domenica 1 settembre 2013

Pizzo Cengalo (m 3368) - sperone NO - via Gaiser Lehmann


Viaggio su una grande parete, di quelle che vedi sulle riviste. Via storica di sicuro ingaggio che restituisce vita ed emozione. Fu tracciata il 15 luglio 1937, proprio gli stessi giorni della Cassin. I due scalatori erano venuti in val Bondasca per fare la NE del Badile, ma vedendola trafficata dirottarono su qualcosa di inviolato e ben più cattivo, dove i mezzi artificiali sarebbero stati di ben poco aiuto.
Dopo soli due giorni F. Gaiser e B.Lehmann 2 giorni erano sorprendentemente in vetta, osservando la cordata di Cassin che, ancora impegnata in parete, si preparava a quell'odissea divenuta storia dell'alpinismo e che portò alla morte per sfinimento di Molteni e Valsecchi.

Pizzo Badile e pizzo Cengalo. Tracciata la via Gaiser Lehmann sullo sperone NO.

Partenza: Laret (m 1350)
Itinerario automobilistico: Chiavenna - Bondo - val Bondasca (permesso da distributore automatico - 10 €).
Itinerario sintetico: Laret - capanna Sass Furà - ghiacciaio del Cengalo (bivacco) - salita per lo sperone NO  - pizzo Cengalo (m 3368) - discesa per la via normale (SO) - capanna Gianetti (m 2535) - Bagni di Masino (m 1172).
Tempo previsto: 3 ore da Laret al ghiacciaio (bivacco) + 8-12 ore per la via Gaiser-Lehman + 3 ore per la discesa in Gianetti + 2:30 per la discesa ia Bagni.
Attrezzatura richiesta: 1 corda da 60 metri, cordini, casco, moschettoni, discensore, imbraco, serie di nut (molto utili) e friend fino al 3, scarpe da roccia, alcuni chiodi e martello (altrimenti preventivare che le placche verranno salite sprotette). Scarponi, ramponi e picca indispensabili per arrivare all'attacco.
Difficoltà/dislivello: 6- su 6 / oltre 2000 metri di cui 1100 di parete.
Dettagli: TD+, vari tiri di V+ e V. Arrampicata estremamente varia. Si dice 26 lunghezze in parete, noi ne abbiamo contate circa 20, ma abbiamo fatto tiri da 60m e tratti in conserva lunga. Ci sono lunghezze difficilmente proteggibili, difficoltà continue, pochi chiodi in via (e molti fuori via!) e soste non sempre sicure. tracciato non semplice da individuare, roccia non sempre sicura, specialmente nella parte bassa. Questi fattori, uniti all'avvicinamento problematico a causa dei larghi crepacci la rendono ben più impegnativa di vie come la Cassin al Badile, che pur presenta passi su roccia di grado superiore.
Discesa: dalla via normale fino in Gianetti (alpinistica f+ - varie placconate). Infine sentiero fino ai Bagni.

Mappe:
- Kompass n. 92 -  Val Chiavenna - Val Bregaglia, 1:50000
- Valmasino. Carta Escursionistica, 1:30000
- CNS. foglio 1276 - Val Bregaglia, 1:25000

Guide: Mario Sertori e Guido Lisignoli, Solo granito, ed. Versante Sud, Milano 2007- 2009 (è in preparazione la nuova edizione aggiornata). La relazione deve essere  solo uno spunto per la salita, essendo impossibile dare una descrizione esaustiva del tracciato tiro per tiro.



Saliamo sabato pomeriggio in Bregaglia, con l'intenzione di raggiungere entro sera un punto di bivacco nei pressi del ghiacciaio ai piedi della parete. L'atmosfera è rallegrata dagli amici che ci accompagnano. Superiamo il rifugio Sasc Furà e proseguiamo verso le titaniche pareti di granito sfiorate dai raggi del sole del tardo pomeriggio. Alla bocchetta ci salutiamo, gli amici torneranno a casa, mentre noi seguiremo "Il Viale" ancora per qualche centinaio di metri, avvicinandoci alla meta. La parete è di fronte, imponente, con le sue fasce nere nella parte inferiore e la sua guglia dorata. La sua verticalità intimorisce, cerco di convincermi che sia solo una questione di prospettiva. Strette fessure si incuneano tra le grandi placche che avvolgono lo spigolo. Gli amici hanno fatto a gara a farsi immortalare con la parete. Loro non la devono affrontare, per loro il Cengalo resterà semplicemente lo sfondo di una fotografia, nulla di più.
Restiamo soli e scegliamo un comodo posto di bivacco nei pressi di un grosso masso, non distante del torrente che si origina dal ghiacciaio. Ma soli non si è mai tra le braccia di queste pareti di cui non si può ignorare la presenza. Osservo lo spigolo e la spruzzata di neve che ne ha ricoperto la parte sommitale. Le difficoltà in quel punto sono finite, se mai ci arriveremo, ma il pensiero di incontrare neve in via mi preoccupa dato che ho portato con me solo un paio di scarpe da tennis oltre a quelle d'arrampicata. Per giunta il ghiacciaio da attraversare per raggiungere l'attacco è molto crepacciato e non so come me la caverò con i ramponi applicati alle Nike, in negozio sembrava funzionassero ... Beno mi chiede dove ho gli scarponi e quando gli illustro il mio pensiero mi guarda come a chiedersi se ha di fronte un genio o un idiota. Si limita a un " se ti fidi ..."
Ogni problema a suo tempo, gonfiamo i materassini, stendiamo i sacchi per la notte e consumiamo la cena nella fresca aria della sera.

L'accogliente bivacco ai piedi del ghiacciaio. Decidiamo di non aver ripari sopra la testa che ci nascondano la magia del cielo stellato.

La sveglia suona alle 5, cerco di rubare qualche minuto di sonno limando sui tempi della colazione. Legati ci incamminiamo alla luce delle frontali alla ricerca di un passaggio per raggiungere la base della parete. La scelta di stare alti sembra infrangersi nel dedalo di crepacci che si apre attorno noi. Beno si avvicina al bordo, poi si volta per chiedere consiglio:
"Non si passa, bisogna saltare"
Chiedo una stima del volo da affrontare, 3 metri, poi alzo le spalle ... saltiamo! La situazione mi ricorda il salto della breccia sulla nord del Coca, questa volta a ruoli invertiti e senza fotografo a immortalare la scena. Lascio qualche metro di corda al compagno e faccio sicura piantando picca e ramponi come unghie nella neve. Passato il crepaccio indietro non si torna, dato che saltare in salita un simile ostacolo sarebbe da primato olimpico. Rimane da superare il pericoloso labbro a sbalzo del ghiacciaio per mettere le mani sulla parete di roccia. Scavalcato un cumulo di blocchi, segno di un crollo recente, troviamo il passaggio per mezzo di un colatoio verticale, che ci consente di approdare su una cengia e metterci in assetto da roccia per iniziare la via.
L'approccio è abbastanza traumatico per la roccia umida e non sempre pulita, le mani e i piedi a perdere di sensibilità per il freddo, l'incertezza sulla via da seguire. Lo sporadico imbatterci in un chiodo non dà conforto in quanto potrebbe essere testimonianza di uno dei tanti tentativi finiti fuori via. Le prime lunghezze ci portano a superare il freddo zoccolo basale piegando leggermente sulla destra. Un intermezzo più facile ci consente di riprendere la linea di spigolo e di sbloccare la lenta progressione. Le cordate impegnate sullo spigolo del Badile sono già più alte di noi e si godono il calore del sole.
Consultiamo le relazioni che abbiamo stampato, ma sono poco coerenti tra loro e di scarsa utilità. Le mettiamo via per non perder troppo tempo. Ci affidiamo all'intuito del mio compagno che adottando la strategia di mettersi nei panni di un pioniere degli anni '30. Finora non ha sbagliato. Lascio volentieri a lui il compito di andare da primo, sono al tempo stesso ammirato e annichilito dalla situazione in cui sono immerso. Affrontiamo una serie di diedri ad elevata verticalità, un susseguirsi di fessure e lame sporgenti dall'interpretazione non immediata. Perlomeno si riesce a proteggere.
Ora la parete acquista compattezza. Lo spigolo arrotondato è un'unica placca con poche fessure a spezzarne la continuità. L'arrampicata è di aderenza, diminuiscono gli appigli e aumentano i metri che separano il mio compagno dall'ultima protezione. Sale concentrato, non condizionato all'apparenza dalla situazione di potenziale pericolo a cui si espone. Lo osservo dal basso nelle lunghe attese in sosta e capisco solo quando è il mio turno perchè la progressione è stata difficoltosa sui passaggi delicati. Lo raggiungo in soste attrezzate su chiodi d'epoca che ballano come i denti di una vecchia strega e non sempre è possibile rinforzare.
Il sole sembra spostarsi nel cielo più in fretta di quanto noi saliamo in parete. Chissà come sarebbe se un temporale o una nevicata ci costringessero ad un bivacco! Beno riparte, gli dò una voce quando la corda passa la metà, poi sparisce dalla mia vista. I due chiodi piantati dai signori Gaiser e Lehmann non credo reggerebbero la sua caduta dato che non ha ancora messo alcuna protezione. La corda è finita e lui mi grida di salire, immagino non sia ancora arrivato in sosta e sia necessario fare un tratto in conserva. Smonto la sosta e parto, avendo cura di mantenere la corda in tensione. Quando lo raggiungo resto perplesso nel vedere che ha attrezzato una sosta su 2 friend e ha fatto tutto il tiro senza mettere niente! Quanto sottile è oggi la differenza tra la vita e la morte, quanto sento labile e insignificante la mia esistenza! Non posso fare a meno di pensarci quando resto solo. Davvero è questo che sto cercando?
Dalla sosta un traverso su cengia verso destra, poi di nuovo un tratto in placca, un ultimo tiro e Beno arriva in cresta, da dove felice mi urla che è finita! Lo raggiungo veloce e ci guardiamo in faccia sorridenti, contenti di essere finalmente fuori dal tratto tecnico. Togliamo le scarpette, mettiamo la corda nello zaino e saliamo l'ultimo tratto di roccette innevate che in breve ci ricongiungono alla via normale di salita. Qui lasciamo gli zaini e di corsa in vetta, a firmare il libro e a stringerci la mano! Sono le 18, dalla Gianetti forse ci staranno osservando dato che Gioia saliva ad aspettarci.
Il rientro è una lunga discesa ma ci sembra una passeggiata nella luce del tramonto. Arriviamo al rifugio accolti dagli abbracci degli amici e insieme rientriamo ai Bagni del Masino che è quasi mezzanotte. Anche se stanco, ripenso a quanto piena sia stata questa giornata, quanto preziosa la vita che ho tra le mani, quanto insignificante una vita senza affrontare le proprie paure. Che la sete fa apprezzare l'acqua, il buio fa apprezzare la luce, la solitudine fa apprezzare l'amore.

Dettaglio del tracciato - parte alta
Saltiamo un crepaccio di 3 metri e scavalchiamo alcuni blocchi di recente distacco per riuscire ad agganciare la parete 
Un ultimo colatoio e si può partire
Le prime lunghezze (IV/IV+) sono su roccia marcia e portano al secondo settore, costituito da una cresta facile (III).
Beno dà il meglio di sé nonostante il freddo a mani e piedi. Siamo nel terzo settore, quello dei bellissimi diedri (V/V+).
Lame e fessure si proteggono bene.
Usciamo sull'immane placconata superiore. Con il sole è un' altra cosa.
La via è logica e ricerca i punti deboli della parete.
Iniziano le placche avare di appigli, arrampicata meno fisica ma più esposta
Solidi punti di ancoraggio in sosta ?!
Solo granito. Le difficoltà restano costanti, la traiettoria non è facile da individuare. I chiodi molte volte sono stati lasciati fuori via da chi ha sbagliato, per cui non vanno utilizzati come punti di riferimenti.
Per fortuna i previsti temporali pomeridiani latitano .
Verso l'uscita, questo è l'ultimo tiro di corda, poi si può salire slegati su facili blocchi sporchi di neve (II+).
Beno ha sempre molta fantasia nell'attrezzare le soste con cui mi recupera
L'ultimo tratto di facili roccette per ricongiungersi alla normale di salita
Ha già messo qualche centimetro di neve nuova

Dal rifugio Gianetti Gioia e Ste riprendono con il teleobiettivo (250mm) la nostra uscita in cresta. Mimmo ci scorge col binocolo, ma non riesce a capire se siamo noi. Poi, quando vedono che alle 18 passate ci dirigiamo verso la vetta e non verso valle, capiscono che nessun altro potrebbe essere così scemo!
In vetta, stremato!
Sintesi perfetta. [ndr. di Beno - mi scuso con Gaiser e Lehmann per come diamine ho scritto i loro nomi, ma dopo tutta la parete ero un po' fuso...]

5 commenti:

  1. Che bella zona, e che belle foto! Grande Pietro (e soci ovviamente), non sapevo dell'esistenza di questo bel blog!

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  2. Davvero bravissimi. I miei complimenti. GRANDI !!!

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  3. Immensi! Davvero una grande salita dal sapore antico. Ho letto da qualche parte che "tutte le soste sono attrezzate" ma a me sembra esattamente l'opposto, che dite?

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