mercoledì 17 luglio 2019

Dent Blanche (m 4358)

La cesura tra il Vallese francofono e quello germanofono è sancita dalla lunga dorsale che si diparte verso N dalla cresta di confine italo-svizzera in corrispondenza della Tete Blanche.
La maggiore elevazione di questa dorsale, ergentesi a  6 chilometri in linea d'aria dal confine, è la Dent Blanche, armonica e slanciata montagna piramidale in cui le 4 creste individuano altrettanti versanti, tutti aventi uno stacco roccioso di oltre 800 metri di dislivello dai ghiacciai che ne lambiscono la base.
La Dent Blanche non è una montagna facile. È un 4000 dal gusto classico, faticoso: l'inevitabile avvicinamento (non vi sono infatti funivie: si sale tutto a piedi) è corroborato dalla lunghezza della sua via normale, la cresta S, per la quale si devono preventivare circa 6 ore per la salita, a partire dalla Cabane de la Dent Blanche, e altrettante per la discesa. Il tutto in un ambiente grandioso e aereo con difficoltà mai estreme, ma che vengono molto accentuate dal verglass o da condizioni atmosferiche non ottimali.
Ciliegina sulla torta è l'emozionante vista sulle dirimpettaie pareti N del Cervino e della Dent d'Herens, celeberrimi 4000 delle Alpi Pennine per i quali sarebbe ridondante ogni presentazione.
Salire la Dent Blanche senza nemmeno appoggiarsi alla Cabane de la Dent Blanche richiede molto allenamento, come quello che avevano avuto 157 anni fa William Wigram, Thomas Stuart Kennedy e, specialmente, le guide Jean-Baptiste Croz e Johann Kronig.  
Certo,  la nostra salita del 2019  non è nemmeno paragonabile con quella degna di ogni onore e condotta con attrezzature rudimentali del 18 luglio 1862, ma anche noi abbiamo cercato di essere quanto più "óm" possibile e, pur trovandoci già tutte le calate attrezzate e vari segni di passaggio che ci confortavano sulla correttezza della linea di salita, ci siamo dovuti impegnare a fondo a causa delle rocce un po' sporche di neve e ghiaccio.

La Dent Blanche appare come un miraggio  in fondo alla val d'Herens. È una montagna a dir poco gigantesca! Indicata la via normale di salita per la cresta S, ovvero la Wandfluegrat.

Partenza: Ferpecle (m 1826). 

Itinerario automobilistico: dal passo del Sempione di scende a Brig, quindi si segue l'autostrada svizzera verso Losanna, Sierre e Sion (O). Questa tratta non è ancora stata completata, per cui in vari punti ci si affida alla vecchia strada n.9 che attraversa vari paesi (occhio ai limiti di velocità!).
Dopo 73 km, alle porte di Sion, si prende la Route d'Herens che si dirige  a S nell'omonima valle risalendone, con vari tornanti, l'imbocco sospeso. La maestosa vetta che si vede in fondo alla valle è già la Dent Blanche!  Tenendo sempre la strada principale (interessante il passaggio in galleria sotto le piramidi di terra che precedono Euseigne), dopo 25 km si è a Les Haudéres, ombelico della val d'Herens. Qui si va a sx (E) e per una strada piuttosto stretta e spesso priva di parapetti, si entra nel ramo orientale della valle.
Dopo 7 km, a Ferpecle, termina il transito consentito ai mezzi senza speciale autorizzazione. Si è nei presi di un tornante sinistrorso con bivio e buona possibilità di parcheggio.

Itinerario sintetico: Ferpecle (m 1826) - Bricola (m 2416) - lago a m 2752 - Cabane de la Dent Blanche (m 3506) - Wandfluelücke (m 3710) - Dent Blanche (m 4358) - ritorno per la stessa via.

Tempo richiesto: complessivamente circa 24 ore, che abbiamo diviso in due dormendo la notte in tenda a m 2600. Gli alpinisti in genere spendono 3 giorni per questa ascensione, pernottando due notti alla Cabane de la Dent Blanche. Il solo tratto dalla capanna alla vetta per una cordata di 3 persone richiede mediamente 6 ore in salita e altrettante in discesa.

Attrezzatura richiesta: scarponi, ramponi, piccozza, casco, 3 friend di media misura, cordini, corda (60 m), 3-4 rinvii, discensore, una scorta di acqua di 2 litri  a testa per la cresta finale.

Difficoltà:  5- su 6.

Dislivello in salita: coi vari su e giù, oltre 2700 metri.

Dettagli: AD+. Sebbene tutta la letteratura consultata valuti questa ascensione come AD, in questa mia prima e unica esperienza sulla montagna (forse complicata un po' dalle recenti nevicate), ho trovato l'impegno complessivo superiore. Una classica gita di grado AD come la Biancograt al Bernina è senza dubbio più facile e più breve.
Arrampicata su roccia fino al III+ grado, creste esposte, ghiacciai con tratti ripidi e crepacciati, lungo sviluppo, ritorno con numerose calate. È assolutamente necessario scegliere una giornata di bel tempo perchè se arrivasse Zeus... sarebbero cavoli amari! La montagna, qualora foderata di verglass o neve, richiede un impegno decisamente superiore.

© swisstopo.ch
Il nostro viaggio da Domodossola a Ferpecle è lungo perché contempla varie soste ristoratrici, shopping per ultimare il corredo tenda o per interrompere la sauna nell'abitacolo dell'auto: ma quanto è caldo quest'estate? Solo Trump che ha l'aria condizionata nella sua Maison Blanche puntata sui 16°C può negare l'aumento delle temperature!
Giunti a Ferpecle, parcheggiamo all'interno del tornante che precede il divieto di transito ai mezzi non autorizzati dal Consiglio Federale Svizzero o da Roger Federer in persona. Sono le 17. Ci ingozziamo di frutta per non dovercela portare negli zaini già stracolmi e anticipare così metà della cena.
Come chiocciole con la casa sulle spalle, io, Carlo e Alessandro, che per la prima volta si è unito all'Armata Brancaleone, ci incamminiamo da Ferpecle (m 1826) lungo la strada asfaltata. Superiamo il ristoro Le Petit Paradis, quindi in torrente du Perroc, per imboccare (sx) il sentiero segnalato che s'inoltra nel bosco e, dopo essersi addentrato nella seguente piana, s'inerpica sulla dx orografica, contorcendosi in tornanti per guadagnare quota fino a Bricola (m 2416, ore 2)
A SSO vediamo il profondo solco scavato dal ghiacciaio di Mont Miné, mentre a SSE si stende il velo crepacciato del ghiacciaio di Ferpecle. È incredibile pensare come le due lingue glaciali, ora assai distanti e ricoperte di detrito, fino agli anni '60 ancora si toccassero.
I sedimi della vecchia strada per la realizzazione delle opere di presa scemano a tratti in uno stretto sentiero e ci accompagnano nella lunga traversata verso SSE alti in dx orografica. Purtroppo le nebbie ammantano la Dent Blanche e non possiamo studiare la via di salita di domani, ma confidiamo nell'arrivo bel tempo.
Il nostro primo breve giorno di marcia termina nel luogo che facciamo diventare il nostro hotel: a circa m 2600 (ore 1), al di là della vecchia morena del ghiacciaio des Manzettes. Qui, in un minuscolo spiazzo d'erba e sassi, accanto a un grosso masso erratico affacciato sulla valle, montiamo la tenda e, dopo una seconda cena e aver ammirato i colori accesi del tramonto, ci infiliamo nei sacchi a pelo. Il giorno si spegne e s'accendono le luci lontane dei paesi, mentre le stelle pian piano si fan largo tra le nubi e  popolano il cielo.
In tre in una tenda da due si sta tutto sommato comodi: basta alternare spalle e piedi così da ottimizzare lo spazio e pesare in 3 come 2 persone magre.
Le risate per non ricordo quali cazzate raccontate, si alternano al ripasso del percorso in vista dell'esame di domani. Un ripasso senza libro di testo: non vogliamo conoscere molto del viaggio verso la vetta così da goderci quanto più possibile la scoperta dei passaggi, delle guglie e dei meandri della montagna.
Alessandro e Carlo dormono: il loro respiro s'è fatto pesante, mentre io apro la cerniera della tenda e guardo la luce delle stelle che s'affievolisce al sorgere della luna piena.
Una grossa sfera gialla che s'alza nel cielo e rischiara rocce e ghiacciai in un'atmosfera sospesa. Che privilegio essere quassù. La montagna sembra tutta per noi.
La rugiada condensa sul telo della tenda e gocciola dalle cerniere scandendo il veloce scorrere di queste poche ore di riposo.
Avevo puntato l'orologio alle 3:50, ma alle 3:30 i miei occhi fissano impazienti il cielo e non vogliono più chiudersi. L'eccitazione è tanta. Alle 3 chiamo anche gli altri. Usciamo dal sarcofago e a bocca aperta ci incantiamo davanti all'imponente e rossiccia Dent Blanche che si è liberata del manto di nubi e si staglia contro il cielo blu cobalto tempestato di stelle. La vetta, che ci sembra di poter toccare allungando le mani, è invece ben 1750 metri sopra di noi!
Lasciato in tenda tutto il superfluo, ci incamminiamo su per le pietraie seguendo delle frecce blu.
Questa distesa di massi nel 1980 era coperta dal ghiacciaio des Manzettes, così come le placche più sopra e l'azzurro laghetto a m 2741, che fino al 2012 manco era disegnato sulle mappe!
Dal laghetto ometti di pietra e segnavia bianco-blu con indirizzano a SE facendoci rimontare la dorsale rocciosa costituita per lo più da blocchi e chiamata Roc Noir. Il ghiacciaio des Manzettes sfila alla nostra sx, quello di Ferpecle a dx, mentre il lontananza la luna va appoggiarsi sopra una seghettata teoria di cime.
A m 3300 l'emergenza rocciosa finisce, spegniamo i frontalini e calchiamo il ghiacciaio des Manzettes, confortati da segnavia composti da tre pali di legno incrociati. Senza alcun problema, affascinati dalla visione della parete N della Dent d'Herens e col timone volto a ESE, approdiamo alla Cabane de la Dent Blanche (m 3506), edificio rivestito in pietra che offre 45 posti letto ed è normalmente utilizzato come punto d'appoggio per l'ascensione.
Inerpicandoci per le roccette alle spalle del rifugio, dopo un sottile tratto in cresta (II+) rieccoci sul ghiacciaio. Una dorsale nevosa (30°) ci porta dai m 3600 ai m 3701 della Wandfluelücke, da cui la vista sulle dirimpettaie pareti  N e O del Cervino ancora  incrostate  dalla nevicata dell'altroieri è a dir poco sbalorditiva.
Ci dirigiamo a NE, pianeggiando poi salendo lungo il pendio glaciale, lasciandoci a sx una dorsale rocciosa, che rimontiamo (I/II) verso i m 3800 per cavalcarla fino alla quota m 3882.
Rimettiamo i ramponi e attraversata una vallecola nevosa, ci inerpichiamo su un breve ma ripido muro di neve e ghiaccio (40°). Seguiamo quindi per un tratto la bianca cresta toccando la quota m 3907 e scendendo (appoggiandoci a sx) fino alla sella a m 3880 ca.
Via i ramponi, riprendiamo a salire a ridosso del filo, quasi sempre facile, appoggiandoci eventualmente a sx. Le rocce iniziano a esser sporche di neve, ma non veniamo rallentati più di tanto.
A circa m 4000, dopo un tratto stretto in discesa, siamo ai piedi del Gran Gendarme, slanciata torre di roccia arancione. Abbiamo raggiunto una cordata di francesi che si sono legati e stanno iniziando l'aggiramento della torre da sx.
Ci leghiamo pure noi e li seguiamo a ruota. Dopo aver traversato in orizzontale per 40 metri a sx (II, alcuni spit) entro in un tetro colatoio attrezzato con 4 fittoni (li si vedi in alto). È tutto sporco di neve e in francesi sono generosi nel disgaggiare roba. Ho la pessima idea, per evitare scariche, di arrampicarmi sulla sponda settentrionale del canalone, trovando difficoltà, ghiaccio e rocce marce.
Mi convinco perciò ad aspettare il nostro turno e ricomposto il nostro gruppo presso una sosta su cordini, procediamo con maggiore diligenza lungo la linea più facile per non sperperare energie inutili.
I 2 tiri successivi sono su rocce sporche di neve e ghiaccio (III poi II+). Non uso i fittoni, ma creo io le soste coi friend ogni volta che finisce la corda: meno soste facciamo, più tempo risparmiamo.
Sbuchiamo al sole a monte (N) del Gran Gendarme, che visto dal prosieguo della cresta pare quantomai storto e instabile.
Segue una gobba di placche rosse spaccata nel centro, quindi un tratto di cresta sottile che ci accompagna al successivo gendarme. Lo saliamo direttamente stando appena a sx del filo (III).
Il terzo gendarme lo affrontiamo da dx (è l'unico appoggio su questo lato). Qui incrociamo una cordata capeggiata da una svelta guida spagnola. Condivido con lui la sosta mentre recuperiamo o caliamo i rispettivi compagni. Mi dice, in inglese, che la loro salita è stata molto rapida, ma la discesa è, come spesso capita, lenta. Mi chiede da dove veniamo e fa l'eco alla mia risposta con un «it's very long!». Faccio un cenno di approvazione universale: ce ne stiamo accorgendo. Ma sono ottimista, nonostante le nubi che montano dietro il Cervino mi inquietano un po'.
Scendiamo 4-5 metri per cresta a una breccia dove la cresta presenta un foro passante, quindi traversiamo sul lato sx fino a intercettare un canale roccioso un po' sporco di neve dove si vede uno spit. Mi sporgo per capire che c'è sopra quando all'urlo «Rope!!» seguono un sibilo, l'oggetto dell'urlare e un nut. Un nut?
Perché hanno lanciato un nut assieme alla corda?
La matassa del canapone e il nut si arenano su un pianerottolo 10  metri sotto di noi.
Discuto con Alessandro e Carlo e tutti riteniamo meglio fermarci e aspettare che gli altri alpinisti abbiano terminato la calata.
Quando il primo è alla mia altezza gli dico che il loro nut è finito giù assieme alla matassa di corda.
Da ciò che mi risponde capisco che non ha capito, allora mi metto a parlare come Totò a Parigi. Ci intendiamo. Lui si cala fino alla matassa ma, pur essendoci sopra coi piedi non vede il nut. Io e Alessandro gesticoliamo finché lo raccoglie e ringrazia. «You've saved 5 €!» è il mio commiato e sceso pure il suo socio, il diedro è tutto per noi. È il passaggio più difficile della salita (III+, 3 m), specialmente perchè c'è un po' di ghiaccio, ma velocemente veniamo a capo del quarto gendarme, detto Gendarme della Corda. Ecco l'ultimo tratto di cresta, quello che un tempo era nevoso e che nel 2019 è un triste susseguirsi di ganda, roccette e magre chiazze bianche.
Siamo attorno ai m 4200.
20 minuti davanti a noi c'è la cordata francese.
In lontananza scorgo la guida spagnola che è giunta sul ghiacciaio coi clienti, mentre i due inglesi sono nel canalone presso il gendarme a buttar giù doppie.
Ramponi o senza ramponi, questo è il dilemma...
Iniziamo senza, ma poi capiamo che si fa prima a metterli.
La cresta è ora veloce da percorrere e presto siamo accanto alla croce di vetta (Dent Blanche, m 4358, ore 5-6), stringendoci le mani felici, accanto ai francesi che stanno avvolgendo la loro corda rossa per scendere in conserva. 
Il cocuzzolo è un pisciatoio, ma non ci formalizziamo nel sederci e pranzare, dato che da stanotte non abbiamo praticamente introdotto niente nel tubo digerente.
Le nebbie, che sembravano volerci raggiungere dal Cervino, hanno rallentato il loro incedere e ci lasciano ben sperare per una discesa con buona visibilità.
Lasciata mezz'ora di vantaggio ai francesi e rimasti soli in vetta a contemplare l'orizzonte e la terrificante cresta di Ferpecle tutta sporca di neve e le impronte di qualcuno che deve aver salito ieri la cresta N, ripartiamo.
Rispetto alla salita, in discesa non guadagniamo un minuto. Vuoi per la corda che si impiglia, per la neve che sporcava le rocce che ora è melma, per la corda bagnata che scorre poco o perché siamo stanchi. Alessandro e Carlo sono alla loro prima esperienza su un 4000 serio e stanno stringendo i denti per non perdere concentrazione. Accompagnati da un vento schifoso e dalla nebbia, aggiriamo il Grand Gendarme, recuperiamo il guanto perso da Carlo lungo la salita, mettiamo piede sul ghiacciaio e, rischiando di finire in un paio di buchi, alle 20 siamo alla capanna.
Ci resta un'ora e mezza di chiaro, quindi giù a manetta fino alla tenda sfruttando ogni possibile chiazza nevosa dove scivolare e così non tritare le ginocchia. Smontato l'accampamento e ritrasformati gli zaini in pesanti cadaveri, accendiamo i frontalini e dilapidiamo le ultime energie per coprire la distanza che ci separa dall'auto. Sembra di non arrivare mai!
Siamo a Ferpecle alle 23:30, così stanchi che, dopo esserci sdraiati per terra e aver a fatica bevuto una birra da 0.66 l in 3 e mangiato come usignoli affettato, formaggio e pane secco, ci addormentiamo sui sedili della macchina con la speranza che qualche ora di sonno ci ridia le energie per guidare verso casa.


Verso Bricola. Sullo sfondo il ghiacciaio di Ferpecle.

Bricola. A sx il ghiacciaio di Ferpecle, a dx quello di Mont Miné.

Tramonto dal nostro accampamento a m 2600.

La Dent Blanche illuminata dalla luna piena.

Pronti per partire! 
La Dent Blanche dal laghetto proglaciale a m 2741.



La Dent Blanche all'ora blu.

Tramonta la luna.

Sullo sfondo la Dent d'Hérens.

Segnavia per la Cabane de la Dent Blanche. Sullo sfondo il Mont Miné.

La cresta rocciosa sopra la Cabane de la Dent Blanche.

Verso il Wandfluelülche. A dx il Cervino.

La Dent Blanche dal Wandfluelücke.

Sua maestà, il Cervino.

Le roccette per la quota 3882.

La Dent Blanche dalla quota 3882.

Verso il Grand Gendarme. Alle nostre spalle la nevosa quota 3902.

Il Grand Gedarme e il tracciato per aggirarlo.

Aggirando il Grand Gendarme.

L'uscita del canalone per aggirare il Grand Gendarme.

A N del Grand Gendarme.

Sulla gobba fessurata a monte del Grand Gendarme.

Sul secondo gendarme dopo il Grand Gendarme.

Aggirando il Gendarme della Corda.

Nel diedro a O del Gendarme della Corda (il quarto ed ultimo).

A oltre 4200 metri, verso la vetta.

In vetta. O meglio, presso la croce, installata qualche metro a N del punto culminante e visibile solo all'ultimo salendo dalla cresta S.

La croce e il punto culminate della Dent Blanche.

Scendendo a m 4300.

Sopra i gendarmi.

Calata dal terzo Gendarme.

Scivolando sui campi di neve sopra il laghetto di quota 2741.




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