzera, collegata da una cresta di neve a questa e pertanto non raggiungibile senza ramponi. Pertanto il cliente si era risentito per non averla toccata.
Per fortuna i ragazzi cinesi non capiscono i discorsi e non si pongono tante domande sulla topografia.
Ci salutiamo ricevendo un consiglio utile: quello di calzare subito i ramponi. La cresta svizzera è infatti innevata. Perciò li ringrazio e, atteso un alpinista solitario che si presta a scattarci la foto di vetta, ci facciamo ritrarre con la rivista in mano (copertina con Corti che all'alba dei 70 aveva fatto questa traversata!) e la maschera da porco in testa.
Via sulla cima svizzera, che tocchiamo in 5 minuti, tra l'impressionate vuoto delle pareti che sorreggono l'esile lama nevosa. C'è troppo casino in vetta, così scendiamo a manetta per non restare imbottigliati, dopo però aver ammirato per un istante lo sterminato paesaggio e assaporato l'idea di star camminando sulle nuvole.
Come invidio i primi salitori, per la pace di cui avevan goduto nel 1865. Anche se li invidio un po' meno per la tremenda sorte che era toccata ad alcuni di loro poco dopo:
«Alle 13:40 del 15 luglio Croz era in vetta esultante. Seguirono gli altri. La conquista era fatta; la spedizione rivale, vedutasi sconfitta, s’era ritirata. Ma la gioia si tramutò presto in tragedia: Hadow, secondo di cordata, scivolò in discesa e trascinò con sé nell’abisso della nord 3 compagni - tra cui Croz. La corda però si ruppe, dando la grazia a Whymper e ai Taugwalder - padre e figlio, e rendendoli così sconcertati testimoni della prima grande tragedia dell’alpinismo (testo tratto dal nostro fortunato libro Alpi Selvagge del 2015 che trovate in vendita nella colonna qui a dx).
Certo è che è oggi impossibile immaginare quale impegno richiederebbero le vie normali non attrezzate, anche perché il tracciato in molti punti non coincide con quello imposto dalle corde fisse.
La scoscesa parte alta della cresta dell'Hörnli è nevosa e la neve ci permette una progressione velocissima anche se è meglio prestare attenzione a non scivolare: si farebbe un volo di 1500 metri sulla N!
Quando iniziano i canaponi c'è un po' di traffico. Agli scambi si perde molto tempo. Alpinisti russi, tedeschi, coreani, francesi. Nessun italiano.
La cresta è mediamente più ripida della via italiana, ma un po' più semplice. A m 4300 pranziamo. Frugalmente accanto a una signora di nazionalità imprecisata che è lì in attesa tornino i compagni.
Tra me e me penso che, se i suoi compagni erano quelli che abbiamo appena incontrato e che salivano impacciati, è certo che prenderanno notte.
Il rifugio Hörnli sembra a uno sputo, laggiù in fondo alla cresta, ma capiremo che è molto molto lontano.
Alternando cammino, disarrampicata e calate fino a 30 metri (ce ne sono di attrezzate ovunque e il percorso è meno chiaro che quello sulla cresta del Leone) perdiamo quota.
A m 4050 due calate ci portano al bivacco Solvay. È sempre la puzza di merda a farci capire d'essere al rifugio prima ancora di vederlo. La parte bassa della cresta è quella meno evidente. Ci alterniamo nell'arte di incengiarci con una cordata francese, che anch'essa senza conoscere il percorso sta compiendo la traversata (dal rifugio Carrel all'Hörnlihütte).
Ogni errore ci fa dilapidare decine di minuti, ma per fortuna i temporali previsti non si stanno materializzando.
Sotto i m 3500 le difficoltà diminuiscono e, appoggiandoci a camminamenti sul versante E, scendiamo gli ultimi metri di cresta. Un canapone e dei pioli in metallo ci aiutano sull'ultimo breve strapiombo. Siamo di nuovo sulla terra, rientrati dal pianeta Cervino!
Oltre un dosso ecco il rifugio Hörnli (m 3262, ore 6:30).
Ci abbiamo messo un sacco di tempo, ma in discesa non siamo mai stati superati, anzi... Forse non siamo stati poi così lenti, anche se l'orologio afferma il contrario.
Siamo stanchi vivi, nel senso che pur agonizzanti non possiamo permetterci di lasciarci andare perchè è ancora lunga.
Ale pare rinato, dopo che in salita aveva avuto qualche problema di stomaco.
Ci approssimiamo al rifugio quando sento un ronzio nello zaino. Chiedo all'Ale di controllare se si sia aperta la borraccia col tè.
«Pare ben chiusa, forse stava solo sgasando. Ora ha smesso».
Quando mi chiude lo zaino il ronzio riprende.
Mi levo lo zaino e controllo che non stiano friggendo i due frontalini che ho con me.
È tutto ok, ma rimesso lo zaino il rumore continua.
Me ne frego e ci incamminiamo. Ha iniziato a piovere.
Quando alzo la mano per scostarmi i capelli dagli occhi sento le dita formicolare all'improvviso e la mia mano friggere!
«Sta caricando un fulmine, scappiamo nel rifugio!» urlo e ci mettiamo a correre. Pure la palizzata del rifugio frigge. Che paura.
Col nuovo primato sui 100 metri con scarponi e zaini carichi entriamo e chiediamo latte e Ovomaltina. La bionda rifugista elvetica pare non capire né "latte e Ovomaltina", né "milk and Ovomaltina", così chiama il cuoco che, con un insolito accento svizzero-toscano-romano ci parla nella nostra lingua e traduce la comanda.
Poi, stupito della nostra volontà di tornare a Cervinia a piedi che sono già le 19:15, prontamente riferita in tedesco anche all'incredula rifugista, esce con me all'esterno e mi illustra gentilmente la strada meno pericolosa, che consiste nel raggiungere il passo del Teodulo con lunghissimo giro.
Riprendiamo il cammino dopo aver atteso e salutato i due francesi con cui avevamo condiviso buona parte della discesa. Siamo ancora accompagnati dalla pioggia e dal sibilo della piccozza e della staccionata in metallo accanto al rifugio. Non ci lasciamo intimorire: se doveva scaricare lo avrebbe già fatto!
Scendiamo svelti la dorsale verso NE, agevolati da scalette e da un sentiero impeccabile e largo.
Oltre una bizzarra conca di terra rossa dove sono scritti dei nomi a caratteri cubitali, smontiamo a dx della cresta. Siamo a m 2869. Il sentiero, attrezzato con passarelle in metallo, ci porta alla stazione degli impianti sciistici di Hirli. Qui prendiamo il sentiero bollato in direzione SO che cala nella valle del ghiacciaio del Furggen e la attraversa a m 2677. Impressionate è notare che quella che sembrava una pietraia in realtà è per buona parte il mantello si sassi che sopra il ghiacciaio e che è frutto dello sgretolamento della parete E del Cervino. Il Picco Solitario è ammantato dalle nubi. L'elicottero del soccorso gli ronza attorno come un moscone e ogni tornata vericella alpinisti portandone via un buon quantitativo per sottrarli alla notte che incombe. Le ipotesi su quali siano gli alpinisti in difficoltà si sprecano scorrendo la lista di quelli incontrati in discesa.
Con un ampio arco e seguendo i bolli siamo al lago proglaciale del Furgsee (m 2872, ore 2:30). Il paesaggio è desolato. Dritto a S c'è il ghiacciaio in forte ritiro. Scorgiamo i piloni dello skilift e ne puntiamo uno.
Toccato il ghiacciaio, su cui cola abbondante acqua e su cui neve marcia come melma si alterna a ghiaccio vivo, mettiamo i ramponi e accendiamo i forntalini.
A m 3100 intercettiamo lo skilift e lo seguiamo verso monte.
Incalzati dalla grandine eccoci, alle 22 passate, al Furgsattel (m 3348), stazione di monte dello skilift. C'è nebbia, ma ci bastan 10 minuti per capire che da qui in Italia non si scende.
Lo sconforto ci assale. Io controllo le foto fatte dalla vetta e capisco che dovevamo prendere l'altra linea dello skilift, quella più a S. Lo dico ad Ale che però è stanco e vorrebbe arrivarci per cresta. Ma dalla foto è chiaro che di notte e col temporale questa cresta non è percorribile.
Convinco Ale a desistere e a riscendere fino a m 3200. Proviamo a traversare di lì, ma una cresta rocciosa ci sbarra il cammino. Puntare a E per il ghiacciaio pare troppo ripido. Con la nebbia meglio non mettersi nei guai.
Torniamo indietro scendiamo questa volta fino a 3150. Il cammino è cosparso di rifiuti degli impianti: pali, catene e ciarpame di vario genere. Qualche minuto verso SE per neve fangosa e scavalcando rivoli e troviamo i pali dell'altra linea dello skilift. La seguiamo verso SSO.
Il cielo rischiara per i lampi, ma i tuoni sono lontani. Spero ci restino, perchè se no saremmo spacciati!
Terminato il primo troncone dello skilift, troviamo un gatto delle nevi in sosta e seguiamo il troncone successivo che, come dice un cartello, porta alla Testa Grigia, dove vediamo un faro che lampeggia e, facendo eco ai fulmini, rischiara i cielo. Il passo del Teodulo è decisamente a N della Testa Grigia, ma di notte e con la nebbia meglio non allontanarsi dai riferimenti o ci si perderebbe nel ghiacciaio.
Ho i piedi fradici e mal di testa, ma non dobbiamo mollare.
Ale è stanchissimo e vorrebbe fermarsi. Mi segue aiutandosi con due pali di plastica recuperati sul ghiacciaio. Pure io lo imito e ne raccatto uno di legno. Abbiamo già più di 3500 metri di dislivello nelle gambe e sono 23 ore che marciamo!
Prendiamo quota sotto i cavi dello skilift. Ci sono crepacci aperti. La pista è chiusa. Grandina e c'è nebbia.
Durante una breve apertura delle nebbie scorgo a dx la pista per il passo del Teodulo. La illumino e la mostro all'Ale per confortarlo. Però ci sono troppi crepacci: dobbiamo salire più in alto seguendo delle peste sulla neve ond'evitar grane. Oramai a m 3400 e in vista della Testa Grigia, traversiamo a dx e finiamo su un'emergenza rocciosa. La nebbia si è chiusa ed è fittissima.
Ale si scoraggia e vuole fermarsi. È un atleta in forma e credo che di benzina nel serbatoio ne abbia ancora. Lo istigo perciò a non fermarsi. Non è la paura di una notte all'addiaccio, ma quanto il voler arrivare alla macchina e avvisare a casa che siamo ancora vivi per non dar troppa preoccupazione.
Faccio sedere Ale e parto in perlustrazione. La prima ronda la finisco girando involontariamente su me stesso. Ho però trovato nel mentre un vaso con una pianta. È siamo a m 3400! Perciò la strada non deve essere lontano.
Il secondo giro cerco di tenere il timone dritto verso N.
Trovo un paio di occhiali da sole nuovi di Armani, mio bottino di giornata, e con essi la sicurezza che la pista dev'essere vicina.
Infatti la trovo.
Chiamo Ale esultando, ma pur vedendo questa pista sterrata mi pare poco fiducioso.
«Sei sicuro che stiamo andando dalla parte giusta?»
Non sono sicurissimo, ma mi fido del mio istinto. Lo convinco a proseguire.
Finiamo dopo poco su una pista da sci battuta. Un gatto delle nevi, una motoslitta, un cartello che indica Cervinia.
Cervinia? Non ci posso credere!
«Ce l'abbiamo fatta! Ci siamo! Cervinia!! Segna Cervinia!»
Ale aumenta il passo nella nebbia e mi raggiunge incredulo. Controlla attentamente il cartello prima di esultare.
«Non ci speravo più, mi sembrava impossibile trovare la strada!»
Siamo all'agognato passo del Teodulo (m 3296, ore 1:30 senza ovviamente passare per la Furggsattel!). È l'una di notte. Sono oltre 24 ore che marciamo. La nebbia è così fitta che non si vede a un palmo dal naso, ma ora sappiamo che non possono più esserci imprevisti.
Giù svelti per le piste. Poi un bivio dove Cervinia manco è più indicata. Prendiamo una direzione a caso. Poi un sentiero non segnalato, ma con impronte di gomme di MTB. Le lungaggini di questo sentiero sono tremende. Continua ad andare in qua e in là, come fosse stato tracciato da un ubriaco.
Dobbiamo giungere a Plain Maison per intercettare una pista di down hill che si butta in picchiata verso i condomini di Cervinia, a qualche tornante d'asfalto dal parcheggio della funivia (m 2006, ore 2:30).
Stanchi? Pure dire distrutti sarebbe un eufemismo.
Telefoniamo a casa dove nonostante siano quasi le 3 di notte Gioia è ancora in piedi ad aspettare la chiamata... o forse, come sdrammatizzo con Ale, sta già mettendo in vendita su Ebay i miei effetti personali.
Messi i piedi a mollo nel torrente e mangiato un boccone, dato che oggi di calorie ne abbiamo introdotte ben poche, ci concediamo meno di tre ore di sonno in auto prima di rimetterci alla guida verso casa.
All'alba salutiamo il Cervino che nemmeno si degna per un istante di levarsi il manto di nubi.
Poverini quelli che sono lassù nei bivacchi. Il tempo non promette nulla di buono!
Il nostro percorso, ad eccezione dell'errore sulla Furggsattel. © swisstopo.ch |
Di relazioni sul Cervino ne è zeppa l'aria, tante così precise da essere pedanti nel voler dare un nome e una descrizione ad ogni passaggio. Vi racconterò perciò solo la nostra giornata, durata 26 ore di marcia, in cui abbiamo salito la montagna più ambita delle Alpi partendo e tornando a piedi a Cervinia. Perdonatemi tutti gli errori di battitura, ma sto confezionando il nuovo numero de LMD e non ho il tempo di rileggere il testo.
Il Cervino, ovviamente, è il simbolo della Valtournenche. Lo testimonia la sua riproduzione al centro della rotonda allo sbocco della valle. Lo spiega l'impressionante scorcio che si ha appena si entra nella valle, quando l'immane picco dà il benvenuto ai viandanti.
Alle 18 siamo a Cervinia. Parcheggiamo nel piazzale della funivia e camperizziamo l'auto, analogamente a tre ragazzi spagnoli che si sono messi a 10 metri da noi.
Il paese è semivuoto. Ed è il 31 luglio. Dovrebbe essere alta stagione.
Mi avevano descritto l'edificazione selvaggia e il detrimento ambientale prodotto dall'abominio edilizio perpetrato in questo antico paradiso alpino. È tutto vero. Orrendamente vero. Ma lassù c'è la vetta del Cervino che gioca a nascondino con le nuvole e monopolizza tutto gli sguardi scostandoli da palazzi e altre brutture. Lui, il Cervino, che di tali brutture è sia l'involontaria causa che l'antidoto.
Du spaghi alla carbonara in un ristorante di cui siamo gli unici avventori e alle 20 siamo già a letto. Abbiamo coperto l'auto con un telo per far buio, ma presto ruspe e mezi d'opera ci negano il sonno.
«Fino a che ora lavorano qui?» mi chiede Alessandro.
Spero smettano, ma quando ciò accade s'inseriscono ragazzi festanti che cancellano parte delle 4 ore di riposo che avremmo potuto goderci.
Sveglia a mezzanotte. Torta e tè caldo che ci aveva preparato Gioia, poi via.
Su per la carrozzabile verso il rifugio Duca degli Abruzzi, tagliando quanti più tornanti possibile grazie al sentiero 31. Le stelle in cielo ci accompagnano e fino al parallelepipedo di cemento del Mont de l'Eura non c'è anima viva. Qui due cani incazzosi ci sbarrano il sentiero e abbaiando ci suggeriscono l'opportunità di proseguire sulla strada.
Un paio d'ore di marcia ed eccoci al rifugio Duca degli Abruzzi. Le luci sono accese, mentre vari frontalini, più in alto, sondano la montagna alla ricerca del sentiero per il colle del Leone.
Gli andiamo incontro, senza però mai raggiungerli.
Il sentiero è piuttosto evidente. Ma alle 3 del mattino è pure piuttosto scuro e ciò ci porta a perderlo alcune volte e a forzare passaggi su roccia.
A m 3500 però sbagliamo completamente strada e, ai piedi delle rocce della Testa del Leone, anzichè traversare a dx nel canalone a S del colle del Leone, ci arrampichiamo dritti a N (passi di II e III), arrivando in cima alla Testa del Leone (m 3713, ore 4:30).
Vediamo le luci degli altri escursionisti a picco sotto di noi , ma anche quelle di chi sta già muovendo verso la vetta del Cervino. Proviamo pertanto a scendere per parete e cresta fino al colle, ma l'ultimo salto di rocce non ci lascia passare. Buttar giù una doppia col buio è da incoscienti: se la corda non bastasse rimarremo appesi! Così torniamo in vetta e riscendiamo per rocce e cenge la parete S fino al bivio mancato.
Rischiara e ora vediamo bene il tracciato! Poca fatica ed ecco il colle del Leone (m 3378, ore 0:45), dove ci gustiamo un'alba colorata sulla prospiciente Dent Blanche: che fantastica montagna.
Qui ci leghiamo e attacchiamo la Cresta del Leone. Roccia tutto sommato soda, passi di arrampicata libera fino al II+ e canaponi laddove l'ingaggio sarebbe stato maggiore. Ai piedi del rifugio Carrel (m 3835, ore 1:30) vi è un salto verticale di una decina di metri dove issarsi sul canapone è assai faticoso. Credo sia il passaggio più impegnativo dell'intera traversata.
La puzza di merda circonda il rifugio. È talmente nauseante che non ci fermiamo manco un secondo. Su per corde fisse e canaponi, aggiriamo da dx l'alto gendarme che lo sovrasta. In lontananza ecco alcune cordate impegnate nella salita.
Già al Pic Tyndall (m 4239) le abbiamo recuperate. Stiamo procedendo in corserva corta con 4 metri di corda. Procediamo lentamente, ma inesorabilmente, per cui siamo molto più svelti delle altre cordate che nei punti più difficili o esposti fanno tiri di corda.
Oltre il Pic Tyndall la cresta spiana e piega a sx, interrotta da un paio di brecce. L'esposizione sia sulla parete O che su quella S è molto forte, pertanto superiamo velocemente alcune cordate lente. Lo facciamo sempre curando di non esser loro di intralcio o di metterli in difficoltà.
Su rocce sporche di neve e ghiaccio, mettiamo piede sull'edificio sommitale del Cervino. Traslando prima a dx, poi a sx siamo a un canapone molto ripido. Anzi un doppio canapone. Sta scendendo gente in corda doppia, così per non rompergli le palle, uso la linea di sx. Arrivo in sosta, Ale mi raggiunge e aspettiamo che la scala Jordan, agevolazione per superare una placca strapiombante di 10 metri, si liberi.
Urlando e sgomitando giunge in sosta una giovane guida alpina di Cervinia con un cliente cinese. Senza chieder nulla si arroga il diritto di precedenza e mi tiene una lezione non richiesta su come si va in montagna e sull'inadeguatezza della mia progressione. Non rispondo e spero che Ale non se ne dia del suo terrorismo, del suo sostenere che il mio compagno non è in sicurezza. In poco tempo arriva pure un suo collega, anch'esso con cliente cinese, che gli fa eco. Hanno ragione sul fatto che non vesto il casco, ma essendo che col casco mi vien subito mal di testa, dove non vedo pericolo che mi caschi qualcosa in testa cerco di levarlo.
Non rispondo però a nulla, ma mi limito a volgere lo sguardo verso Ale e traguardando la corda che ci lega, lo riguardo in faccia. In effetti nota anche lui che abbiamo messo una protezione ogni due metri e ammette che non è poi tutto sbagliato, pur aggiungendo che si potrebbe fare di meglio.
Mentre chi ci ha preceduto in vetta si sta calando, la guida giovane veste i panni del Cristo pantocratore elargendo suggerimenti e benedizioni abbastanza ad minchiam, poi dall'alto di chi predica bene ma razzola in scarpe da ginnastica per fare prima, sale la scala Jordan di slancio contravvenendo a tutte le disposizioni che mi aveva appena dato. Del resto lui è un super uomo e tutto può. Io mi limito a sfoggiare la mia serafica capacità di non cedere alle provocazioni degli sbruffoni.
Non pago, quando è un metro e mezzo sopra di me, il top climber esclama «Se poi provi a cadermi in testa m'incazzo!»
Inizialmente resto basito perchè non so come potrei cadere quando sono aggrappato a un canapone, ma inoltre non so come potrei cadergli in testa essendo lui sopra di me! Così gli accenno questa seconda osservazione sulle nostre reciproche posizioni, giusto per tranquillizzarlo e non farlo sentire in pericolo.
Sparito sopra la scala Jordan recupera il cliente, invitandolo in inglese a non arrampicare perchè sul Cervino non si arrampica, ma si tirano i canaponi. Tutto ciò che dice lo inserisce in una lunga teoria di complimenti rivolti al cliente, descrivendolo come un fico da paura, con un tono tanto concitato da far passare il povero Chan per lo zimbello della montagna.
Parte anche la seconda guida che s'invola, poi issa il cliente.
Sto congelando: mezz'ora fermi per uno ius primae cordae che nel medioevo dell'industria del Cervino è una regola che va accettata pur non essendo scritta da nessuna parte.
Non aspetto nemmeno che il secondo cliente sia partito che mi metto a ruota e séguito con Ale nella nostra conserva corta, dovendo attendere a ogni sosta che le guide ripeschino i clienti.
Arriviamo in vetta assieme alle due guide, o meglio poco oltre la vetta italiana del Cervino (m 4477, ore 4:30) dove è installata una storta croce in ferro. Sono le 10:45.
Un frettoloso quanto esagerato elogio della bravura dei clienti, alcune foto con il segnacolo, la promessa di pubblicazione su Facebook.
«La prossima volta metti dentro qualcosa», torna a beccarmi la guida che fino ad ora era parsa la meno petulante.
«20 € bastano?», ironizzo per far capire di cambiare approccio.
«No, lo dico per voi.», insiste.
«Ho solo un pezzo da venti, non ne ho di quelli rossi!» ribadisco per far cambiar quel disco che par essersi incantato contro chi sale senza guide.
«Da dove venite?»
Finalmente una domanda amichevole a cui rispondo per non sembrare lo spaccone di turno.
«Da Cervinia.»
«Da Cervinia? Quando siete partiti?»
«A mezzanotte e mezza, ma poi ci siamo fatti involontariamente pure la Testa del Leone.»
«Questi hanno le gambe buone» dice alla guida più giovane, poi continua:
«E ora dove andate?»
«Scendiamo dall'altra parte, poi torneremo a Cervinia.»
«Sticazzi, pure noi siamo partiti da Cervinia, ma abbiamo risparmiato un po' di fatica con la jeep fino al rifugio!»
La tensione si è sciolta. Ne approfitto per alcune domande.
«Come facciamo a tornare a Cervinia dall'Hornli passando per il bivacco Bossi?»
«Non passate di lì! La E scarica di pomeriggio. Scendete agli impianti e prendete la funivia.»
«La funivia non è un'ipotesi che contempliamo, vogliamo chiudere l'anello a piedi.»
«Sticazzi! Allora dovete andare sul Plateau Rosa, ma è lunghissima.»
«Forse hanno capito che eravamo noi quelli di fretta» dico sottovoce all'Ale.
La guida più giovane poi, in italiano, si lamenta con l'altra di uno stronzo aveva fatto notare a un cliente che questa non è la cima più alta, ma è quella svizzera, collegata da una cresta di neve a questa e pertanto non raggiungibile senza ramponi. Pertanto il cliente si era risentito per non averla toccata.
Per fortuna i ragazzi cinesi non capiscono i discorsi e non si pongono tante domande sulla topografia.
Ci salutiamo ricevendo un consiglio utile: quello di calzare subito i ramponi. La cresta svizzera è infatti innevata. Perciò li ringrazio e, atteso un alpinista solitario che si presta a scattarci la foto di vetta, ci facciamo ritrarre con la rivista in mano (copertina con Corti che all'alba dei 70 aveva fatto questa traversata!) e la maschera da porco in testa.
Via sulla cima svizzera, che tocchiamo in 5 minuti, tra l'impressionate vuoto delle pareti che sorreggono l'esile lama nevosa. C'è troppo casino in vetta, così scendiamo a manetta per non restare imbottigliati, dopo però aver ammirato per un istante lo sterminato paesaggio e assaporato l'idea di star camminando sulle nuvole.
Come invidio i primi salitori, per la pace di cui avevan goduto nel 1865. Anche se li invidio un po' meno per la tremenda sorte che era toccata ad alcuni di loro poco dopo:
«Alle 13:40 del 15 luglio Croz era in vetta esultante. Seguirono gli altri. La conquista era fatta; la spedizione rivale, vedutasi sconfitta, s’era ritirata. Ma la gioia si tramutò presto in tragedia: Hadow, secondo di cordata, scivolò in discesa e trascinò con sé nell’abisso della nord 3 compagni - tra cui Croz. La corda però si ruppe, dando la grazia a Whymper e ai Taugwalder - padre e figlio, e rendendoli così sconcertati testimoni della prima grande tragedia dell’alpinismo (testo tratto dal nostro fortunato libro Alpi Selvagge del 2015 che trovate in vendita nella colonna qui a dx).
Certo è che è oggi impossibile immaginare quale impegno richiederebbero le vie normali non attrezzate, anche perché il tracciato in molti punti non coincide con quello imposto dalle corde fisse.
La scoscesa parte alta della cresta dell'Hörnli è nevosa e la neve ci permette una progressione velocissima anche se è meglio prestare attenzione a non scivolare: si farebbe un volo di 1500 metri sulla N!
Quando iniziano i canaponi c'è un po' di traffico. Agli scambi si perde molto tempo. Alpinisti russi, tedeschi, coreani, francesi. Nessun italiano.
La cresta è mediamente più ripida della via italiana, ma un po' più semplice. A m 4300 pranziamo. Frugalmente accanto a una signora di nazionalità imprecisata che è lì in attesa tornino i compagni.
Tra me e me penso che, se i suoi compagni erano quelli che abbiamo appena incontrato e che salivano impacciati, è certo che prenderanno notte.
Il rifugio Hörnli sembra a uno sputo, laggiù in fondo alla cresta, ma capiremo che è molto molto lontano.
Alternando cammino, disarrampicata e calate fino a 30 metri (ce ne sono di attrezzate ovunque e il percorso è meno chiaro che quello sulla cresta del Leone) perdiamo quota.
A m 4050 due calate ci portano al bivacco Solvay. È sempre la puzza di merda a farci capire d'essere al rifugio prima ancora di vederlo. La parte bassa della cresta è quella meno evidente. Ci alterniamo nell'arte di incengiarci con una cordata francese, che anch'essa senza conoscere il percorso sta compiendo la traversata (dal rifugio Carrel all'Hörnlihütte).
Ogni errore ci fa dilapidare decine di minuti, ma per fortuna i temporali previsti non si stanno materializzando.
Sotto i m 3500 le difficoltà diminuiscono e, appoggiandoci a camminamenti sul versante E, scendiamo gli ultimi metri di cresta. Un canapone e dei pioli in metallo ci aiutano sull'ultimo breve strapiombo. Siamo di nuovo sulla terra, rientrati dal pianeta Cervino!
Oltre un dosso ecco il rifugio Hörnli (m 3262, ore 6:30).
Ci abbiamo messo un sacco di tempo, ma in discesa non siamo mai stati superati, anzi... Forse non siamo stati poi così lenti, anche se l'orologio afferma il contrario.
Siamo stanchi vivi, nel senso che pur agonizzanti non possiamo permetterci di lasciarci andare perchè è ancora lunga.
Ale pare rinato, dopo che in salita aveva avuto qualche problema di stomaco.
Ci approssimiamo al rifugio quando sento un ronzio nello zaino. Chiedo all'Ale di controllare se si sia aperta la borraccia col tè.
«Pare ben chiusa, forse stava solo sgasando. Ora ha smesso».
Quando mi chiude lo zaino il ronzio riprende.
Mi levo lo zaino e controllo che non stiano friggendo i due frontalini che ho con me.
È tutto ok, ma rimesso lo zaino il rumore continua.
Me ne frego e ci incamminiamo. Ha iniziato a piovere.
Quando alzo la mano per scostarmi i capelli dagli occhi sento le dita formicolare all'improvviso e la mia mano friggere!
«Sta caricando un fulmine, scappiamo nel rifugio!» urlo e ci mettiamo a correre. Pure la palizzata del rifugio frigge. Che paura.
Col nuovo primato sui 100 metri con scarponi e zaini carichi entriamo e chiediamo latte e Ovomaltina. La bionda rifugista elvetica pare non capire né "latte e Ovomaltina", né "milk and Ovomaltina", così chiama il cuoco che, con un insolito accento svizzero-toscano-romano ci parla nella nostra lingua e traduce la comanda.
Poi, stupito della nostra volontà di tornare a Cervinia a piedi che sono già le 19:15, prontamente riferita in tedesco anche all'incredula rifugista, esce con me all'esterno e mi illustra gentilmente la strada meno pericolosa, che consiste nel raggiungere il passo del Teodulo con lunghissimo giro.
Riprendiamo il cammino dopo aver atteso e salutato i due francesi con cui avevamo condiviso buona parte della discesa. Siamo ancora accompagnati dalla pioggia e dal sibilo della piccozza e della staccionata in metallo accanto al rifugio. Non ci lasciamo intimorire: se doveva scaricare lo avrebbe già fatto!
Scendiamo svelti la dorsale verso NE, agevolati da scalette e da un sentiero impeccabile e largo.
Oltre una bizzarra conca di terra rossa dove sono scritti dei nomi a caratteri cubitali, smontiamo a dx della cresta. Siamo a m 2869. Il sentiero, attrezzato con passarelle in metallo, ci porta alla stazione degli impianti sciistici di Hirli. Qui prendiamo il sentiero bollato in direzione SO che cala nella valle del ghiacciaio del Furggen e la attraversa a m 2677. Impressionate è notare che quella che sembrava una pietraia in realtà è per buona parte il mantello si sassi che sopra il ghiacciaio e che è frutto dello sgretolamento della parete E del Cervino. Il Picco Solitario è ammantato dalle nubi. L'elicottero del soccorso gli ronza attorno come un moscone e ogni tornata vericella alpinisti portandone via un buon quantitativo per sottrarli alla notte che incombe. Le ipotesi su quali siano gli alpinisti in difficoltà si sprecano scorrendo la lista di quelli incontrati in discesa.
Con un ampio arco e seguendo i bolli siamo al lago proglaciale del Furgsee (m 2872, ore 2:30). Il paesaggio è desolato. Dritto a S c'è il ghiacciaio in forte ritiro. Scorgiamo i piloni dello skilift e ne puntiamo uno.
Toccato il ghiacciaio, su cui cola abbondante acqua e su cui neve marcia come melma si alterna a ghiaccio vivo, mettiamo i ramponi e accendiamo i forntalini.
A m 3100 intercettiamo lo skilift e lo seguiamo verso monte.
Incalzati dalla grandine eccoci, alle 22 passate, al Furgsattel (m 3348), stazione di monte dello skilift. C'è nebbia, ma ci bastan 10 minuti per capire che da qui in Italia non si scende.
Lo sconforto ci assale. Io controllo le foto fatte dalla vetta e capisco che dovevamo prendere l'altra linea dello skilift, quella più a S. Lo dico ad Ale che però è stanco e vorrebbe arrivarci per cresta. Ma dalla foto è chiaro che di notte e col temporale questa cresta non è percorribile.
Convinco Ale a desistere e a riscendere fino a m 3200. Proviamo a traversare di lì, ma una cresta rocciosa ci sbarra il cammino. Puntare a E per il ghiacciaio pare troppo ripido. Con la nebbia meglio non mettersi nei guai.
Torniamo indietro scendiamo questa volta fino a 3150. Il cammino è cosparso di rifiuti degli impianti: pali, catene e ciarpame di vario genere. Qualche minuto verso SE per neve fangosa e scavalcando rivoli e troviamo i pali dell'altra linea dello skilift. La seguiamo verso SSO.
Il cielo rischiara per i lampi, ma i tuoni sono lontani. Spero ci restino, perchè se no saremmo spacciati!
Terminato il primo troncone dello skilift, troviamo un gatto delle nevi in sosta e seguiamo il troncone successivo che, come dice un cartello, porta alla Testa Grigia, dove vediamo un faro che lampeggia e, facendo eco ai fulmini, rischiara i cielo. Il passo del Teodulo è decisamente a N della Testa Grigia, ma di notte e con la nebbia meglio non allontanarsi dai riferimenti o ci si perderebbe nel ghiacciaio.
Ho i piedi fradici e mal di testa, ma non dobbiamo mollare.
Ale è stanchissimo e vorrebbe fermarsi. Mi segue aiutandosi con due pali di plastica recuperati sul ghiacciaio. Pure io lo imito e ne raccatto uno di legno. Abbiamo già più di 3500 metri di dislivello nelle gambe e sono 23 ore che marciamo!
Prendiamo quota sotto i cavi dello skilift. Ci sono crepacci aperti. La pista è chiusa. Grandina e c'è nebbia.
Durante una breve apertura delle nebbie scorgo a dx la pista per il passo del Teodulo. La illumino e la mostro all'Ale per confortarlo. Però ci sono troppi crepacci: dobbiamo salire più in alto seguendo delle peste sulla neve ond'evitar grane. Oramai a m 3400 e in vista della Testa Grigia, traversiamo a dx e finiamo su un'emergenza rocciosa. La nebbia si è chiusa ed è fittissima.
Ale si scoraggia e vuole fermarsi. È un atleta in forma e credo che di benzina nel serbatoio ne abbia ancora. Lo istigo perciò a non fermarsi. Non è la paura di una notte all'addiaccio, ma quanto il voler arrivare alla macchina e avvisare a casa che siamo ancora vivi per non dar troppa preoccupazione.
Faccio sedere Ale e parto in perlustrazione. La prima ronda la finisco girando involontariamente su me stesso. Ho però trovato nel mentre un vaso con una pianta. È siamo a m 3400! Perciò la strada non deve essere lontano.
Il secondo giro cerco di tenere il timone dritto verso N.
Trovo un paio di occhiali da sole nuovi di Armani, mio bottino di giornata, e con essi la sicurezza che la pista dev'essere vicina.
Infatti la trovo.
Chiamo Ale esultando, ma pur vedendo questa pista sterrata mi pare poco fiducioso.
«Sei sicuro che stiamo andando dalla parte giusta?»
Non sono sicurissimo, ma mi fido del mio istinto. Lo convinco a proseguire.
Finiamo dopo poco su una pista da sci battuta. Un gatto delle nevi, una motoslitta, un cartello che indica Cervinia.
Cervinia? Non ci posso credere!
«Ce l'abbiamo fatta! Ci siamo! Cervinia!! Segna Cervinia!»
Ale aumenta il passo nella nebbia e mi raggiunge incredulo. Controlla attentamente il cartello prima di esultare.
«Non ci speravo più, mi sembrava impossibile trovare la strada!»
Siamo all'agognato passo del Teodulo (m 3296, ore 1:30 senza ovviamente passare per la Furggsattel!). È l'una di notte. Sono oltre 24 ore che marciamo. La nebbia è così fitta che non si vede a un palmo dal naso, ma ora sappiamo che non possono più esserci imprevisti.
Giù svelti per le piste. Poi un bivio dove Cervinia manco è più indicata. Prendiamo una direzione a caso. Poi un sentiero non segnalato, ma con impronte di gomme di MTB. Le lungaggini di questo sentiero sono tremende. Continua ad andare in qua e in là, come fosse stato tracciato da un ubriaco.
Dobbiamo giungere a Plain Maison per intercettare una pista di down hill che si butta in picchiata verso i condomini di Cervinia, a qualche tornante d'asfalto dal parcheggio della funivia (m 2006, ore 2:30).
Stanchi? Pure dire distrutti sarebbe un eufemismo.
Telefoniamo a casa dove nonostante siano quasi le 3 di notte Gioia è ancora in piedi ad aspettare la chiamata... o forse, come sdrammatizzo con Ale, sta già mettendo in vendita su Ebay i miei effetti personali.
Messi i piedi a mollo nel torrente e mangiato un boccone, dato che oggi di calorie ne abbiamo introdotte ben poche, ci concediamo meno di tre ore di sonno in auto prima di rimetterci alla guida verso casa.
All'alba salutiamo il Cervino che nemmeno si degna per un istante di levarsi il manto di nubi.
Poverini quelli che sono lassù nei bivacchi. Il tempo non promette nulla di buono!
Se si apre l'inquadratura, aggiungendo Cervinia al quadro del Cervino, il risultato è assai deludente. |
Dettaglio della cresta del Leone. |
Cervinia di notte dalla strada per il rifugio Duca d'Aosta. |
La strada per il rifugio Duca d'Aosta. |
Verso i m 3200. |
A m 3500, di ritorno dalla Testa del Leone. |
Il traverso per il canalone ai piedi del colle del Leone. |
Alba sulla Dent Blanche. |
La Testa del Leone, appena involontariamente ascesa, e la Dent d'Herens dal colle del Leone. |
Stalattiti di ghiaccio sulla cresta del Leone. |
L'uscita dal canapone sullo strapiombo ai piedi del rifugio Carrel. |
Il rifugio Carrel e la Dent d'Herens. |
Lungo la cresta del Leone. |
La vetta del Cervino dalle pendici del Pic Tyndall. |
L'abisso della parete O. |
Verso il Pic Tyndall. |
La cresta pianeggiante che segue il Pic Tyndall. |
|
Il canapone prima della scala Jordan. |
Presso la croce di vetta. |
Lungo la cresta che unisce le due cime. |
Il lunghissimo tracciato per rientrare a Cervinia visto dalla vetta. |
I pendii sommitali della cresta dell'Hörnli. |
Meglio non cadere! |
Lungo la cresta dell'Hörnli. |
Lungo la cresta dell'Hörnli. |
Lungo la cresta dell'Hörnli. In lontananza, in basso. il rifugio omonimo. |
L'ultimo canapone dela cresta SE. |
La cresta dell'Hörnli tra le nebbie. |
La cresta dell'Hörnli dai pressi del rifugio. |
Doppio arcobaleno sopra Zermatt. |
Una colonna di nubi sopra il Cervino. |
Scendendo dalla capanna Hörnli (bivio per il vallone del Furgggletscher). |
Il Cervino dal vallone del Furgggletscher. |
cazz.. impresa della madonna ...ma dov'e' il piacere della montagna , nel non farcela piu'????.
RispondiEliminasiete dei masochisti e ninfomani della montagna
comunque bravi
ciao
Ciao.
RispondiEliminaHo letto e gustato il vostro racconto/relazione. Son incappato per caso nel sito(è poi un sito?) perché interessato a fare la traversata del Cervino. Divertenti i commenti e le descrizione dirette e senza lirismi ed esagerazioni fastidiose. Preoccupante l’immagine risultante delle guide,del “traffico” sul percorso e dell’aroma nelle vicinanze del rifugio. Complimenti per la prestazione. Purtroppo non avete incentivato in me la voglia di andarci ma sottolineato i miei sospetti sul “casino” che troverei.
Complimenti
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