mercoledì 8 aprile 2015

Cima (m 3122), anticima Est (m 3201) e punta di Vicima (m 3231)

Sono le 9 di mattina e sono a casa a lavorare al computer. Il sole inizia a rimbalzare sui vetri delle finestre e sullo schermo, le montagne brillano nell'aria tersa del mattino e mi sento in colpa perchè sto gettando questa fantastica giornata a far cose che, giusto con un po' di buona volontà, potrei recuperare sottraendo questa notte qualche ora al sonno.
Ma dove voglio andare: è già tardi!
Guardo le foto delle pareti che vorrei sciare e le cime delle Orobie al di là delle finestre. Il meteo mette caldo in arrivo. È inutile che mi illuda di poter andare domani, oggi è l'ultimo giorno buono per tornare in val Vicima a concludere qualcosa di interessante.
Così, come prevedibile, alle 1030 sono a Selva che cammino, sci in spalla, diretto alla cima di Vicima per sciarne il versante E dalla bizzarra orografia: infatti questa faccia è incisa da un vallone che nella parte bassa converge in uno strettissimo canyon. Lo abbiamo ammirato l'altro ieri dal poggio dove eravamo a pranzare dopo che il Caspoc' aveva sciato la parete SE del Painale.

La punta di Vicima e la sua anticima E viste dalla cima di Vicima.


 Partenza: ponte nei pressi di Selva e del rifugio Erler (guado dopo il termine della strada asfaltata, m 1400).
Itinerario automobilistico: da Sondrio prendere la strada Panoramica per Teglio (SP21). Si passano Montagna (al km 2), Poggiridenti (al km 4) e Tresivio (al km 5,5). Giunti a Ponte, alla chiesetta di San Gregorio (al km 9), svoltare a sx per Teglio (SP76). Dopo una breve salita, immettersi sulla strada a sx che porta in val Fontana (al km 9,4). Si attraversano i meleti appena oltre la chiesetta di San Rocco si ignora la svolta sulla sx per San Bernardo. Si seguita sulla stretta via asfaltata che s'addentra in val Fontana. Si  prosegue fino al guado nei pressi del rifugio Erler.
Itinerario sintetico:  Selva (m 1450) - alpe Vicima (m 2133) - cima di Vicima (m 3122) per il versante E - quota 2650 - forcella di Vicima (m 3080) - anticima E della punta di Vicima (m 3201) - punta di Vicima (m 3231) - anticima E della punta di Vicima (m 3201) - Selva (m 1450).
Difficoltà/dislivello in salita: 4.5 su 6 / oltre 2350 m.
Tempo previsto: 10 ore  per l'intero giro.
Attrezzatura richiesta: da scialpinismo, kit antivalanga, ramponi e piccozza.

Dettagli: OSA/PD. Pendenze fino a 50° (breve tratto), molti pendii sopra i 40°. Cresta esposta per la punta di Vicima. Da affrontarsi solo con neve assestata per il pericolo di distacco di grosse valanghe nelle valli in cui si transita.


In verde l'itinerario per la parete SE del Painale (6.4.15) e in rosso quello per cima e punta di Vicima (8.4.15).
Messi gli sci, zigzago su per i pendii che mi accompagnano all'alpe Vicima. C'è silenzio. Quasi 10 persone tutte assieme in questa valle, come è accaduto l'altro ieri, non mi capiterà più di vederle!
Le creste sono ancora sferzate dal vento, turbini e nuvole di neve si rincorrono nelle vallecole e nei canali alti.
Procedo pian pianino, tanto non ho alcuna fretta e poi quest'ultima sciata in val Vicima voglio proprio gustarmela. 
All'alpe vengo colto da un grande senso di tristezza. 
Tutti i fabbricati stanno crollando. 
Una decina di anni fa  ero passato per la prima volta di qui. Era tutto all'abbandono, ma i tetti stavano ancora al loro posto.
Negli anni '60-'70 gli alpinisti che venivan qui a scalare, come mi ha raccontato Luigi Pasini, erano spesso accolti dai pastori dell'alpe.
Insomma, il tempo va nella direzione opposta di quello che vorrei e i ricordi, di cui sono in parte testimone e in parte depositario, pian piano svaniscono senza darmi la possibilità di fermarli in alcun modo. Forse un giorno i valtellinesi torneranno ad amare e vivere le loro montagne, ritrovandovi la vera ricchezza, quella che sta ben al di là dell'accumulare cianfrusaglie, ingozzarsi fino a scoppiare e sprecare risorse per produrre ricchezza grazie alla quale aumentare ulteriormente gli sprechi. 
Son discorsi da sovversivo. 
Magari venissero considerati tali! Invece questo mio punto di vista non è ritenuto nemmeno una, pur folle, ma possibile alternativa e viene liquidato come l'utopia di chi parla facile perché non deve adempiere agli obblighi che la vita normale impone.
Inutile ribattere che è una società malata, che si autoalimenta portandosi sempre più alla deriva, ad imporli. Tanto non vieni ascoltato e se qualcuno lo fa poi ha paura di cambiare, anche solo in minima parte, il proprio stile di vita. Eppure basterebbe provare per accorgersi che è possibile, smettendola di considerare come uniche alternative quelle proposte dai massi media, che ovviamente non contemplano alcunché lasci sfuggire la gente dalla sudditanza psicologica dei moderni meccanismi di marketing. Una forma di dittatura talmente perfezionata da diffondere profumo di libertà!
Servirebbero dei progetti pilota, un discreto numero di coraggiosi pionieri che si lancino verso nuove forme di economia in grado di riallacciare l'antico e forte legame che c'era tra l'uomo e la terra, tra l'uomo e il tempo della propria vita. Solo il coraggio di questi, credo, potrà trascinare verso lidi più virtuosi anche i meno intraprendenti e, senza la velleità di cambiare il mondo, almeno offrire una alternativa a chi questa società sta stretta.
Abbandonato il fervore politico tra i ruderi delle vecchie baite, supero l'alpe e inanello inversioni in direzione N, fino alla barra rocciosa che sospende l'alta val Molina. Qui piego a sx (O) e mi metto nel valloncello che sale alla forcella di Vicima. Non c'è possibilità di sbagliarsi.
Insistendo ora a NO seguo l'andamento sinuoso del solco che serpeggia aggirando alcune barre rocciose e dossi. Alla mia sx sfoggia il suo profilo la cima isolata e innominata di quota 2881 che, assieme ai contrafforti della cresta SE della cima di Vicima, individua il piccolo circo in cui sfocia il canyon che vorrei sciare.
Pur non sapendo se questo solco sia continuo, decido di evitarlo in salita: qui nel marzo 2007 ho visto da troppo vicino scendere una valanga gigantesca che, dopo aver coinvolto l'intero versante della montagna, è stata convogliata con immane fragore in questa strettoia, per poi sfogare le sue ultime ire in bassa val Molina. Uno spettacolo davvero spaventoso. I residui di una slavina recente alla base del canyon mi convincono ulteriormente della saggezza della mia decisione.
A circa m 2800 la vallecola piega prima a sx, poi a dx. Mi porto su una sella della dorsale SE dell'anticima E della punta di Vicima, un lungo giro di parole per dire che vado a pranzare su un poggio panoramico alla mia dx da cui si vede sia la val Vicima che la val Molina. Dritto a E c'è il pizzo Calino affiancato dalle cime di val Molina e dalla cima di Forame. Il loro concatenamento per cresta è una delle traversate più pericolose che si possono fare in val Vicima (http://www.lemontagnedivertenti.com/Sites/83/WebExplorer/pdf/Itinerari/varienews/2011-09-08newsletter-estate2011.pdf), sia per la cattiva qualità della roccia, che per la forte esposizione. Impensabile in invernale!
Sono le 12:30 e il vento mi abbandona all'improvviso. Il sole, pur non essendo mai stato coperto da alcuna nuvola, par ora decisamente più caldo.
Riparto con un po' di fretta e inquietudine, anche se so che la possibilità che in mezza giornata Apollo riesca a far sciogliere la neve gelata e così a far cader valanghe è remota.
Appena sotto al grande pilastro roccioso che divide la valle per la forcella di Vicima dal versante orientale della cima di Vicima, piego a sx e traverso il pendio al di sopra di una barra rocciosa sempre più alta. Ci sono lastroni da vento, che alla prima crepa mi fan levare gli sci e proseguire per un tratto a piedi, finché entro nel poco pronunciato valloncello che scende direttamente dalla cima di Vicima. Rimetto le assi finché fare inversioni non è più possibile: l'inclinometro è sopra i 40°. Sono quasi a m 3000. Vado avanti. La pendenza è sui 45°, quindi, in corrispondenza di una strettoia, c'è un breve muro a 50° che presto s'adagia a 45°, poi 40°. Non ho calzato i ramponi e gli scarponi non mordono un granché. Picchio le punte degli scarponi come un disperato per ricavare piccole nicchie che diano un degno supporto alla mia progressione, ma in poco tempo le unghie dei miei piedi si ribellano. Allora levo la picca dallo zaino e come i pionieri del secolo passato inizio a tagliare scalini.
Per fortuna non si tratta che di una ventina di metri, oltre i quali la neve si fa più malleabile. Mi sposto a sx, supero alcune rocce e mi trovo sul testone sommitale, per niente ripido.
Lo salgo da sx a dx e in men che non si dica sono seduto accanto allo striminzito palo di legno che indica la cima di Vicima (m 3122). Sotto l'ometto c'è il libro, ma non riesco ad estrarlo perchè la neve è ghiacciata. 
È tornato il vento, ma la pace che provo è indescrivibile. Guardo a S l'orrido valloncello che mi son messo in testa di sciare, ma non mi spaventa per niente. Sebbene la neve sia molto dura, oggi sento un particolare feeling con gli sci. A N c'è la punta di Vicima, a dir poco bellissima. A S ecco la vetta di Ron che, come sappiamo bene io e il Caspoc', oltre alla linea che ho fatto nel 2006, ha un' ulteriore possibilità di esser scesa con gli sci. Guardo quel progetto con estrema avidità, ma la prospettiva non mi aiuta a capirci molto.
Parto dalla vetta sci ai piedi. I primi metri non ripidi mi aiutano a prender confidenza con gli attrezzi. Questa possibilità, che pochissime discese ripide offrono, è per me una manna dal cielo dato che, non andando a sciare in genere che una volta alla settimana, tutte le volte che inizio a scendere non mi ricordo quasi più come si fa.
I miei sci Ripido rispondono con sbalorditiva facilità, al che mi butto giù per una rigola ghiacciata evitando di toglierli anche in corrispondenza delle rocce affioranti. Il pendio è di neve dura, ma il colpo d'occhio non è per nulla inquietante, così mi concentro sul disegnare belle serpentine, anziché figurarmi ogni possibile dinamica di morte come è accaduto l'altro ieri sul Painale.
La sciata è entusiasmante, specialmente nel canyon, dove procedo con diffidenza fino a vedere che questo è continuo e senza salti, pur avendo un paio di passaggi larghi meno di 3 metri e rovinati dalle valanghe. All'improvviso il solco claustrofobico sfocia in un luminoso circo nevoso. Io scendo fino a m 2600 e, in preda all'entusiasmo, mangio un boccone e riprendo a salire, questa volta diretto alla forcella di Vicima.
La stanchezza inizia a farsi sentire, ma ho tutto il tempo che voglio: non sono nemmeno le 15 e c'è luce fino alle 20!
In cima al vallone una ripida rampa (max 47° misurati) mi porta a una cengia nevosa che taglia da sx a dx la barra rocciosa ai piedi della forcella e mi deposita direttamente ai piedi dell'anticima E della punta di Vicima. La neve è marcia superficialmente, ma sotto è ghiacciata.
Questa volta non faccio il lazzarone, metto i ramponi, svuoto lo zaino di tutto ciò che non è indispensabile e, aggirando il primo salto roccioso da dx, per una china nevosa (40°) raggiungo l'anticima E (m 3201), uno dei più bei punti di vista sulla parete SE del pizzo Painale.
Qui deposito anche gli sci e lo zaino e mi dirigo verso la punta di Vicima.
Sono stanco morto, la punta di Vicima l'ho già sciata per cui preferisco sciare la sua anticima E, che non ho mai sceso, senza dover ripellare per la terza volta.
Inizia un delicato traverso sottocresta in direzione della punta. La neve è marcia e devo continuamente levare lo zoccolo dai ramponi con la piccozza. Solo in pochi tratti una scivolata non implicherebbe di finir giù da un salto di rocce, per cui meglio non inciampare né esser trascinati giù da un distacco di neve bagnata. Ciò mi mette molta fretta e in 20 minuti faccio avanti e indietro dalla punta di Vicima (m 3248), senza scattare nemmeno una fotografia.
Rieccomi agli sci, che calzo in fretta e furia. Poi giù per la groppa del monte. Qualche metro e parte una valanga di neve bagnata da cui mi divincolo scappando verso la forcella, dove recupero la mia roba e, stanco morto ma felice, riprendo la sciata verso valle su cui il pomeriggio ha allungato le ombre dei monti e, aiutato dal vento, rigelando la neve.

La traccia di salita dalla val Vicima. In verde l'itinerario per la parete SE del Painale (6.4.15) e in rosso quello per cima e punta di Vicima (8.4.15).
La traccia di salita vista dalla lontana val Belviso. In verde l'itinerario per la parete SE del Painale (6.4.15) e in rosso quello per cima e punta di Vicima (8.4.15).
Verso l'alpe Vicima.
Panorama dai ruderi dell'alpe Vicima.
Sulla sella panoramica a circa m 2800. Alle mie spalle il pizzo Calino e le cime di val Molina.
Dalla cima di Vicima uno sguardo sul suo versante orientale, poco prima di apprestarmi a scenderlo.
La punta di Vicima dalla sua anticima E.
La parte finale del canyon sul versante E della cima di Vicima.
Verso la forcella di Vicima.
La punta di Vicima dalla sua anticima E.



4 commenti:

  1. Ciao,
    non ci conosciamo realmente, ma ti (vi) leggo spesso, anzi sempre! Mi hanno colpito i tuoi "pensieri da sovversivo". Li condivido, sono gli stessi che mi ritrovo a macinare pure io, quando cammino fra le montagne così spesso mal-trattate. Beh... un saluto!

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  2. Ciao,guarda che non sei un sovversivo, è che hai una sensibilità maggiore nel vedere più lontano (anche se basterebbe riuscire a guardare indietro). Forse un po troppo silenziosi, ma credo che sono in molti a vederla come Te.
    Un saluto e...continua così

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  3. Ciao Beno. L'abbandono degli alpeggi é il risultato di scelte individuali, non di scelte politiche. E questo é un bene, non un male.
    Il fatto é che oggi é troppo costoso vivere in montagna, e anche questo é un bene: il costo di ogni cosa é il valore (soggettivo) di ció a cui rinunci per ottenerla. La gente tornerebbe quindi in montagna a coltivare e allevare solo se la vita diventasse troppo grama in fondovalle: speriamo di no!
    Quindi il tuo ragionamento é corretto tranne per un fatto: l'atteggiamento pessimista, il vedere come negativa la situazione attuale.
    D'altronde avere a disposizione degli spazi dove si sa giá prima che non si incontrerá nessuno, é forse un male?

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